Un giorno da Di Pietro

Si sa che la gente dà buoni consigli se non può dare cattivo esempio“: cantava Fabrizio De André in “Bocca di rosa”.
E’ il primo pensiero che ho avuto quando i giornalisti mi hanno chiesto di commentare il trattato sull'incoerenza esposto a Mirabello da Gianfranco Fini.
Il presidente della Camera ha attaccato Berlusconi e il berlusconismo con un discorso che, per lunghi tratti, sembrava scritto dall'Italia dei Valori. Ma non si può giocare a fare l'Antonio Di Pietro per un giorno a settimana, e stare gli altri sei dall’altra parte della barricata.
Fini, più che prendere le distanze dal Pdl, ossia da se stesso, si è proposto come il nuovo che avanza nel centrodestra, dimenticando, però, che è stato fedele alleato di Berlusconi per 16 lunghi anni. Per tutto questo tempo, Gianfranco Fini ha contribuito in modo diretto e determinante ai successi personali del Premier e alle disfatte del Paese.
Fini ha dato all'Italia i condoni edilizi e fiscali nel 2003, votando con Berlusconi.
Fini ha approvato lo Scudo Fiscale nel 2009, votando con Berlusconi.
Sempre Fini, che ieri ha parlato dei precari della scuola, ha partecipato (poiché al Governo) ai decreti legge firmati Gelmini che hanno partorito migliaia di nuovi precari nel mondo scolastico.
Ancora Fini ha fatto in modo che il Paese diventasse a uso e consumo del Premier votando almeno 18 leggi ad personam, dal digitale terrestre alla legge Cirielli, dalla legge Pecorella al lodo Alfano.
Non capisco se il Presidente della Camera, col suo discorso a Mirabello, prenda per scemi gli italiani, oppure sia subentrata in lui una profonda crisi di coscienza e di identità che lo ha spinto verso un improvviso ravvedimento operoso.
Anche in questo secondo caso non può certo proporsi come alternativa al berlusconismo.
I pentiti, anche se tali, non possono pretendere di diventare i leader dell'antimafia.
Fini ha condiviso per troppo tempo il comodo talamo del Pdl, che c’è e opera a pieno regime dal 1994, e non può tornare indietro. Il suo obiettivo, ne deduco, sia non tanto la proposta di cambiare il Paese, quanto la successione a Berlusconi.
Un piccolo indizio ce lo ha già dato durante il discorso, infatti se lasci un partito pieno di indagati e condannati, non puoi avvicinarti ad un partito il cui massimo esponente si chiama Salvatore Cuffaro. Mi sembra una contraddizione in termini.
L'Italia dei Valori rimane scettica nei confronti di un’alta carica dello Stato che polverizza l’operato del Governo ma, allo stesso tempo, promette di rimanergli fedele.
A Mirabello Fini si è anche lasciato andare all'emozione dicendo: “Fa piangere il cuore il fatto che un ragazzo su quattro non lavori”, peccato che se i tre disoccupati avessero avuto modo di parlare, Torino docet, gli avrebbero chiesto volentieri cosa ha fatto lui negli ultimi anni per loro.
Nonostante tutto ciò, gli italiani sarebbero disposti a riconoscergli l’onore delle armi a patto che ora Fini dimostri coerenza, facendo seguire alle parole i fatti e sfiduciando Berlusconi. Diversamente potremmo definirlo un comune quaquaraquà

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