Invocarla non basta: la meritocrazia va applicata

di Potito Salatto*

La cronaca del dibattito avviato a Orvieto da Gianni Alemanno è certamente un momento di riflessione che non può non coinvolgere tutto il Pdl. Così come le posizioni «pontiere» espresse dal Sindaco di Roma (che ho sempre ritenuto il più intelligente degli ex colonnelli di An che hanno preferito Berlusconi a Fini) sono uno sforzo che merita attenzione e apprezzamento. Certo, se in questo convegno fossero stati invitati anche gli «irriducibili» finiani doc, il confronto sarebbe stato più vivace e interessante.
Mi permetto però di fare alcune considerazioni che mi sorgono spontanee. Ormai va di moda chiedere agli altri la meritocrazia, la democrazia interna, i congressi eccetera. Mi domando, altresì, perché poi i richiedenti non siano consequenziali con se stessi. Nella fattispecie la Giunta Alemanno è frutto di meritocrazia? Le liste del Lazio (e non solo) sono frutto di meritocrazia o piuttosto di parentopolicrazia? Le decisioni amministrative sono conseguenza di una complessiva riflessione all’interno di un partito, ammesso che questo esista a Roma e nel Lazio? Le nomine nelle aziende rispondono a rigidi criteri di specifica professionalità? Quando si chiede di svolgere i congressi, si hanno chiare le idee sulle modalità degli stessi? Quale ruolo viene svolto dai quadri periferici locali (per esempio i Municipi), veri protagonisti della ricerca del consenso sul territorio? È vero che Berlusconi ha una capacità mediatica indiscussa, ma siamo sicuri che i voti a lui attribuiti non siano anche la risultante dell’impegno dei militanti del Pdl (ex Fi ed ex An)?
Coinvolgere significa discutere, mediare posizioni dialetticamente contrapposte. La regola invece che prevale sui territori (non solo romani e laziali) è quella «o con me o contro di me» con conseguente emarginazione dei mancati «yes man» tanto vituperati. Si persegue la linea del «men simm e chiù bell apparimm» (che significa «meno siamo e più belli sembriamo», per dirla in napoletano con il collega eurodeputato Rivellini). Il Pdl di Roma e del Lazio non è solo quello di Alemanno e della Polverini, come qualche organo di stampa ha intitolato. È come dire che la Chiesa è solo quella del Santo Padre o della Curia. No, la Chiesa è quella dei fedeli che quotidianamente affrontano i problemi della vita con fede, speranza e carità.
Che senso ha vituperare le ipotetiche correnti se poi qualcuno, autorevole come la Polverini, immagina di presentare liste autonome dal Pdl? Quando Alemanno parla di squadra nazionale con Berlusconi prima, e dopo senza di lui, significa forse che a livello romano e laziale, in piccolo, la squadra è quella di Alemanno, Rampelli e Sammarco, che fino a oggi ha gestito tutto e il contrario di tutto?
Lo spontaneismo dei circoli di Generazione Italia dimostra che ci sono migliaia di giovani che vogliono impegnarsi in politica, peraltro fuori dal potere locale. Tentare di emarginare, ammesso che si riesca, questa linfa vitale per le sorti del Pdl è un incalcolabile errore politico che prima o poi darebbe risultati disastrosi. È vero, tutti noi auspichiamo l’unità del partito attraverso un chiarimento definitivo tra Berlusconi e Fini, ma questo non basta se ai livelli locali ognuno tenta di trovare un suo spazio come fanno i bambini con i genitori separati. La politica, quella vera, ha bisogno di uomini maturi, consapevoli delle proprie responsabilità e non solo di quelle altrui.
Ad Alemanno, al quale voglio bene come lui dice di volerne a Fini, dico: forza Gianni, fai anche tu un passo avanti dimostrando apertura e capacità di coinvolgimento. Il Sindaco di Roma non può limitarsi a essere prigioniero di una sua corrente o di suoi presunti fedelissimi. La politica, quella vera, specialmente quando si rappresentano momenti istituzionali importanti, richiede la più ampia apertura mentale possibile per essere, non solo per il titolo che si ricopre, un vero leader.

*eurodeputato del Pdl-Ppe

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