C’era una volta il mare

I Verdi denunciano: cemento ovunque, canoni demaniali ridicoli per incassi notevoli. Spiagge inaccessibili se non a pagamento: tutto a discapito dei cittadini (e della legge). Un salasso che diventa business

Cemento ovunque, canoni demaniali ridicoli, spesso non incassati, e spiagge libere sempre più rare e inaccessibili. Il mare e le spiagge sono un bene che scarseggia e che diventa sempre più prezioso, mentre l’affitto in concessione delle aree di balneazione è un business che rende più di qualsiasi altro investimento. A fronte infatti dei 103 milioni corrisposti al Demanio, i gestori degli stabilimenti hanno fatturano nel 2007 circa 15 miliardi di euro. È la fotografia che emerge dal dossier dei Verdi ‘Il mare in gabbia’ presentato ieri durante una manifestazione a Ostia. Nell’afa gli ecologisti hanno dato vita ad un’azione imostrativa: sdraio sull’asfalto, costumi da bagno, piscine per bambini, ombrelloni. E il mare? «è inaccessibile. Siamo a pochi metri e riusciamo solo a sentirne l’odore, oltre muri ed inferriate » ci dice Nando Bonessio, Presidente dei Verdi di Roma. La proprietaria di uno stabilimento protesta per una bandiera issata su un muro di recinzione. «Questa è proprietà privata» dice ai manifestanti che le ricordano che, invece, quel tratto di costa «appartiene al demanio marittimo»In particolare, i numeri del dossier sulle spiagge italiane indicano che sono 6.100 gli stabilimenti balneari che insistono sul demanio marittimo lungo 7.500 chilometri di costa. Per i canoni di concessione lo Stato incassa al massimo un centinaio di milioni di euro l’anno, mentre per i gestori si parla di un giro d’affari, secondo omisma, di oltre 15 miliardi di euro. E allora? Secondo i Verdi è scandaloso che a subire una situazione che va solo a vantaggio dei gestori siano i cittadini che da un lato devono pagare «tariffe altissime» anche solo per vedere il mare e dall’altro non possono godere del diritto i accesso alla battigia come previsto dalla legge. È inaccettabile, spiegano gli ambientalisti, che le tariffe per la concessione demaniale applicate da dallo Stato siano le più basse, ossia quelle per le aree a «a bassa valenza turistica». «Se la legge fosse applicata correttamente l’introito dello Stato italiano – si legge nel rapporto – per l’affitto delle sue coste e spiagge sarebbe molto maggiore (almeno 280 milioni di euro) rispetto ai 103 milioni di euro effettivamente incassati nel 2008. In pratica le attività balneari pagano una percentuale irrisoria per le concessioni demaniali di un bene pubblico rispetto al loro fatturato ufficiale».
A Roma, ad esempio, uno stabilimento di superficie di 5.000 mq paga circa 399 euro al mese, mentre lo stabilimento fattura ogni stagione balneare oltre 1,3 milioni di euro all’anno. «Inoltre- sottolineano i Verdi – esistono stabilimenti (sull’Isola D’Elba) che, pur occupando una superficie minore, pagano solo 62 euro al mese,per 600 metri quadrati di concessione. Investire nella balneazione, insomma, sembra essere un ottimo affare. Le cabine sono mediamente affittate ad un prezzo che varia dai 1.500 ai 3.000 euro a stagione e dunque con sole 100 cabine si ricavano tra 150.000 e 300.000 euro». Le tariffe «irrisorie» dei canoni di affitto sono ricavate attraverso l’applicazione del ‘Regolamento recante norme per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime per finalità ‘turistico-ricreative’. Un decreto, spiegano i Verdi, che individua 3 aree della costa italiana per l’applicazione dei canoni: fascia A, alta valenza turistica, fascia B, normale valenza turistica, fascia C bassa valenza turistica. Nella norma si stabilisce anche che qualora i titolari degli stabilimenti “consentano l’accesso gratuito all’arenile, nel caso che esso sia raggiungibile solo attraversando l’area in concessione”, i canoni vengono declassati alla fascia C. Ecco perché i canoni applicati sono quelli a bassa valenza turistica, mentre l’accesso al mare diventa un problema perché viene imposto il pagamento di un ingresso che può variare dai 2 ai 6 euro a persona, come a Roma. La situazione sull’occupazione delle aree marittime demaniali è quindi giudicata «molto più grave» di quanto non si dica, sottolinea il dossier. Si va infatti da un minimo del 40% si suolo occupato fino al 70% nelle regioni più urbanizzate. Ogni anno, inoltre, conclude il dossier, mediamente vengono rilasciate concessioni demaniali sulle coste per 160 milioni di metri cubi, pari a 534.000 appartamenti da 100 mq.

Antonio Barone
TERRA

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