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Trattamento Sanitario Obbligatorio

Il 4 agosto 2010, è un anno che è stato ammazzato con un Trattamento Sanitario Obbligatorio, Francesco Mastrogiovanni, della serie Detenuti Contenuti Legati e Morti.

Un anno fa appresi cosa significa TSO, Trattamento Sanitario Obbligatorio, scrivendo di Francesco, Franco per gli amici.Estate… Non lo conoscevo…La Dimora del Tempo Sospeso di Francesco Marotta ospita ancora oggi commenti arrivati a poco meno di 500. Così scrivevo Passione e morte di un innocente sulla mia pagina di Face Book e Vladimiro Cordone raccoglie…: “Vorrei portare a quanto detto da Doriana una mia esperienza sui TSO, che oggi si chiamano così, ma un po’ di tempo fa non si chiamavano nemmeno, c’erano i manicomi e basta, che però nella sostanza nulla cambia.” Ho chiesto all’amico il permesso di pubblicarla, di tirarla fuori la sua storia, da un limite di contenimento, quale può essere il mondo virtuale, perchè altre e altri possano sapere.

Tuttavia nella testa, continua a girarmi un motivetto “U’ Munnu è fora” e le parole che l’accompagnano, ve le scrivo tutte, in una giornata di agosto 2010, come il racconto vero di uno qualunque tra noi. La canzone e il testo me l’aveva inviati Maria Leone su FB, così:” U MUNNU è FORA, il mondo è fuori… Il mondo è fuori, davanti la porta in mezzo alla strada, …sopra uno scoglio, sotto la luna. Il mondo suona una chitarra o una bomba, mangia carne arrostita o pane e acqua. Il mondo è fuori, fuori di testa, è fuori fuori. Si danna e spera, ride e balla e si consola c’è un mondo fuori che senza soldi non funziona, rumore che rende attoniti, rumore di macchine e motori. Il mondo è vergine di natura, ma senza soldi non funziona. Mi dà la forza di acchiappare senza una lira cielo e mare. e quando negli occhi vedo il mondo mi dà la pace come il sonno…. il mondo è fuori… Traduzione imperfetta perché alcune parole siciliane non possono assolutamente essere tradotte. Hanno una forza tutta loro che non trova un corrispettivo in italiano. Una lingua che viene dalla pancia e che spesso nella pancia rimane.”

Vladimiro, è la stessa persona che ricordava certe voci inascoltate delle vuvuzela, e scriveva:” Sto facendo un viaggio alle sorgenti del mio tempo per scoprire quando sono diventato un fiume“. Quello che scriviamo, almeno quello, rimane. Ed è stata una bella giornata di sole.

Doriana Goracci

“Vorrei portare a quanto detto da Doriana una mia esperienza sui TSO, che oggi si chiamano così, ma un po’ di tempo fa non si chiamavano nemmeno, c’erano i manicomi e basta che però nella sostanza nulla cambia. L’esperienza tragica e dolorosa di cui vorrei parlare è quella di mio padre, Giampiero, morto suicida all’età di 49 anni. Dai miei ricordi fin dalla tenera età, la presenza di mio padre è sempre stata accompagnata da un insieme di violenze di assenze e di povertà. Operaio iscritto al PCI sempre in prima linea e con una grossa dipendenza da alcol oltre che a un grande senso di inadeguatezza alla vita stessa. Gli anni 60 furono anche gli anni del boom economico ma quelli che li precedettero, quelli in cui io ho vissuto la mia infanzia, furono anni duri, quelli del dopo guerra tanto per capirci. Per rendere più completo il quadro del contesto in cui si muove la storia di mio padre, e la mia, devo aggiungere che il tutto si svolge nella cattolicissima Lecco ieri roccaforte DC oggi avamposto ciellino oltre che legaiolo. ( non dimenticate che Formigoni si è fatto le ossa nei GS di don Giussani, con cui ebbi “rapporti ravvicinati”, proprio qui a Lecco. Per la cronaca La vicenda emblematica di Eluana Englaro non poteva trovare miglior palcoscenico proprio qui).
Questi sono gli ingredienti e adesso la storia.
Ciclicamente mio padre aveva delle esplosioni di violenza prima contro gli altri per poi rivoltarsela contro se stesso con tentativi di suicidio, non ne ricordo quanti , da molti che furono. Fatto sta che ogni volta che ciò accadeva finiva con un ricovero al manicomio di Como dove la cura era una buona dose di scariche elettriche come sedativo, il che funzionava per circa sei mesi per poi ritornare tutto come prima. Un routine fatta di sbronze più che quotidiane, che erano il suo personale sedativo al suo male di vivere. Poi accadde una sera, mi ricordo che era maggio e io tornavo, come ormai accadeva da cinque anni, dalla scuola serale dove studiavo come perito, era tardi, e stranamente tutte le luci di casa erano accese, cosa insolita che mi insospettì. E ne avevo ben donde. Per farla breve mio padre aveva radunato tutta la famiglia , mia madre e tre fratelli e sorelle in un angolo della casa mentre lui “tranquillamente si tagliuzzava la vene, la casa era un delirio di sangue e terrore, con uno stratagemma riuscii a tramortire mio padre e chiamai l’ambulanza. Risultato fu l’ennesimo ricovero al manicomio di Como, altre scariche e il ritorno a casa. Questa fu l’ultima volta che ebbi parte attiva in una situazione famigliare, poco tempo dopo, era il ’70, decisi di trasferirmi a Milano per inseguire il mio sogno di rivoluzione. Nel 76, era ancora maggio e mio padre finalmente, per lui decise che il suo tempo era arrivato. Aveva solo 49 anni.
Racconto questa storia per far capire come in Italia, ieri come oggi, vengano trattati i cosidetti “matti”, cioè quelli che non riescono a vivere dentro le anguste e poco democratiche regole di questa società incivile. I TSO di oggi che fanno uso di potenti farmaci sedanti non sono per niente diversi dagli elettroscock di ieri e i letti di contenimento puzzano di urina e feci oggi come nei manicomi di ieri. Nulla è cambiato, se non il mezzo, per non curare questo disagio. A mio padre mai che abbiano chiesto il motivo dei suoi gesti auto/distruttivi, l’importante era ” fermarli”, affinchè non” apparissero”, non scalfissero l’immagine di una società proiettata al futuro in cui la catena di montaggio era diventata il nuovo totem, attorno a cui facevano saltellare tutti nella tragica danza del progresso. Tutte le battaglie di Basaglia sono finite nel cesso non solo per volere di una classe dirigente stupida e bigotta, ma anche per una società “civile” che non mai voluto accettare al suo interno ” elementi” portatori di disagio.
Quante famiglie tengono nascoste, per ” vergogna”, situazioni in cui uno dei componenti viene travolto da questa “malattia”? Per mia esperienza vi posso dire : tante, ma proprio tante, il sistema sanitario poi non è in grado di affrontare queste tematiche per mancanza di una cultura di accettazione del ” diverso”. Si fa tanto parlare, giustamente, del razzismo imperante nei confronti dei migranti, e si fanno giuste battaglie. Ma quasi nessuno viene in mente di lottare contro quel razzismo che noi abbiamo anche con nostri parenti, quando proviamo vergogna di loro, per loro non ci sono CIE, vergogna di un paese civile, non esiste niente.
Non esiste niente perchè niente ci deve essere, altrimenti sarebbe il riconoscimento che una società non è perfetta, non per niente i “matti” sono trattati in egual misura sia in una società capitalista o” comunista”. Nessuno deve turbare l’avanzata della società verso gli obiettivi prefissati. Non c’è spazio per i diversi in mondo di “uguali” di qualsiasi appartenenza essi siano. Dunque TSO o manicomi sono le facce di una stessa medaglia, quelle dell’emarginazione. E dico che nessuno può chiamarsi fuori.
Mi ricordo che quando mio padre si suicidò, la maggior preoccupazione di mio zio, il fratello di mio padre, fu quella che i giornali non ne parlassero. Dopo i funerali io feci un comizio “volante” davanti alla fabbrica dove entrambi avevamo lavorato, per gridare con tutta la mia rabbia la storia di Giampiero, Pierino per gli amici, operaio comunista matto e alcolista.
E mi ricordo anche una domanda che un “matto” fece a Basaglia. Dottore si è matti perchè si sente dolore o si sente il dolore perchè si è matti? Basaglia non ebbe la risposta.
Sarebbe ora che noi ci ponessimo quella domanda.
Ciao a tutti.

Vladimiro Cordone

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