Aigues-Mortes come Berna e Zurigo, luoghi della memoria storia dell’emigrazione italiana

La cittadina francese della Camargue Aigues-Mortes (chiamata dagli antichi Romani «Aquae Mortuae» perché situata in un’ampia zona paludosa) è forse più nota a molti italiani come meta turistica estiva, che come borgo medievale fortificato da maestranze genovesi e da cui partirono ben due crociate e ancor meno come un luogo della memoria storica dell’emigrazione italiana in Francia.
Per chi non vuol dimenticare che gli italiani sono stati un popolo di migranti e che la vita da emigrato era continuamente a rischio, Aigues-Mortes ricorda una delle pagine più tristi della storia dell’emigrazione italiana, scritta col sangue nel mese di agosto di 117 anni fa.
Sul finire del XIX secolo dall’Italia si partiva in massa, soprattutto verso le Americhe e, nella buona stagione, verso alcuni Paesi europei, specialmente Francia e Svizzera, dove erano diffusi i lavori stagionali. In Svizzera erano soprattutto lavori di genio civile per la costruzione delle ferrovie, in Francia i lavori dell’agricoltura, dell’edilizia e altri.
Quando il lavoro era abbondante e ben retribuito c’era posto per tutti. Quando invece scarseggiava e i padroni tiravano giù le paghe il cosiddetto fronte operaio rischiava di rompersi e la solidarietà operaia predicata dai socialisti di scomparire. Ciò accadde spesso, sia in Francia che in Svizzera, dove si produssero anche episodi di estrema violenza.
In Francia, l’episodio più clamoroso accadde il 19 agosto 1893, quando nelle saline di Aigues-Mortes, la conflittualità latente tra operai italiani e francesi per questioni di produttività (lavoro a cottimo) e salari degenerò in una vera e propria aggressione fisica che lasciò sul terreno, secondo fonti ufficiali, 9 morti tutti italiani (molti di più secondo fonti giornalistiche).
I francesi erano esasperati dal fatto che la Compagnie des salines di Peccais, in Camargue, aveva fatto arrivare dall’Italia circa seicento operai italiani e lasciato a casa altrettanti francesi. Per vendicarsi dell’affronto subito, una banda inferocita di diverse centinaia di persone si scatenò contro gli italiani, «colpevoli» di aver accettato di lavorare al loro posto, a cottimo e a una paga inferiore.
L’eco di quella aggressione si diffuse in tutta Europa, ma soprattutto in Francia e in Italia, i cui rapporti diplomatici già tesi rischiarono di deteriorarsi. Da entrambe le parti si capì che bisognava rompere subito la spirale della violenza. Alla vibrata protesta dell’ambasciatore italiano, il governo francese rispose assicurando che sarebbe stata fatta la massima chiarezza sull’accaduto e che le famiglie delle vittime sarebbero state prontamente indennizzate. Per diverso tempo, tuttavia, il clima contro gli italiani restò teso. Nella regione di Aigues-Mortes si arrivò perfino a organizzare una petizione (poi respinta!) affinché fosse impedito alle imprese francesi di assumere non più del 10 per cento di operai stranieri. Una sorta di iniziativa popolare per contingentare l’afflusso di manodopera estera, anticipando di quasi settant’anni le iniziative antistranieri di Schwarzenbach e degli estremisti di destra svizzeri.
Dal 1893 ad oggi sono passati ben 117 anni e la memoria di quel triste episodio è affidata quasi unicamente ai libri di storia e agli archivi dei giornali dell’epoca. Credo perciò che sia stata una lodevole iniziativa di storici e rappresentanti istituzionali francesi e italiani l’aver organizzato il 24 luglio scorso a Grimaldi di Ventimiglia una «Giornata italo-francese di riconciliazione della memoria» sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
In quell’epoca, gli episodi di violenza contro gli italiani erano all’ordine del giorno anche in Svizzera, sebbene non abbiano mai raggiunto l’efferatezza di quelli avvenuti nel sud della Francia. Alcuni di essi, in particolare uno a Berna, proprio nello stesso anno 1893, e uno a Zurigo, nel 1896, sono passati alla storia dell’immigrazione italiana in Svizzera come «Italiener-Krawall» (tumulti degli italiani), benché gli italiani fossero solo vittime e non aggressori.
Quello di Berna (19.6.1893) scoppiò tra gli operai edili per motivi salariali. Per ragioni di convenienza economica, un imprenditore aveva preferito gli italiani (che avrebbe potuto rimandare facilmente al proprio Paese in caso di disaccordi o proteste) agli svizzeri che erano meglio organizzati e pretendevano di più. Agli svizzeri sembrò uno sgarbo imperdonabile e attaccarono in massa gli italiani. Ne nacque una rissa furibonda, sedata solo dall’intervento della polizia e dell’esercito con decine di arresti.
Ben più grave fu il tumulto verificatosi tre anni più tardi a Zurigo. La goccia che fece traboccare il vaso fu un episodio criminoso: durante una rissa un immigrato italiano aveva ucciso a coltellate un compagno alsaziano che l’aveva insultato e provocato. In breve tempo si sparse la voce che ancora una volta un italiano aveva fatto uso del suo micidiale coltello e la massa degli antitaliani zurighesi sembrò che non aspettasse altro per mettere a ferro e fuoco tutto quanto sapeva di italiano. Così la notte del 26 luglio 1896 fu data una vera e propria caccia al «Tschingg» (uno dei numerosi termini dispregiativi con cui s’indicavano gli italiani). In pochissime ore vennero devastati ventidue locali d’italiani tra abitazioni, ritrovi, negozi, ristoranti situati in diverse zone della città. Per sedare il tumulto dovette intervenire l’esercito con la fanteria e la cavalleria. Per fortuna non ci furono morti. Gli italiani avevano dovuto abbandonare in massa la città.
Gli studiosi s’interrogano ancora oggi quali siano state le vere cause scatenanti non tanto dei disordini quanto piuttosto dell’odio verso gli italiani. Spesso si crede di individuare la causa principe nella xenofobia. Per altri si è trattato di episodi di una tipica guerra tra poveri. Difficile negare un po’ di ragione agli uni e agli altri. In realtà le cause vanno ricercate nel clima sociale e culturale degli ambienti coinvolti, in cui erano spesso carenti il senso della legalità e soprattutto la cultura del rispetto e della tolleranza reciproca.
Giovanni Longu
Berna, 19.8.2010

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