Per una visione critica dello sviluppo

di Roberto Albertini

Parafrasando Pasolini potremmo dire che un punto di vista di sinistra dovrebbe innanzitutto separare criticamente ed in modo motivato l’ equazione SVILUPPO=PROGRESSO. Se alla prima è intrinsecamente associata l’ idea di una ipertrofia della produzione e del consumo alla seconda andrebbe associata un’ idea di EVOLUZIONE SOCIALE dell’insieme delle condizioni di esistenza delle persone.

L’ assunzione di una concezione integralmente sviluppista da parte di forze che, per quanto gradualiste e riformiste, avevano nella loro tradizione culturale una visione progressista della teoria e dell’ azione politica, rappresenta una oggettiva accelerazione del loro abbandono del campo della sinistra.

Gli esiti probabilmente non brillanti della prossima scadenza elettorale non devono però fare velo all’ APERTURA di nuove opportunità che si determinano. La realtà delle cose può essere occultata, mistificata o rimossa dal piano della consapevolezza sociale, ma non per questo sparisce. La mancata percezione di essa non ne annulla l’ esistenza.

La difficoltà principale che un soggetto politico di sinistra ha oggi davanti è quella di ricostruire una più articolata, puntuale, aggiornata, CRITICA DELLO SVILUPPO, dei nuovi paradigmi sociali che le società capitalistiche hanno prodotto. Ho infatti la sensazione che la profondissima ACCELERAZIONE che essi hanno subito negli ultimi 20/30 anni, che tutti noi identifichiamo con il termine Globalizzazione, difettino di una analisi insieme teorica e concreta e soprattutto scientifica. L’ urgenza di dare risposte politiche alle contraddizioni nuove ha spesso impedito di cogliere i nessi tra esse e l’ impossibilità di fornirne di credibili proprio per la loro parzialità.

Voglio qui esemplificare questo discorso attraverso un tema, una questione, quella della scuola e della formazione delle nuove generazioni, ma ritengo che la sua validità sia generale. L’ idea che lo sviluppo della produzione di beni e servizi, l’ incremento della ricchezza prodotta, la trasformazione del lavoro, la crescita della produttività, dei prodotti interni, insomma tutto l’ armamentario sviluppista, portasse ad un PROGRESSO diffuso del sapere è profondamente in crisi.

Forse per la prima volta nella storia umana, lo sviluppo non si accompagna più con la necessità di diffusione del sapere.

Non mi soffermerò su quelli che ritengo essere i motivi strutturali di questa assoluta novità, di questa rottura storica del nesso, del legame, mi limiterò a delle constatazioni, peraltro molto evidenti a tutti ma dalle quali nessuno pare voler trarre le conseguenze. Nell’ arco di una sola generazione, nei trent’anni della mia semplice esperienza di insegnante, ho potuto progressivamente constatare quanto la formazione , professionale, tecnica, culturale delle nuove generazioni divenisse progressivamente sempre meno funzionale, direi superflua e sovrabbondante in relazione alla natura dello sviluppo sociale in ogni sua forma.

Occorre sempre meno sapere e saper fare diffuso per vivere, produrre, consumare. Le competenze alte, avanzate, certo esistono ed hanno una funzione strategica nel mercato globalizzato, ma tendono a restringersi progressivamente nel numero delle persone che ne sono portatrici oltre che potendosi dislocare in qualunque luogo del pianeta.

Vogliamo fare qualche esempio ? Tutti gli indicatori, non solo nazionali, sulle competenze di base acquisite nella scuola ma anche nelle università, ne segnalano un impoverimento costante e diffuso. Lo stupore se non lo scoramento accompagna la quotidianità del lavoro degli operatori scolastici ma anche delle famiglie nel constatare una progressiva perdita delle capacità di apprendere e ritenere, di sapere e saper fare, delle nuove generazioni.

Se ci sono elementi di verità nel far dipendere questi cambiamenti così diffusi e profondi, direi antropologici, nel rapporto con la conoscenza tra i ragazzi da i loro modelli di vita e di consumo, dalla tv o dai videogiochi e da quant’ altro, tuttavia non si può attribuire la pervasività dei processi soltanto a questi elementi. La verità è che sapere non serve ! Non serve per trovare una collocazione sociale ed economica sostanzialmente migliore, non serve per “godere” ed utilizzare l’ offerta di beni e servizi del mercato, tutto si acquista, si usa, si getta. Non è necessario comprendere, sapere, trasformare, inventare, aggiustare.

Un giovane ingegnere può guadagnare in azienda meno di un giornalaio, possiamo viaggiare guidati da un computer senza saper più leggere una cartina stradale. I saperi innovativi concentrati in poche persone e in pochi enti di ricerca avanzati possono produrre innovazioni nelle merci e nei servizi che spazzano via in un sol colpo conoscenze e competenze diffuse in precedenza tra milioni di persone. Un CAD ( Un programma di progettazione assistita dal calcolatore ) può incorporare e rendere disponibile sotto forma di prodotto direttamente utilizzabile, competenze elevatissime anche a chi non ne è più titolare.

La produttività del lavoro, l’ automazione industriale in ogni suo segmento è enormemente aumentata. Il lavoro umano, con le sue competenze, abilità e conoscenze perde progressivamente di peso. Sviluppo, produzione e ricchezza si separano progressivamente dal progresso, dall’ evoluzione e dall’ arricchimento delle conoscenze e delle capacità della stragrande maggioranza delle persone.

Avremo società sempre più povere culturalmente ma ammantate e mistificate dall’ uso e dall’ accesso a consumi solo apparentemente evoluti. Non è vero che ci vorrà più cultura e conoscenza del mondo per fare un qualunque mestiere. O forse crediamo che la aleatorietà, precarietà, temporaneità dei lavori offerti nelle nostre società ai nostri giovani sia solo il frutto di una congiura padronale piuttosto che di una strutturale trasformazione della funzione del lavoro umano ?

C’ è un grande stupore, a volte, nel constatare che il lavoro operaio e manuale non sia affatto scomparso ! Forse non si capisce che la trasformazione della materia è ancora un processo difficilmente automatizzabile, che è molto più semplice incorporare in una macchina la conoscenza necessaria alla previsione di un investimento o al progetto di un apparato piuttosto che al montaggio di un motore a scoppio. Ma l’ immaterialità dell’ economia capitalistica degli ultimi decenni, la quota di PIL delle produzioni immateriali ha infatti ormai superato quella delle produzioni agricole e industriali, produrrà sempre più questa condizione di impoverimento intellettuale di massa.

In questo scenario che il ventre sociale percepisce meglio delle nostre menti acculturate, per un giovane, che senso ha studiare, capire, sapere ? Anche noi, nella sinistra, tendiamo a rimuovere questo orizzonte sociale già presente e certamente futuro, ci ostiniamo a cercare motivi e motivazioni per combatterlo ma senza realmente riuscirci. Io credo che non ci riusciamo perché restiamo affezionati anche noi all’ idea, del resto valida nella storia che abbiamo alle spalle, che lo sviluppo, anche nella sua versione storicamente realizzatasi delle società capitalistiche, con tutte le contraddizioni e le disuguaglianze che produce a varie scale, si sia sempre trascinato il progresso civile e culturale delle società.

Che solo la distribuzione del potere, dei diritti, delle risorse fosse da correggere, più o meno radicalmente. E invece questo sviluppo si va via via dimostrando un fattore distruttivo non solo delle risorse e dell’equilibrio ambientale, della qualità della vita e del tempo delle persone, anche delle classi non subalterne, ma anche della ricchezza insita nella condizione umana: della curiosità di conoscere, del piacere di creare e inventare, del sapere trasformare ciò che ci circonda, del sapere produrre con la propria mente e con le proprie mani. Dell’ ideare e del realizzare.

La riduzione a merce di ogni aspetto del vivere, l’ atto dell’ acquisto e del consumo che sostituisce ogni relazione col mondo produce povertà e miseria. Gli esempi di questo vivere sono sotto i nostri occhi. Dovremo, prima o poi, trovare nuovi paradigmi nella critica allo stato di cose presenti o non ci resterà che la rassegnazione e la sconfitta.

Roberto Albertini – SEL Palermo

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