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Cronaca di uno strano impedimento

Autore Stefano Pedica

Con il “ministero ad personam” dato a Brancher, per consentirgli di sottrarsi al processo Antonveneta, questo paese è a serio rischio di dittatura. E’ il vergognoso epilogo della nostra democrazia, perché nella Prima Repubblica se un Ministro veniva indagato, o peggio rinviato a giudizio, si dimetteva, nella seconda accade esattamente l’opposto: se sei sotto processo diventi Ministro.
L’Italia dei Valori ha denunciato l’inganno sin dalla nomina di Brancher: un quarto ministro per il federalismo non serviva, e non a caso il primo atto ufficiale del neo ministro è stato quello usare il legittimo impedimento per non farsi giudicare al pari di tutti i cittadini.
Come Italia dei Valori abbiamo voluto verificare se Brancher avesse avuto almeno la decenza di presentarsi in ufficio il giorno dell’udienza per “studiare le riforme”, visto che ha usato tale scusa proprio per sottrarsi alla legge. Per questo sabato scorso, il giorno dell’udienza, ho passato tutta la giornata sotto l’ufficio di Brancher, per attenderlo al varco e verificare che effettivamente si recasse a lavorare.
La mattina alle 10 ho iniziato il “piantonamento della verità” ma del “ministro senza impegni e senza portafoglio” nessuna traccia.
Per tutto il giorno il telefonino di Brancher ha suonato sempre a vuoto. Solo la sua segretaria si affacciava dalla terza finestra a sinistra sopra Galleria Colonna, nel palazzo della Presidenza del Consiglio per guardare giù.
“Il ministro è qui, sta lavorando”, mi ha provato a spiegare la segretaria “Se non ci credete lo faccio affacciare”. Ma nuovamente l’attesa è stata vana. Il ministro, ovviamente, non si è fatto vedere e non è nemmeno mai uscito dall’ingresso principale del ministero. Alle 18 gli uomini della sicurezza si sono fatti sfuggire un “da mo’ che se n’è andato, saranno tre ore”, quando invece avrebbe dovuto essere “legittimamente impedito” fino alle 18. E la stessa segretaria, all’ennesima telefonata, ha rettificato: “Ma no, è ancora qui, in riunione”, affrettandosi ad aprire un’altra finestra e accendere una luce fino ad allora spenta. Alle 19.30 è un altro membro della segreteria ad avvertire che “il ministro è andato via da pochi minuti”, anche se nessuno l’ha visto uscire.
La conclusione è davvero amara: o il ministro è un mago nello sfuggire ai nostri controlli oppure più che organizzare il suo ufficio i veri legittimi impedimenti che l’hanno costretto a non presentarsi al processo sono stati il sole, qualche bella spiaggia romana e soprattutto la paura di vedersi applicare la legge come ogni comune cittadino.
Adesso Brancher promette che il 5 luglio sarà in aula, anche dopo i tuoni del Presidente Napolitano, ma come Italia dei Valori non ci fermiamo: questi tentativi tardivi di nascondere il danno alla legge e la beffa agli italiani non ci bastano. Mercoledì, prima della riunione del Consiglio dei Ministri, sarò nuovamente sotto l’ufficio di Brancher per accompagnarlo a Palazzo Chigi e sapere, una buona volta, che cosa ha fatto durante la “giornata particolare” di sabato scorso.

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