Piazza, disdetta e rimpianto

di Carlo Di Stanislao

Altro che suicidio politico. Dopo Mirabello e l’intervista con Mentana, a giudicare da commenti ed umori, la credibilità ed il gradimento di Gianfranco Fini sono in forte ascesa, tanto da potersi permettere un commento ironico (e colto), circa le manovre e manovrine scomposte contro di lui, da parte del binomio B&B (definite da Shakespeare “Tanto rumore per nulla”) e chiosare che, se davvero Bossi e Berlusconi intendono chiedere al Colle le sue dimissioni, dimostrerebbero, fuor d’ogni dubbio, un totale e colpevole “analfabetismo costituzionale”. Non è la prima volta che un leader di partito occupa il più alto scranno di Montecitorio (si pensi, nel passato, a Spadolini e, in tempi più recenti, a Casini e Bertinotti), ma è certo la primissima che un Presidente di un ramo del parlamento, mentre è in carica, fondi anche un partito. Tuttavia, anche ieri da Mentana, Fini ribadisce di non aver mai trasgredito al regolamento che stabilisce i compiti e le responsabilità del presidente della Camera: “Neppure il più duro dei miei avversari politici – sostiene l’ex aennino – può dire che quando presiedo la Camera io ho una veste politica“. Una pietra tombale sull’accusa di mancata terzietà avanzata dai suoi detrattori ed una ulteriore affermazione di fermezza e di coraggio, che intende usare, come “meanstreet”, fino alla fine. E anche se sulla questione “casa di Montecarlo” non è né tranquillo, né serafico, né tanto meno convincente, procede come “un panzer ben lubrificato” (la definizione e dell’Unità), contro un partito che, persa ogni dialettica interna, lui continua a chiamare “Forza Italia allargata”. Chi è davvero nei guai (dopo che, sia la sinistra che Futuro e Libertà, si dicono pronti alle elezioni), è il premier che, tra le spinte ormai brutali come scossoni di Bossi e la necessità di dare un po’ di corda al corposo pattuglione ministeriale che dopo le scintille di lunedì sera ad Arcore con la Lega, ha passato l’intera giornata a Palazzo Grazioli nel tentativo di sedare l’incendio; si convince che a lui le elezioni non convengono, poiché, anche se le vincesse, rischierebbe di vedere la Lega più forte, più forte Futuro e Libertà e, pertanto, concretizzarsi la possibilità di un governo tecnico o di larghe intese, con non lui, ma Tremonti o Pisanu (che anche oggi, dalla festa del Pd a Torino, ne ha criticato l’operato) a guidarlo. Senza parlare poi, che perdendo tempo con elezioni, andrebbe “nudo” al processo Mills di questa primavera. Per questo non commenta il discorso di Fini a Mirabello, non fissa la data del suo discorso in Parlamento e pensa di tornare in piazza, il 3 ottobre (dicono da Il Giornale), per una grande risposta popolare alla Festa Tricolore di Fini. Ha anche espresso il suo disappunto per i toni urlati della Lega ed asserito che al Quirinale ci si andrà, probabilmente la prossima settimana, ma non per chiedere le dimissioni di Fini dalla presidenza della Camera – che non competono a Napolitano – quanto per esporre al capo dello Stato le difficoltà in cui versa la maggioranza. Berlusconi ha chiesto ai suoi di impegnarsi direttamente ed è ciò che farà lui stesso, dicono da Il Tempo, per “far sapere alla gente come stanno le cose”. Come detto, l'appuntamento ad hoc per lanciare questo messaggio sarà la Festa del Pdl a Milano con l'intervento del premier nella giornata di chiusura, appunto il 3 ottobre. Così la Festa potrebbe essere la “contro-Mirabello”: una grande manifestazione a sostegno del Cavaliere. Intanto si sta studiando un documento (l’ennesimo) che dovrebbe essere presentato all'ufficio di presidenza convocato per oggi, in cui inserire il criterio di incompatibilità degli incarichi dei parlamentari di Fli nel partito. Contemporaneamente, Berlusconi gioca anche la carta (è un “mazzaro” inesauribile), già definita sulla stampa, della “legione straniera”; atta a verificare se nella zona grigia del gruppo misto – da Noi Sud all’Mpa – si possono trovare i numeri per rimpiazzare i finiani e dare quindi una prospettiva alla legislatura, fino al 2013, cosa che gradirebbe grandemente. Il suo potere, comunque si veda la questione, è in ribasso, anzi gli si frantuma in mano. Ne è prova il clima attorno alla mozione di sfiducia che Fini sta già preparando nei confronti del direttore del Tg1 Minzolini, da presentare in commissione di Vigilanza e contro cui non può fare proprio nulla. Ieri, a Torino, nella sala in cui dovevano parlare, alla Festa del Pd, La Bindi e Vendola, c’era un simpatico cartello: “Nichi e Rosy oggi sposi”, che magari farà sorridere, ma che potrebbe essere di buon auspicio. Ma Vendola (che stasera ascolteremo a Pescara), resta sulle sue posizioni, quelle che qui a Torino va ripetendo dalla mattina, e in Italia da varie settimane. “Ieri era troppo presto per convocare le primarie, domani troppo tardi, allora le si convochi ora”. Anzi, oggi, aggiunge, “poiché è il tempo di metterci attorno al tavolo per definire il regolamento delle primarie e non sfuggire a quello che è percepito dal popolo del centrosinistra come un appuntamento fondamentale”. Perché “la bella favola di Berlusconi, per metà Peron, per metà Vanna Marchi, è finita”. Ai Ferrero, i Diliberto, i Nencini e i Bonelli che non hanno apprezzato il giudizio sul progetto lanciato da Bersani, risponde che a lui non interessa “lo spazio per sventolare la mia bandierina”, mentre gli interessa, e molto, “che il centrosinistra diventi un nuovo racconto”, da costruire “attorno ai precari, ad un nuovo modello di scuola, di società”. E la Bindi, che pare conquistata, rilancia: scriviamolo il nuovo racconto, insieme, ritroviamo quello spirito che l'Ulivo diede al paese e ai cittadini, anche se sarà difficile oggi convincere le persone che pagare le tasse è giusto, che saranno necessari sacrifici. Noi ci permettiamo di dire, lo si faccia pure, ma con patti di alleanza strategica vera, su cui si impegnino tutte le parti e con contenuti chiari, perché questa Italia che l’OCSE pone al penultimo posto per la scuola, all’ultimo per i salari, in coda per la ripresa e al primo per la disoccupazione giovanile, non ha davvero il tempo di aspettare che Berlusconi risolva i suoi problemi e la sinistra faccia alleanze che poi non siano solo ammucchiate. Per ora, ciò che è certo è che dovremo aspettare sino al 3 ottobre per ascoltare a Milano, in una grande manifestazione di piazza, il commento del leader sul discorso di Fini a Mirabello e, ancora, paventare, dopo i recenti fatti riguardanti la Fiat ed il suo nuovo principe Marchionne, un futuro ancora peggiore. Il fatto chi ieri si Federmeccanica ha disdetto il con¬tratto collettivo del 2008, significa che , ormai, Confindu¬stria insegue e Sergio Marchionne ha vinto il primo round, nella vertenza tra aziende metalmeccaniche e sindacati, per ottenere una maggiore flessibilità nelle condizioni di lavoro. E il fatto che il ministro del welfare, Maurizio Sacconi intervenendo alla trasmissione 'Nove in punto' su Radio 24, abbia commentato: “Io credo che vada ridimensionato il significato della decisione di Federmeccanica. E' un atto formalistico di un contratto nemmeno applicato. Utile soltanto a dare certezze al contratto in vigore non sottoscritto dalla Fiom. Per i lavoratori metalmeccanici non cambia assolutamente nulla”, apre scenari ancora più inquietanti e fa prevedere che, forse, dopo Berlusconi, c’è anche di peggio. Come scrive oggi Europa, a questo punto occorrerà capire se al tavolo del 15 settembre a cui Federmeccanica ha chiamato Fim, Uilm, Fismic, e Ugl (ovvero i sindacati che hanno sottoscritto il contratto 2009) e a cui da ieri ha invitato anche la Cgil, si definirà e in che modo la cornice delle deroghe applicabili da tutte le aziende del settore meccanico. La deroga non solo non spaventa la Fim che lunedì ha riunito sul tema l’esecutivo e la Uilm che oggi valuterà il percorso proposto da Federmeccanica, quanto piuttosto è considerata un mezzo utile per far fronte alla situazione in una cornice nazionale evitando così il fiorire di tanti contratti. Di diverso avviso la Fiom, che ha 16 mesi davanti per evitare di essere fuori dalla rappresentanza e che promette di dare battaglia a cominciare dalla manifestazione del 16 ottobre sulla difesa dei diritti del contratto. Ma, di fatto, Marchionne è in una posizione di forza ed intende esercitarla completamente, continuando a sottolineare il feeling con Washington, sicché Melfi e la rescissione del contratto, sono degli stress-test che potrebbero condurre la Fiat fuori dai confini. “I lavori di ristrutturazione di Pomigliano sono già partiti. Torino ha confermato l’intenzione di restare e investire”, ha rassicurato Giuseppe Farina, segretario di Fim Cisl. Che tuttavia ammette come “il test da parte di Marchionne è ancora in corso, anche perché sulla stabilità dei rapporti sindacali Fiat non ha ottenuto piene garanzie”. Le otterrà? Nessuno può ora rispondere, né su questo né sul futuro politico di questo dissestato Paese. La situazione è così confusa che, due giorni fa, un manifesto firmato dall'associazione siciliana Targa Florio onlus è apparso sotto i portici di via Bonfante a Oneglia, nella bacheca che abitualmente ospita le comunicazioni del Pdl e, provocatoriamente, vi si legge: “Ridateci Scajola”, dimostrando che, spesso, chi viene dopo è peggio e, come si dice nella nostra città, “al peggio non vi è mai fine”.

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