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BONDI: No al golpe dei pm che vogliono rovesciare il governo scelto dagli elettori

L’intervista di Sandro Bondi a “Il Giornale” di mercoledì 28 luglio 2010

E poi dicono che Sandro Bondi sia un tipo felpato, misurato, quasi smielato. Stavolta invece parla di giudici che vogliono rovesciare Berlusconi e di Fini che pensa «alla carriera e al tornaconto personale». Si vede che il coordinatore del Pdl la felpa l’ha lasciata a casa.

Onorevole, che succede? C’è del marcio in Danimarca?
“In Danimarca non so. In Italia c’è un tentativo ribaltare il governo. Tranquilli, fallirà”.

Addirittura, un golpe: non starà esagerando?
“Per niente. Una cultura profondamente illiberale porta avanti il progetto di abbattere il governo scelto democraticamente dagli elettori attraverso la via giudiziaria e quella degli scandali politici. Un progetto che, a differenza del passato, è destinato al fallimento”.

Eppure la P3, la cricca, certi favori, non sembrano proprio un’invenzione. È così sicuro che la questione morale non stia travolgendo il suo partito?
“Sta prevalendo un’atmosfera avvelenata e incupita, alimentata da continue campagne mediatico-giudiziarie su scandali spesso solo presunti, ingigantita dalle strumentalizzazioni politiche e dal continuo risorgere di una lettura tutta in negativo della nostra storia, come se fosse segnata soltanto da trame e attentati alla democrazia compiuti anche da parte di corpi dello Stato deviati”.

Infatti si riparla della mafia, dei rapporti tra le cosche e Forza Italia, dell’agguato di via D’Amelio…
“Ecco. La magistratura, invece di fare luce in maniera definitiva su avvenimenti che dopo decenni ancora attendono verità, alimenta un dibattito politico che non approda mai ad alcuna conclusione. Nello stesso tempo apre o tiene sospesi nuovi fronti di strumentalizzazione mediatica, attraverso nuove inchieste che hanno una chiara finalità di ordine politico. Penso proprio a quelle inchieste sugli attentati mafiosi del 1992, che sono servite unicamente ad attaccare ingiustamente il Pdl e il governo Berlusconi che sono artefici della lotta contro la mafia”.

Ma la P3 è storia di oggi…
“La cosiddetta P3 è un nuovo capitolo di questa storia, strumentalizzata ad arte per screditare una parte politica. Il clamore intorno a questa vicenda è pari solo all’inconsistenza delle accuse che vengono ingigantite di fronte all’opinione pubblica, senza che gli interessati possano tutelare i propri diritti e difendersi”.

Insomma, secondo lei la colpa di tutto è dei magistrati e dei giornalisti. Scusi onorevole, però questa l’abbiamo già sentita.
“Ma è così. Siamo dinnanzi ad un paradossale intreccio giudiziario-mediatico-politico capace di prefigurare scenari apocalittici e criminali inventati di sana pianta e di pronunciare condanne prima ancora che intervenga il giudizio della magistratura”.

Non c’è qualcosa in comune con Tangentopoli?
“Tangentopoli fu la tappa finale di un sistema da tempo in crisi irreversibile. La presenza in Italia del più grande partito comunista dell’Occidente impossibilitato a divenire una forza di governo, la mancanza di un sistema dell’alternanza e la partitocrazia avevano creato le condizioni della corruzione, della crescita del più alto debito pubblico d’Europa e dell’assenza di un ricambio delle classi dirigenti. La questione morale nasceva proprio dall’occupazione dello Stato da parte dei partiti e dall’intreccio perverso tra la politica e l’economia. Questo sistema sopravvive e prospera oggi soltanto nelle regioni rosse. Le denunce da parte di una società come la Esselunga, all’insegna della richiesta di maggiore concorrenza e libertà, aprono uno squarcio impressionante. Al contrario, il governo è impegnato a ridurre radicalmente il potere dei partiti sulle istituzioni, e di conseguenza diminuire il potere politico sull’economia e sulla società civile, fermo restando il dovere dello Stato liberale di stabilire le regole generali”.

Che ne dice della richiesta di Fini di togliere incarichi politici agli indagati del Pdl? È solo un dissenso politico?
“Dico che il nostro successo si fonda su due principi: l’unità del partito e un’azione di governo rivolta al cambiamento dell’Italia. Gli italiani ci hanno apprezzato, diversamente dalla sinistra, anche perché abbiamo sempre offerto l’immagine di una squadra compatta impegnata a realizzare le riforme di cui c’è bisogno. Per questo è nato il Pdl, per semplificare la vita politica. Più il partito si rivela unito e concentrato nella cose che riguardano il futuro dell’Italia, più il governo si trova nelle condizioni migliori per conseguire dei risultati. È così che siamo riusciti a mantenere la barra diritta durante la crisi economica più grave dopo quella del 1929. Gli italiani questo lo hanno capito e ci hanno premiato. Ora dobbiamo utilizzare i tre anni di legislatura che restano per completare il programma”.

Ma il Pdl si è diviso. Non c’è solo il caso Fini, sono nate pure delle correnti.
“Invece di lavorare tutti nella medesima direzione, si è incuneato il germe della discordia e della divisione, ha preso il sopravvento quel male tipico della politica italiana che consiste nel guardare non agli interessi concreti del Paese bensì al tornaconto personale di chi, essendo un professionista della politica, pensa solo alla propria carriera”.

Sta parlando di Fini?
“Be’, se siamo giunti a questo punto, lo si deve non al legittimo diritto al dissenso, non alle critiche in positivo che possono essere rivolte al governo o al partito, ma ad una sorta di cupio dissolvi, ad una mania distruttiva, indifferente ad ogni valutazione della realtà, che interviene nei politici di professione quando non sentono soddisfatte appieno le loro aspirazioni e i loro interessi personali”.

Come andrà a finire il duello interno?
“Non ci faremo certo condizionare da questa volontà di distruggere ciò che abbiamo costruito in questi anni. L’Italia ha bisogno di un governo nel pieno delle sue funzioni, che prosegua l’opera di modernizzazione. Non ci sono alternative politiche a questo governo e a questa maggioranza. Occorre che il Pdl affronti liberamente i propri problemi interni, secondo le regole democratiche sancite dal congresso. Chi si ostinerà a non voler riconoscere le deliberazioni democraticamente assunte dal partito, nonostante vi sia stata un’ampia discussione interna, chi si ostinerà a mettere in discussione il programma votato dagli elettori, chi si ostinerà infine a condurre un’opposizione dall’interno al nostro stesso partito, alla nostra maggioranza e al nostro governo, se ne assumerà appieno la responsabilità di fronte ai nostri elettori e al Paese. Ma di questo si occuperà il partito, nelle sedi stabilite. Berlusconi invece deve pensare soprattutto a governare l’Italia e a rappresentarla nel mondo soprattutto ora, nel momento in cui si profilano i primi spiragli di ripresa”.

Ma per molti il governo può e deve fare di più.
“Osservazione ingenerosa. Non si riflette sul fatto che abbiamo dovuto fare i conti con una crisi economica drammatica, che ha scosso nazioni reputate più solide. Quasi un miracolo, visti gli scarsi poteri reali che la Costituzione oggi affida all’esecutivo”.

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