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Il Governo pone la fiducia (l’ennesima) sulla manovra finanziaria aggiuntiva. L’intervento di Franco Narducci nel dibattito alla Camera dei Deputati

Molto è stato detto ieri dai colleghi che mi hanno preceduto sul provvedimento che stiamo esaminando (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), per cui vorrei sviluppare alcune considerazioni riservandomi di consegnare al Resoconto stenografico, se Lei lo consente Signor Presidente, il testo del mio intervento.

La manovra che stiamo discutendo, pur rappresentando un atto necessario in questa particolare situazione economico-finanziaria internazionale anche in ottemperanza al vincolo europeo circa la stabilizzazione della spesa pubblica, risulta iniqua nel suo complesso poiché i sacrifici richiesti non possono dirsi equamente distribuiti tra i più abbienti e i meno abbienti o per essere più chiari tra ricchi e poveri.

Non mettiamo in dubbio che si debbano fare dei sacrifici, ma abbiamo bisogno che i sacrifici siano condivisi da tutti e che si discuta, qui in Parlamento, apportando il contributo di ciascuno. Abbiamo bisogno che il Parlamento possa discutere liberamente senza imposizioni, senza minacce di ricorso al voto di fiducia, come ormai è prassi.

Proprio perché la crisi, alla quale cerchiamo di porre argine, è stata generata, in primis, da una profonda crisi morale e di regole è necessario che proprio da questo luogo della democrazia arrivi un segnale chiaro di attenzione a tutti i cittadini, ridando centralità ai valori etici in questa fase caratterizzata da ruberie e malcostume, puntando con attenzione al bene della coesione sociale secondo un modello di sviluppo economico e sociale nuovo e orientato al bene della comunità.

È certamente curioso notare che se la crisi ha un’origine essenzialmente centrata sulle regole e sulla dimensione morale, nel provvedimento al nostro esame si taglia la formazione del personale delle pubbliche amministrazioni. E ciò in un momento di transizione in cui lo strumento della formazione è un’arma essenziale per governare il cambiamento e ridefinire quindi le priorità. Nella società della conoscenza e della competitività si continua a penalizzare settori strategici per la formazione dei giovani che dovranno affrontare molte sfide nello scenario globale e cercare di costruire un futuro sostenibile.

Proprio nel momento in cui l’UE lancia la strategia Europa 2020 al fine di uscire dalla crisi e preparare l'economia europea ad affrontare il prossimo decennio, il Governo, nel provvedimento in esame, perde di vista le prospettive indicate dall’Unione europea limitandosi ad una semplice operazione di bilancio, necessaria ma che non incide sullo sviluppo né sull’occupazione, con una pericolosa incidenza sulla tenuta della coesione sociale che rappresenta uno dei tre punti cardine della strategia europea, assieme alla promozione di una crescita intelligente basata sulla conoscenza e sull’innovazione ed allo sviluppo sostenibile.

Ma si favorisce la coesione sociale operando tagli lineari sulle attuali strutture retributive? O si determinano effetti regressivi che ricadono sui più deboli e sui più giovani? Come facciamo ad infondere fiducia ai giovani se si agisce in maniera iniqua, senza mostrare attenzione alla voglia di futuro che si legge negli occhi di chi da poco si è affacciato al mondo del lavoro, oppure cerca di inserirvisi dando, con entusiasmo, il proprio contributo per costruire un mondo migliore, come ridare fiducia alle famiglie quando a loro vengono preclusi l’accesso ai servizi diventati più cari? Spesse volte sono servizi che dovrebbero essere erogati dal sistema delle Autonomie locali (Regioni, Province e Comuni) che sono colpite dai tagli per oltre il 60 per cento del totale e vedono azzerati i trasferimenti derivanti dalle riforme del centrosinistra, con uno schiaffo a quel federalismo tanto declamato quanto agognato dalla Lega Nord!

Purtroppo non vi è un nesso di proporzionalità nei tagli contenuti nel provvedimento che stiamo esaminando e quindi manca un senso profondo di giustizia che renderebbe più accettabili i sacrifici e più coesa la società. Non si costruisce il futuro senza un consenso etico di fondo in cui ogni cittadino si senta partecipe di un progetto di società e parte di una comunità, di quella comunità che l’anno prossimo vuole festeggiare i suoi 150 anni di storia.

In un Paese dove il tasso di disoccupazione è arrivato all’8,7 per cento, con punte del 14 percento nel mezzogiorno dove, secondo le recentissime stime del CNEL, se consideriamo anche gli inattivi si arriva a cifre del 24,8 percento. Una tendenza che dimostra come il dibattito sul mercato del lavoro sia fortemente attuale e desta enormi preoccupazioni tra le famiglie poiché i tempi di ripresa non sembrano sufficienti a venire incontro alla domanda di lavoro, a volte inespressa per sfiducia, che è presente nella società. Una sfiducia che sta portando tanti giovani a scegliere, ancora una volta come avveniva in passato, la strada dell’emigrazione con gravi perdite per il nostro Paese in termini di know- how.

Ci aspettavamo che a questa domanda volesse rispondere il Governo, con politiche in grado di sostenere la stabilità dell’occupazione, aiutando le imprese a realizzarla, sostenendo i redditi delle famiglie in difficoltà e in condizioni di disagio. Ma è una risposta che non riusciamo a vedere.

Nei prossimi mesi il nostro Paese è chiamato a presentare all’UE, come del resto gli altri Stati membri, il primo programma nazionale di riforme per i prossimi dieci anni con particolare attenzione alle politiche economiche e sociali, forse si poteva cominciare già con questo provvedimento a venire incontro alla necessità di coesione sociale di cui abbiamo bisogno tutti in Europa. Infatti le politiche di austerity e di ridimensionamento dei disavanzi hanno efficacia residuale se non sono accompagnate da politiche proattive per la crescita.

Ben altri atteggiamenti si hanno in altri Paesi europei, come la Germania o la Francia, che pur attuando manovre di risanamento dei conti pubblici hanno deciso di destinare considerevoli risorse di bilancio allo stimolo e al rilancio dell’economia.

In un Paese come l’Italia, che ha bisogno di rilanciare le esportazioni con un protagonismo nuovo sui mercati internazionali oltre che competere in innovazione, i tagli lineari rappresentano una scelta miope, come sono senz’altro quelli al Ministero degli Affari esteri già gravemente provato da ripetuti ridimensionamenti effettuati negli anni precedenti.

Se vi è una riduzione lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie di ciascun Ministero, per quanto riguarda gli Esteri essa ha effetti gravissimi poiché intacca la capacità di attività istituzionale del ministero stesso. Una attività ancor più essenziale in un periodo di crisi dove le imprese hanno bisogno di sbocchi internazionali per riattivare la produttività puntando anche strategicamente sul favore che il made in italyincontra nel mondo. Un’attività istituzionale che assieme alla rete degli italiani nel mondo può offrire al nostro Paese una marcia in più. Ma si taglia senza riflettere e si tagliano anche i servizi verso le nostre comunità nel mondo, insomma si fa di tutto per scardinare quel Sistema Italia che invece, opportunamente riformato, potrebbe dare tanto al nostro Paese.

I continui tagli al bilancio del Ministero degli affari esteri hanno creato una situazione estrema di malumore ad ogni livello, sfociata nella manifestazione di protesta del personale amministrativo e diplomatico andata in scena ieri. Ma ci dica il Ministro Tremonti come può un ministero che rappresenta l’Italia nel mondo, che ha caratteristiche uniche di specificità professionali, svolgere seriamente i propri compiti istituzionali con risorse al di sotto di ogni limite di sopportabilità?

Fino ad ora la scure dei tagli al bilancio del MAE ha colpito abbondantemente la cooperazione allo sviluppo e tutto ciò che concerne gli italiani residenti all’estero, esclusi dall’esenzione dell’ICI sulla prima casa, nonostante i pertinenti riferimenti normativi e nonostante che il precedente Governo Prodi avesse loro riconosciuto l’ulteriore detrazione fino a 300 euro di tale imposta. Tutto ciò che riguarda milioni di cittadini italiani residenti all’estero è stato preso di mira: tagli all’assistenza sanitaria, smantellamento della rete consolare e chiusura degli uffici, una sforbiciata pesantissima alle risorse destinate alla promozione e alla diffusione della nostra lingua e del nostro patrimonio culturale che hanno subito, già a partire dai primi provvedimenti di natura finanziaria attuati dal Governo nel 2008 e successivamente con la manovra finanziaria triennale 2009-2011, un ridimensionamento drastico che esprime una preoccupante rinuncia alla proiezione internazionale dell’Italia e al ruolo di accompagnamento al sistema economico italiano, in un contesto globalizzato, che la nostra lingua e la nostra cultura possono esercitare con il contributo attivo delle comunità italiane sparse nel mondo. Ed è in questa logica assolutamente inaccettabile, Signor Presidente, che alla benemerita Società Dante Alighieri, che da oltre un secolo opera con grande beneficio per il nostro Paese in un numero impressionante di nazioni, si infligge, con un solo colpo, una riduzione del 53,5% del contributo ministeriale, dopo averlo ridotto consistentemente già lo scorso anno.

Devo poi sottolineare il fatto che questo procedere a mezzo di tagli lineari, unitamente alle previsioni di potestà normativa secondaria da parte del governo, va ad incidere sulla finzione di indirizzo e controllo esercitata dal parlamento sulle voci di spesa. Infatti è previsto che il governo possa successivamente rimodulare le voci di spesa andando ad incidere, senza che il parlamento possa esprimere il suo voto in merito, sul finanziamento di una attività od un’altra.

I tagli al MAE, il cui bilancio è costituito essenzialmente da voci legate ad attività inerenti la proiezione internazionale del nostro Paese ed al rispetto degli impegni assunti in sede internazionale, sono poco comprensibili soprattutto se l’Italia vuole continuare ad essere un Paese attivo sullo scenario globale.

Per il Ministero degli Affari Esteri il taglio del 10% significa una riduzione di 43.926.000 euro per il 2011, di 43.885.000 euro per il 2012 e di 43.015.000 per il 2013 che va ad aggiungersi agli oltre 89 milioni di euro tagliati in sede di Finanziaria e Bilancio e al taglio di ben 500 milioni di euro operato nel 2008.

Sono tagli che comunque nel presente provvedimento si aggiungono a quelli di cui all’articolo 6 sulla riduzione della spesa per la Pubblica amministrazione compresa la formazione e le missioni all’estero, che significa andare ad incidere sull’attività dell’istituto diplomatico Toscano per la formazione dei giovani diplomatici.

Un gesto poco accettabile in un contesto dove la situazione geopolitica internazionale è in continua evoluzione ed il nostro Paese ha bisogno di personale altamente qualificato sia per far fronte alle esigenze dell’Unione europea, soprattutto in fase di avvio del Servizio europeo di azione esterna, sia per esercitare un ruolo guida in un rinnovato sistema multilaterale.

Come fare, in un quadro siffatto, a mantenere fede agli impegni internazionali del nostro Paese ed assicurare la dovuta attenzione ai connazionali all’estero ed alle imprese italiane attraverso la rete diplomatico-consolare che si trova ridotta a lavorare dovendo fare i conti con l’essenziale? Come si fa a chiedere ancora sacrifici agli italiani all’estero e andare ad intaccare un ministero che incide solo dello 0,4 % sul bilancio dello Stato?

Vi sarà un ulteriore doloroso ridimensionamento della rete diplomatico-consolare senza aver avuto la possibilità di avviare un dibattito sereno sia in parlamento sia tra le comunità italiane all’estero interessate cercando di mettere a punto un progetto di ristrutturazione ed ammodernamento condiviso ed efficace oltre che efficiente.

Ma qui si taglia senza tener conto delle esigenze reali dei cittadini italiani all’estero, che pur hanno contribuito al successo dell’Italia nel mondo, e senza tener conto degli impegni internazionali assunti a cominciare da quelli per il raggiungimento degli Obiettivi del millennio delle Nazioni Unite. Si avranno effetti sui contributi volontari che il nostro Paese eroga agli organismi internazionali operanti nell’area dei diritti umani, e come possiamo permetterlo?

L’Italia, il Paese che ha sempre difeso la dignità della persona sullo scenario internazionale, il Paese che ha condotto battaglie per l’abolizione della pena di morte, che si batte per la difesa della vita, si dimentica ora dei diritti umani! Non è un buon biglietto da visita, non è coerente con la nostra identità e il nostro ruolo nel mondo come non lo è il provvedimento che stiamo esaminando nel suo insieme e al quale non possiamo dare il nostro consenso.

Durante la campagna elettorale avevate promesso agli italiani meno tasse e più sviluppo, meno burocrazia e più efficienza, legalità e più sicurezza, avevate promesso di dare uno scossone alle strutture vecchie e ingombranti per proiettare il Paese nella modernità. E tuttavia, nonostante il popolo italiano vi abbia dato una maggioranza stratosferica come non si era mai vista nei due rami del Parlamento, tutte le vostre promesse sono rimaste nei cassetti. Al posto della modernizzazione del Paese e delle megainfrastrutture ci avete dato le cricche al potere con le loro bramosie e avidità, lo scandalo del G8 e quello della bonifica dello stretto della Maddalena, dell’eolico e della Protezione (in)civile.

Altro che più concorrenza: avete annullato le liberalizzazioni fate dall’allora ministro Bersani, rese insignificanti le class actione avete aperto porte e portoni all’evasione fiscale, cresciuta a dismisura con la vostra compiacenza e con la vostra politica di condoni e perdoni fiscali di ogni genere, con uno scudo fiscale vergognoso che ha consentito di legalizzare nell’anonimato risorse sottratte al fisco e in tanti casi di dubbia provenienza. Cose mai viste nei paesi democratici europei che hanno un senso di rispetto per i loro cittadini e le buone pratiche amministrative. Con questa manovra, con alcuni provvedimenti in essa contenuta, di fronte ad una situazione economica diventata incontrollabile, avete fatto marcia indietro introducendo una parvenza di lotta all’evasione fiscale, quella lotta che dai banchi dell’opposizione abbiamo rivendicato con forza ad ogni provvedimento di carattere economico presentato dal Governo.

Il Governo, ancora una volta, ha perso un'importante occasione per mettere a punto un provvedimento di ampio respiro capace di guardare al futuro, offrendo all’Italia un assetto economico e finanziario più solido, con un fisco più giusto e difficile da evadere, in una prospettiva di crescita in cui il nostro Paese è proiettato proficuamente sullo scenario internazionale.

Concludo, Signor Presidente, sottolineando che la prudenza economica, come ricordava un noto autore del passato, non può consistere semplicemente nel “guardarsi dalle spese“ ma deve rintracciarsi nel “sapere spendere con vantaggio” e questa manovra non lo fa.

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