Coeva: l’opera ‘buffa’ che ridisegna il linguaggio

di Chiara Scattone

‘Coeva’ di Maria Pia Carlucci (nella foto), Fiorella Corbi e Maurizio Verdiani, edito da Bastogi, appare al lettore come un esercizio lessicale e spirituale dove immaginari immaginifici si avvicendano ai sentimenti reali (“l’eccessiva passione per un unico corpo”) e le forme simboliche dei personaggi, molto più metaforiche che reali, lasciano il passo alla danza delle parole. L’opera si srotola come una pergamena in cui le mani degli autori si susseguono e si accavallano. Le immagini, così dipinte, assumono forma e sostanza e, dai nostri retaggi infantili e fiabeschi, prendono vita caroselli di ‘uomini non uomini’ dai nomi enigmatici e dall’identità incerta. E così incontriamo lungo il cammino il Temerlano d’Algebra, il Gran Signore dei Numeri, l’iperbolico Accademia. Il loro succedersi ‘danzando’ trascina il lettore in una musicalità che avanza indietreggiando e che insinua il dubbio di un’esistenza parallela, perché tutto ciò che è scritto ed è già stato detto non è altro che un dejà-vu, un già visto. Abbiamo, perciò, deciso di incontrare gli autori di quest’opera così singolare e, al contempo, fiabesca e allegorica.

Carissimi, la vostra fiaba è l’avventura dell’Adamo, protagonista simbolico del libro, che si fa carico della ricerca di un dono chimerico, accompagnato da una combriccola piuttosto surreale e scombinata che affronta nemici medievali e temibili, allegoriche legioni di numeri ed eserciti di lettere: come è nata la necessità di raccontare una vicenda semplice e ‘banalmente umana’ come l’incontro di un uomo e di una donna, attraverso un linguaggio completamente sperimentale e simbolico?

Fiorella Corbi: “Come antichi alchimisti, abbiamo manipolato il vile metallo (linguaggio comune e storia 'rifritta') trasformandolo in oro, metallo immortale. È stata la ricerca della pietra filosofale rinomata per il suo potere d’arricchimento, metafora dello sviluppo psichico, forza che spinge l’uomo verso la propria identità attraverso una sempre maggiore differenziazione”.

Maria Pia Carlucci: “Abbiamo giocato con le parole, tramutando semplici esperienze di vita vissuta in stile con la complessità dell’essere umano. È un esperimento, un viaggio di conquista alla scoperta di un mistero che è dentro ognuno di noi e dal quale ci siamo allontanati. Il semplice linguaggio è l’exoterico, che nasconde qualcosa di più profondo: nasconde, appunto. Ma questo, al contrario, rivela lo spirito, l’essenza. Certo, occorre un lavoro d’intuizione intellettuale, quell’intuizione che ci appartiene: basta cercarla”.

Maurizio Verdiani: “In effetti, anch’io intendevo scrivere un’opera ‘ibrida’, per così dire, in cui convergessero parole e struttura come note e accordi: una sorta di prova d’orchestra, una musica che evocasse visioni e ricordi. L’esercito di numeri e lettere ha un’origine. Per esporre il principio metafisico della ‘scienza delle lettere’, Seyidi Mohyiddin considera l'universo come simbolizzato da un libro: l’assai noto ‘Liber Mundi’ dei Rosacroce. I caratteri di questo libro sono, in linea di principio, scritti tutti simultaneamente, quindi coevi, indivisibilmente dalla ‘penna divina’. Queste ‘lettere trascendenti’ sono le essenze eterne. E ogni lettera, allo stesso tempo è un numero, in accordo con la dottrina pitagorica. Esse lottano nel tentativo di lasciare la materia per essere vicine a qualcosa di più elevato. Sono tutte quelle creature che, grazie al soffio divino, discese ai gradi inferiori hanno composto e formato l'universo manifestato. È la lotta continua tra la conoscenza (intima) e la mera realtà”.

Adamo ed Eva rappresentano l’archetipo degli esseri umani, forse l’alfa e l’omega della Storia, che in questo libro assumono connotazioni quasi ‘burlesque’: una parodia costruita in forma di favola contemporanea per demistificare la pietas dell’uomo contemporaneo?

Maurizio Verdiani: “Il cinismo non è un talento contenibile ed è stato il nostro ‘Caronte’ nel corso della nostra stesura…”.

Maria Pia Carlucci: “Kama e Vèlle sono stati appositamente caratterizzati per mostrare l’uno l’inconcludenza dell’uomo contemporaneo, la sua superficialità: Kama è colui che insegue per una vita il chimerico dono; Velle rappresenta, invece, la Penelope moderna, in cui l’attesa, in questo caso, è agìta. Vèlle va avanti lungo il sentiero della conoscenza delle esperienze, ha capito che deve crescere e, per crescere, deve conoscere. E chissà, forse sarà lì ad attendere il ritorno di Ulisse”.

Se volessimo tramutare in musica il carosello delle immagini che così armonicamente descrivete, sembrerebbe di avvicinarsi agli esperimenti musicali del Vinicio Capossela ‘maturo’, quello degli ultimi anni: un circo umano affastellato di personaggi mitici e teatralmente assurdi che rappresentano le miserie del genere umano…

Fiorella Corbi: “Beh, il tappeto musicale adatto è alquanto variegato. Il primo che potrebbe meglio essere individuato è Mozart, con le sue riscritture barocche ed ermetiche; poi può essere una composizione del jazz modale, magistralmente eseguita da Miles Davis. Può ancora trovare spazio una colonna sonora di musica concreta o quella ‘psichedelica’ di Jimi Hendrix. Non ultime, le melodie sperimentali di Brian Eno. In effetti, ‘Coeva’ è stato concepito ed elaborato come una sinfonia in cui ciascun autore ha suonato il proprio talento e può essere ricondotto, basandosi sulla peculiare struttura, all’arte cinematografica di David Lynch”.

L’amabilità fonetica delle parole e la sintassi favolistica del romanzo suggeriscono al lettore una policromia di sentimenti e vicende che potrebbero apparire biografiche: cosa si nasconde dietro alla vicenda centrale? Quanto vi è delle vostre esperienze ‘umane’?

Maurizio Verdiani: “Un banale pretesto: potremmo essere accusati di ‘romanzicidio’, piuttosto…”.

Fiorella Corbi: “In sintesi: potreste voi indicarmi quale lobo del cervello ho attivato? Mi sembra brillante nel suo significare e non significare…”.

Maria Pia Carlucci: “Dal mio punto di vista c’è tanto, quasi tutto: ci sono accenni alle filosofie orientali; l’esperienza della donna illusa d’aver trovato l’amore e che si accorge, per sua fortuna, che così non è; il tema della donna tradita che non si abbatte e, anzi, decide di rimettersi in ‘gioco’, proprio come fa Vèlle, che parte, viaggia, esce, conosce e prende ciò che può servirle. Insomma, una serie di eventi non proprio positivi che hanno rafforzato il personaggio e cambiato la persona: Vèlle è l’esempio della donna che lavora su se stessa “de maniera che non contempla senza azione e non opre senza contemplazione”, per dirla con Giordano Bruno”.

Strauss è il topo ‘filosofo della scena’, poi ci sono l’iperbolico e metodico Accademia, l’entusiasta Ginger, la metafora femminile del desiderio Vèlle, Kama, allegoria del maschio bello e un po’ scialbo e, infine, Kafkasìa, l’idolatra dell’evanescenza: è possibile individuare, tra i vari personaggi, l’identità degli scrittori?

Maurizio Verdiani: “Peek-a-boo! A me non piace la dietrologia…”.

Maria Pia Carlucci: “A me invece piace, quasi sempre, uscire allo scoperto, con tutti i rischi che seguono. Certamente, Vèlle e Kafkasìa sono una parte di me. Non escluderei l’ironico e sagace Ginger, col suo modo di alleggerire le pesantezze umane”.

Fiorella Corbi: “La Fata è certamente la mia natura primigena: essa mi avvolge, si srotola e si abbandona agli eventi senza cercare di modificarli o reagire”.(Laici.it)

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