“COME VISSI L’8 SETTEMBRE 1943”

Giovanna Canzano
intervista
FRANCESCO PAOLO D’AURIA

8 settembre 2010

…“Arrivò tardi con una faccia cupa e sconvolta come non avevo mai visto prima.
Si poteva vedere la sua acuta sofferenza come se fosse stato colpito da un infarto. La pelle del suo viso, normalmente rossastra per le ustioni subite in un incidente aviatorio, era grigia!
Entrò senza salutare, gli si fece avanti Domenico che gli chiese: “Ha sentito Colonnello….” gli rispose prima con uno sguardo che ricordo bene.
Non era di rabbia; era di profonda sofferenza interiore.
Poi disse: “E’ una vergogna! Una vergogna che rimarrà negli anni a venire..”
E guardando noi figli, che non capivamo di cosa si parlasse, disse:
“Questi ragazzi non avranno più il senso dell’onore!”
Domenico salutò e se ne andò” (Francesco Paolo d’Auria).

Canzano 1– Tutto accadde una sera di fine estate mentre con la sua famiglia era in vacanza…

D’AURIA – Nell’agosto 1943, la mia famiglia si trasferì a Castel Viscardo, per un periodo di vacanza ma, soprattutto, per stare vicini a mio padre, Comandante dell’Aeroporto di Orvieto che, in realtà, si trovava vicino al piccolo centro di Castel Viscardo.
Mio padre aveva trascorso più di due anni lontano da casa, in Sicilia, come Comandante del 9° Stormo da bombardamento, ed era da poco stato trasferito al 18° Stormo dislocato nel suddetto aeroporto.
La sera dell’otto settembre eravamo quindi tutti a Castel Viscardo in attesa di mio padre che tardava a venire per la cena.
Venne a trovarci Domenico Valentini, figlio del conte Angelo Valentini, Podestà di Castel Viscardo, guardia nobile del Papa, il quale ascoltava giornalmente radio Londra e radio Monteceneri (Svizzera).
I conti Valentini, essendo i “notabili” del paese, mantenevano rapporti di cortesia con il Comandante dell’Aeroporto; così diventarono nostri conoscenti.
Domenico aspettò “il Colonnello” che doveva arrivare dal Campo d’Aviazione.
Arrivò tardi con una faccia cupa e sconvolta come non avevo mai visto prima.
Si poteva vedere la sua acuta sofferenza come se fosse stato colpito da un infarto. La pelle del suo viso, normalmente rossastra per le ustioni subite in un incidente aviatorio, era grigia! Entrò senza salutare, gli si fece avanti Domenico che gli chiese: “Ha sentito Colonnello….” gli rispose prima con uno sguardo che ricordo bene. Non era di rabbia; era di profonda sofferenza interiore. Poi disse: “E’ una vergogna! Una vergogna che rimarrà negli anni a venire..” E guardando noi figli, che non capivamo di cosa si parlasse, disse: “Questi ragazzi non avranno più il senso dell’onore!” Domenico salutò e se ne andò.

Canzano 2– Nei giorni successivi gli avvenimenti precipitarono?

D’AURIA – Quella sera tirava una brutta aria; mia sorella mi suggerì prudentemente di mangiare gli spinaci senza fiatare. Gli spinaci mi disgustavano: li ingoiai senza masticare, con lunghi sorsi d’acqua. Non si disse nulla a tavola. Poi mio padre parlò con mia madre e subito ritornò all’aeroporto.
Nei giorni seguenti (9 e 10 settembre) mio padre si fece vedere per visite brevissime, non più di quindici minuti, con l’autista pronto in auto davanti al portone. Parlava poco, sottovoce, solo con mia madre.
Nel tardo pomeriggio del giorno dieci settembre, un frastuono ci fece correre al balcone. Una fiumana di gente frenetica correva giù per la strada in discesa che collega l’Aeroporto al centro abitato di Castel Viscardo. Erano scalmanati, sembrava avessero il diavolo alle calcagna, vociavano, si spingevano, buttavano divise, si davano per i campi. Un incredibile caos.

Canzano 3– Cosa era successo?

D’AURIA – Dopo un poco venimmo a capo dell’accaduto. I tedeschi si erano presentati all’Aeroporto con alcune autoblinde chiedendo di parlamentare. Informato, mio padre dette ordine ad un aviere di accompagnare il Comandante nel suo ufficio. L’aviere pensò bene di squagliarsela così come quasi tutti i militari in forza al campo d’aviazione (quasi 3.000 avieri e graduati). Attraverso il lungo recinto del campo, divelta la rete metallica della recinzione, temendo di dover subire sulla propria pelle le conseguenze della bravata di Badoglio, se la dettero a gambe abbandonando il posto.
Si cercava di avere notizie ma non era per niente facile. Ognuno diceva una cosa diversa aggiungendo qualcosa di suo a quanto aveva sentito.
Nel mentre, ci si accorse che la bicicletta di Venceslao Valentini (detto Lallo) era stata rubata. Nel dramma, il furto della bici diventa fatto prioritario; il Conte Angelo mette in moto la sua auto Bianchi a gas metano. Andiamo a caccia del ladro chiedendo agli sbandati che si dirigono verso il più vicino scalo ferroviario se hanno visto una bicicletta grigia. Notizie contraddittorie finché si arriva alla stazione. Incredibile a dirsi, la stazione funzionava e centinaia di persone, forse un migliaio, si accalcavano in attesa del treno che poi arrivò sbuffando e fumando. Scene fino allora mai viste: ex-soldati, senza disciplina alcuna, sgomitavano e bestemmiavano per guadagnarsi un appiglio che permettesse loro di aggrapparsi al treno in partenza. Il Capo stazione, uno dei pochi ancora con la testa sul collo, non sapeva che cosa fare. Chiedeva inutilmente il biglietto ammonendo quei passeggeri che non avevano alcuna intenzione di acquistarlo. Una baraonda! La bicicletta non si trovò e tornammo sui nostri passi.

Canzano 4– Cosa fece suo padre?

D’AURIA – All’Aeroporto, mio padre con tutti gli ufficiali era rimasto al suo posto; in un primo tempo fu disarmato ma poi lui stesso convinse l’ufficiale tedesco a restituire le armi a tutti gli ufficiali. Cosa che fu fatta. Chiese anche di uscire dall’aeroporto per venire a casa. Gli prepararono un permesso scritto e lo lasciarono libero “sulla parola”; nonostante l’accaduto, la parola d’un ufficiale aveva ancora qualche valore per i tedeschi!
Ce lo vedemmo arrivare verso le 21 e 30 di sera. Mia madre, dopo gli eventi della giornata, s’era intesa male, era svenuta e veniva assistita dalla contessa Valentini. Eravamo tutti nel giardino dei Conti Valentini quando dal cancello semiaperto entrò mio padre, in divisa estiva (faceva ancora caldo) con il fucile a spalla. Guardò mia madre che si sollevò, si abbracciarono e si misero entrambi a piangere.
Ricordo perfettamente ogni dettaglio anche se, in quel momento, non apprezzavo la gravità degli accadimenti.

Canzano 5– In paese successe qualcosa durante la notte?

D’AURIA – Durante la notte non si dormì per il frastuono che veniva dalla strada. Mia madre s’affacciò al balcone. Tutto il paese era al lavoro. Uomini donne e ragazzi, sapendo che il campo era stato abbandonato e che le sentinelle tedesche erano poche e piazzate solo al’ingresso principale, attraverso la rete di recinzione del Campo d’Aviazione, divelta in più parti dagli avieri in fuga, penetrarono all’interno della zona aeroportuale asportando dai magazzini tutto il ben di Dio che vi si poteva trovare. Tutto veniva preso e trascinato per strada. Grosse forme di formaggio venivano fatte rotolare, sacchi di pasta e riso ed ogni altro tipo di generi alimentari, materassi, coperte, scarpe, paracadute, piatti, posate, oggetti e suppellettili di ogni genere veniva trascinato per strada e nascosto nelle case. L’aeroporto fu letteralmente svuotato. Solo gli aeroplani rimasero al loro posto. Quando i tedeschi se ne accorsero cominciarono a sparare e ci scappò il morto. Ricordo il funerale di un povero giovane e la madre che piangeva dietro la bara portata a spalla: “Figlio, figlio mio!” Ancora mi dispiace per la vita di un giovane ed ancor più per il dolore di quella povera madre. Spero solo che, per giustizia, questa non abbia ricevuto la pensione per il figlio caduto in azione di guerra, magari “partigiana”, “contro il tedesco invasore”. Stava, con tanti altri, rubando. Ma io metterei anche quel povero morto sul conto di Badoglio.

Canzano 6– Suo padre trovò dopo un pò di tempo per raccontare i fatti?

D’AURIA Con calma mio padre rievocò e raccontò quanto accaduto. Alla notizia della resa, ascoltato per radio e per caso, mio padre attese che arrivassero comunicazioni ufficiali, per le normali vie militari. Ordini, in altre parole. L’attesa dopo un po' si fece insostenibile, mio padre cominciò a chiamare telefonicamente il Ministero, nessuna risposta. All’invio di messaggi radio con richiesta di istruzioni non rispose nessuno. Finalmente, all’ennesimo tentativo di chiamare il Ministero, rispose un aviere che disse testualmente: “Signor Colonnello, qui non c’è più nessuno, se la sono squagliata tutti. Io sono qui per ritirare delle carte personali; abbasso la cornetta e me ne vado anche io.”
Mio padre lanciò un ultimo messaggio radio, quasi un S.O.S., nell’etere, rivolto a chiunque stesse in ascolto chiedendo “libertà di agire di iniziativa” (si sa che nessuno nelle forze armate può agire di propria iniziativa senza specifica autorizzazione) ma non ebbe risposta.
Allora cominciò a darsi da fare. Le difese dell’aeroporto erano inconsistenti. La difesa contraerea consisteva in due mitragliatrici, la difesa a terra era affidata a circa centocinquanta fucili e relative baionette. Poche munizioni.
Chiamò la scuola allievi ufficiali di Orvieto dove stavano svolgendo il corso un centinaio di giovani che potevano essere inviati di rinforzo. Nulla, i giovani erano stati subito inviati alle famiglie, la Scuola si era svuotata.
Riuscì a parlare con un generale che gli suggerì di mettere gli aerei “in condizione di temporanea inefficienza”. Il bizantinismo italiano non si smentisce mai! Rendere i mezzi bellici inefficienti quando non c’è un ordine esplicito é reato gravissimo a meno che tali mezzi non stiano per cadere in mano al nemico. Si corre il rischio di fucilazione. Si badi bene che in quei giorni le forze germaniche, anche dopo la dichiarazione di resa, erano ancora nostre alleate, mentre le forze anglo-americane erano ancora nostre nemiche e tali rimasero fino alla firma del trattato di pace che ci fu imposto nel 1947!! Il dilemma era insolubile.
La conclusione fu quella prevista e già verificatasi altrove. Le forze Italiane si sbandarono di fronte ai tedeschi, per fortuna non ci furono conflitti né rappresaglie.

Canzano 7– Dopo cosa accadde all’aereoporto?

D’AURIA – Nei giorni successivi, mio padre rimase al Campo, prigioniero “sulla parola”. I tedeschi gli chiesero di trasportare gli aerei da Orvieto a Vicenza non essendo essi stessi in grado di farlo perché non conoscevano la macchina. Con quegli aerei doveva trasportare anche dei feriti provenienti dal fronte. Mio padre accettò. A Castel Viscardo erano rimasti alcuni militari in attesa di non si sa quale evento. Fra questi mio padre cercò un motorista che potesse aiutarlo ad azionare i motori. Assistetti al colloquio di uno di questi. Come gli altri, non voleva saperne di farsi avanti per paura di essere deportato in Germania. Ricordo che mio padre impegnò la sua parola garantendo al motorista ogni immunità. Il motorista accettò per “fare un piacere” al suo Comandante. Strano come i rapporti personali possano, a volte, condizionare o determinare gli eventi! Finalmente, si riuscì a organizzare il trasferimento degli aerei. Mio padre trasportò, ancor prima della costituzione della R.S.I. ben 20 aerei S-82 e 15 aerei S-81 del suo 18° Stormo al Nord (aeroporto di Vicenza). Gli aeroplani restavano a Vicenza, Lui tornava con una camionetta e riportava un altro aereo e così via tutto da solo. Questa sua attività sarà poi causa di processi e di condanne per “collaborazionismo”.

Canzano 8– Come fu il rientro a Roma?

D’AURIA – Verso la fine del mese di settembre, tornammo da Castel Viscardo a Roma anche se sapevamo di andare incontro a bombardamenti e tempi duri. Difatti a Roma cominciavano a difettare i rifornimenti per cui il problema alimentare si faceva sentire pesantemente.
Un camion della Wermacht ci portò alla stazione di Orvieto con tutti i nostri bagagli. Furono gentilissimi anche se non riuscivamo a capirli.
A sera, arrivati a Roma, incappammo nel “coprifuoco”; non circolavano taxi, tram o autobus. Per nostra fortuna un facchino si offrì di accompagnarci col suo carretto, carico dei nostri bagagli, a casa. Così, a piedi, attraverso la città oscurata e silenziosa, in una notte tanto buia che non si vedeva a un palmo dal naso, ci incamminammo verso casa cercando di fare il massimo rumore e camminando al centro della strada; il carretto a mano aiutava a far frastuono col cigolio delle ruote.
Una pattuglia tedesca di guardia alla “Enrico Corradini”, scuola elementare trasformata in ospedale, (oggi scuola Elementare Fratelli Bandiera) ci intimò l’ALT! O meglio, ci intimò qualcosa perché noi non capivamo… Ce lo aspettavamo e per questo avevamo fatto rumore.
Ci fermammo, si avvicinarono due soldati tedeschi con una piccola torcia elettrica., mostrammo i nostri biglietti ferroviari dicendo che eravamo arrivati da poco. Furono gentili, ci salutarono e ci lasciarono proseguire.
Non erano ancora cominciate le “bravate” dei franchi tiratori; forse non sarebbero stati così gentili o quantomeno avrebbero voluto aprire casse e valige. Quella sera, difatti, avremmo potuto, trasportare armi, esplosivo, o altre cose per la guerriglia che si andava organizzando e saremmo riusciti a passare tranquillamente.
Ma noi non concepivamo neppure l’idea della guerriglia.

Intervista video:
http://www.youtube.com/user/giovannacanzano

prima parte –
http://www.youtube.com/user/giovannacanzano#p/u/3/-EfC2T3Rj_g
seconda parte –
http://www.youtube.com/user/giovannacanzano#p/u/2/-GLZf3Z-7Ks

giovanna.canzano@yahoo.it
338.3275925
Giovanna Canzano – © – 2010

Lascia un commento

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy