Come sta Sig.ra Paola?
Ciao! Come state? Prima d' iniziare questa intervista voglio raccontarvi
che, come tutti gli anni, domenica scorsa sono andata a festeggiare il
giorno dell'immigrante e il compleanno della mia Patria; è un' emozione
ascoltare i due inni, vedere o, meglio detto, immaginare le due bandiere
sventolare assieme. Finché la mia cara figlia mi accompagnerà non me la
perderò mai perché è una festa per il mio cuore.
Oggi giorno è sempre meno il numero di persone che concorre a questa
riunione, perché essere immigranti oggi è diverso: le distanze sono le
stesse ma il tempo per attraversarle è infimo; è finita la nostalgia del
paese natio già che le notizie giungono immediatamente. Ai miei tempi la
posta era un castigo e allora queste riunioni avevano un dolce sapore a
“terra nostra”.
Ci racconta le sue origini?
Sono nata a Milano, Lombardia, il 18 agosto 1939.
Qual' è la storia della sua famiglia in Italia?
I miei genitori, Alba e Vittorio, avevano comprato un appartamento a Milano,
vicino alla ditta dove lavorava papà, la Borletti. Mio padre era ingegnere e
a quei tempi erano pochi coloro che avevano la fortuna di studiare.
Sfortunatamente a settembre si è dichiarata LA GUERRA. L'Italia era piena di
tedeschi e papà era figlio di padre ebreo.Come proteggermi? Mamma,
innamorata, non voleva lasciarlo solo. Che fare? Un'amica di famiglia, che
viveva a Montodine, nel cremasco, si offrì a prendersi cura di me, così sono
rimasta in famiglia da loro, con visite frequenti nei primi tempi dei miei
genitori e poi più scarse, fino a rimanere senza notizie. Nel 1941 è nato
mio fratello, anche lui è stato a Montodine, ma siccome aveva problemi di
salute, lo hanno mandato a Cortabbio con degli zii (che avevano più mezzi
economici).
La guerra tutto distruggeva, gli aerei bombardavano implacabili le città, i
bimbi morivano ingannati per mangiare delle caramelle che li facevano volare
in aria.A papà l'avevano preso prigioniero e non si sapeva dov'era; mamma,
disperata, lo cercava su ogni frontiera senza risultati. Io crescevo
tranquilla nella campagna, ancora oggi sento l'odore penetrante del fieno,
il sapore del latte appena munto, le corse per l' aia, per me non era
arrivata la guerra, avevo cinque anni, solo cinque.
Finalmente, la guerra è finita. La famiglia si riunisce. Però.dove? La casa
che avevano comprato era stata bombardata. Milano era tutta una maceria. Il
governo svizzero costruì delle casette prefabbricate dietro l'ospedale
militare a Baggio, e abbiamo avuto la fortuna che ce ne assegnasse una. Ma
arrivò il gelido inverno, dormivamo in quattro nel letto per scaldarci (oggi
giorno, chiudo gli occhi e vedo, col riflesso della luce, le stalattite di
ghiaccio che pendevano dalle pareti). Tutto passa, anche l' inverno.Mamma,
grande lottatrice, seminava verdura nel pezzettino di terra che circondava
la casetta ma anche dei bellissimi fiori perché ci portasse gioia al
cuore.Papà cercava lavoro, non era facile, ma grazie alla sua preparazione
lo trovò.un poco lontano, a Pavia, presso la Necchi e poco a poco
riprendemmo a vivere, cambiando casa e scuola.
Riuscirono a tirarsi su, per la loro gran forza e capacità; a papà offrirono
di venire in Argentina come direttore della fabbrica che qui si stava
installando e non hanno dubitato, era l'occasione per cercare e trovare
pace. Non separarsi mai più dai loro figli: io avevo già diciassette anni,
un mondo brutto o bello, ma fatto; compagni d' università. Ma come
disubbidire a papà e mamma?
Siamo arrivati a questo generoso paese nel 1956.
Quali sono i ricordi più vivi che ha dell'Italia?
Come vi ho già detto, gli odori della bucolica campagna, con i cipressi sul
viale del cimitero, col vecchio ponte che si muoveva per attraversare il
fiume Serio. Le passeggiate ai laghi lombardi. Una bella gita che ho fatto
con mio papà su una Vespa (siamo arrivati fino al lago Trasimeno, in
Umbria). L'indimenticabile giro d'Italia prima di partire per la nuova
terra: Genova, Firenze, Roma, Napoli, Assisi, San Marino, Venezia.
Cosa ama di più dell'essere italiana?
Le bellezze naturali, artistiche e la bella musica. L'intelligenza dei suoi
dirigenti, la forza di volontà e la speranza del popolo per ricostruire quel
paese che la guerra aveva distrutto completamente.
Quali sono state le sfide che ha dovuto affrontare nel Nuovo Mondo?
Senza amici, senza sapere la lingua, i miei studi non servivano perché non
era possibile omologare il titolo, bisognava iniziare di nuovo tutto e
sorridere per non amareggiare i genitori, che erano felici di averci tolto
dal pericolo. Questa era la terra dell'avvenire. Duro, durissimo, ma non
impossibile; se loro avevano sopravvissuto alla guerra, io potevo farlo qua.
Abbiamo trascorso un periodo di benessere.
Non ho ripreso gli studi, sono andata a lavorare, ho conosciuto l'amore
della mia vita. Ero felice! Abbiamo avuto una bimba, Sonia. Tutto andava
bene, lavoravamo entrambi, risparmiavamo perché volevamo rimodernare una
vecchia casa. Quando sembrava che ce la potevamo fare, la malattia di mio
marito si è portata tutto via… Tre anni di sofferenza, tre anni di pianto
senza speranza, giacché qui non si trovavano le medicine per curarlo.
Abbiamo dovuto farle venirle dalla Svezia, cercare chi le portasse, pagarle,
indebitarsi…E ancora dover sorridere per non ferire la mia piccola di otto
anni. La temuta morte è arrivata ma era necessario andare avanti, far
crescere il mio tesoro, farlo studiare, prepararlo per la vita senza paure.
Qua, terra generosa ma mal condotta da sempre, ogni giorno era peggio. L'
economia era un disastro, l' inflazione si mangiava i pochi soldi che si
guadagnavano. Quasi tutti i governanti che andavano al governo rubavano e
per quanto lavorassi non riuscivo a risparmiare, solo sopravvivevo e
ricordavo la mia bell'Italia. Durante questo periodo, la mia forza era il
ricordo e il desiderio del ritorno, ma io sapevo cos'era lasciare tutto… e
non ho voluto che mia figlia soffrisse per lo stesso motivo.
Nel frattempo la mia salute ha iniziato a deteriorarsi. Quasi a seguito
della morte di mio marito mi hanno incontrato un fibroma all'utero e hanno
dovuto togliermelo, farmi un' isterectomia (credo nel 1976); nel 1991 mi
hanno diagnosticato un'idrocefalia e nel 1994 mi hanno collocato una valvola
per idrocefalia nella testa. Cadevo e mi rialzavo, continuamente ma sempre
ci mettevo l' ottimismo, la volontà. Dio non mi abbandonava. Poi tutto si
fermò, per me si è tornato tutto buio, siamo nel 1999, i miei occhi ogni
volta vedevano meno. Non ho potuto continuare a lavorare e la pensione non
arrivava, la struttura sanitaria era un disastro e non curava gli ammalati.
Nel 2006 mi hanno rilevato un cancro alla mammella, un'altra volta
chirurgia, lo hanno tolto, mi hanno fatto radioterapia e adesso continuo con
la chemioterapia orale. Era come un fallimento, come se tutto fosse stato
inutile.Che angoscia! Che dolore! Che fare? E ancora l'amore per mia figlia
mi ha dato la forza di andare avanti.
Lei ha partecipato attivamente e per molti anni all'associazionismo italiano
in Argentina. Come vede le associazioni oggi e com'erano prima? Quali sono i
punti d'incontro e quali gli ostacoli?
La nostalgia per la mia Patria era molta ma il dovere era più forte.
Cercavo, cercavo qualcosa che mi consolasse, che mi avvicinasse al mio caro
passato e, alla fine, l'ho trovato. Nel 1988, 22 anni fa, mi sono trovata
per caso con un gruppo magnifico di lombardi. Tutti ricordavamo la nostra
terra, il Duomo, i laghi, le montagne, la neve.La nostalgia per la Patria
era l'aria che respiravamo assieme.
Così, abbiamo iniziato a riunirci una volta alla settimana con il gruppo
organizzativo e una volta al mese con tutti i soci. Ci raccontavamo le
nostre storie, in quell'epoca era costoso e difficile ottenere e comprare i
giornali o libri in italiano perciò ognuno portava qualcosa; cantavamo,
facevamo belle gite, organizzavamo delle proiezioni colturali, incontri,
abbiamo persino fatto la nostra bandiera associativa. I nostri figli,
sorpresi, ci accompagnavano. E piano piano anche loro hanno fondato il
gruppo giovanile (erano quasi venti giovani che studiavano, lavoravano o
entrambe le cose, e tutti i venerdì si riunivano per dare forma, dare
italianità, a quel gruppo che completava il nostro). Da soli hanno cercato
il nostro aiuto per imparare l'inno italiano perché consideravano che non
potevano appartenere all'associazione senza saperlo, leggevano i giornali
per essere informati su quello che accadeva in quella “nuova Patria” che
stavano scoprendo, cercarono i costumi tipici e li cucirono per mostrarli in
una festa di fine d'anno ed durante i festeggiamenti delle Cinque Giornate
di Milano fatto a Buenos Aires nell'antica sede d' Unione e Benevolenza;
disegnarono il loro stendardo giovanile, impararono a cucinare dei piatti
tipici per onorarci. Dopo poco tempo, la Regione è venuta a conoscenza delle
nostre attività e ha regalato dei viaggi aerei affinché questi giovani
conoscessero il paese dei loro genitori. Chi sarebbe andato? Volevamo che
l'elezione dei candidati fosse giusta. Gli stessi giovani avevano elaborato
un regolamento interno per assicurare la partecipazione e la giusta scelta
dei futuri viaggiatori. Io ho incominciato a insegnare loro storia,
geografia, cultura generale e qualche elemento di lingua italiana, così come
un gioco, per non fare brutta figura quando fossero arrivati in Italia. In
quel momento trovare questi dati non era facile, non esisteva Internet ma io
avevo queste conoscenza ed dei libri utili, e mi piaceva aiutare e
condividere questa esperienza coi giovani. La mia piccola casa sempre era
piena della loro allegria e innocenza. Che gioia… mia figlia avrebbe
finalmente conosciuto la mia patria, i miei odori, il mio passato. Cosa
sempre desiderata ma che non si era mai potuto concretizzare. Ho subito
venduto la mia piccola macchina che usavo per lavorare e così poter
finanziare il viaggio e mandarla. Fortunatamente, mi scrivevo con i miei
antichi compagni ed amici e ho dato a loro la bella notizia del suo arrivo.
L' hanno ricevuta come una regina, gli anziani della campagna si ricordavano
dell' inquieta e piccola Paola, gli amici di città anche. Ero immensamente
felice! (dopo molti anni di lotta).
Sfortunatamente, i lombardi erano pochi e “molto occupati” ma poco a poco
sono aumentati e lo scambio con la Regione si è fatto più fluido. Ci siamo
entusiasmati, dovevamo vedere dove c'erano più lombardi e abbiamo iniziato a
scrivere ad altre città. Rosario aveva un gruppo numeroso, anche Córdoba,
Salta, Mendoza, La Plata, San Nicolás, Mar del Plata. Così fondammo la
Federazione. Dopo, abbiamo partecipato del congresso organizzato a New York
nel 1998 e lo stesso anno alle conclusioni a Milano.
Tutto era armonia. Dopo qualche anno, i primi presidenti dell'Associazione
hanno rinunciato per dare spazio a nuove figure, ma succedettero loro
autorità che invece di ascoltare e lasciare spazio ai giovani li usavano
così che, poco a poco, questi hanno perso interesse e si sono ritirati. Le
nuove autorità solo cercavano protagonismo, di essere famosi, che l'Italia
li conoscesse no per quello che facevano ma semplicemente per stare lì ad
occupare una carica: la crescita dell'associazione, che loro stessi avevano
fondato anni prima, non era importante. Così anche gli anziani
incominciarono ad allontanarsi. Tutto cadde in un periodo di letargo.
Niente si faceva, né si fa, nemmeno esiste più la “mangiata” che con tanto
entusiasmo ed amore facevano i nostri figli. Entrarono nuovi soci che
speravamo portassero un'aria di cambio e, sicuramente le idee ce le avevano,
ma non seppero realizzarle, pensarono che era già tutto a posto e che, senza
lavorare, avrebbero ottenuto quel che volevano (un posto gerarchico, qualche
aiuto per occupare in seguito posti politici all'interno della collettività
italiana, anche se nessuno li conosceva… ecc., ecc.). I vecchi si sono
appartati, perché i più intraprendenti e quelli che si credevano la “nuova
forza”, non seppero che fare e offesero i più anziani in luogo d' aiutarli.
E, disgraziatamente, i presidenti attuali non hanno saputo mettere limiti né
rinunciare, sono “incollati” alla sedia, magari hanno paura che gli succeda
la stessa cosa che loro non hanno saputo frenare… Poi è arrivata la
politica, ma non quella dei progetti, degli aiuti, della solidarietà, dello
sguardo sempre attento ai bisogni dell'altro. Non la politica umanitaria che
dovrebbe esistere all'interno delle associazioni oggigiorno. No, quella no.
È arrivata una politica opportunista, la politica del “che posso guadagnare
se faccio questa o quell'altra cosa? “
Bisogna trovare la maniera che le persone di sessant'anni e più, dell'altra
emigrazione, possano ricordare e insegnare ai giovani a progettare, fondando
così un nuovo associazionismo che non sia contaminato. Il problema è come
avvicinare i giovani, come interessarli senza promettergli di tornare in
Italia “a far l' America là” ma approfittare l'aiuto che di là ci viene per
costruire un paese degno e con futuro. Il difficile è trovar la strada,
magari si dovrebbe rifondare l'associazione, lasciando la nostalgia del
passato, abbandonando le vecchie associazioni (fondate da tanti di noi) ed i
loro dirigenti e pensando solo nel futuro per assicurare la continuità
dell'italianità lombarda in Argentina. É un passo difficile e triste,
soprattutto per chi ha formato parte di quella vecchia Associazione, ma lo
credo necessario.
Ci saluta con un aneddoto?
Nel 1962, prima di sposarmi, siamo andati con mio papà in Italia. Nel treno
parlavamo con lui in spagnolo perché nessuno ci capisse e, per nostra
sorpresa, un uomo dietro ci disse: “così che voi vivete a Buenos Aires? Che
piacere!!! Io pure.” Jajajaja! Che vergogna.Che piccolo è il mondo, tutto il
mondo è paese.
Prima di salutarvi, voglio evidenziare il lavoro di Daniele Marconcini e del
suo gruppo di collaboratori giacché il loro operato risponde ai bisogni
dell'altro, pensando al futuro. Si sono presi a cuore la mia situazione e
finora sono sempre arrivati a tempo, attraverso loro, i mantovani o la MIA
REGIONE. Quando c'è una nuova speranza per i miei occhi malati: una
medicina, un'operazione chirurgica o qualche nuova invenzione per
facilitarmi la vita arrivano loro.
No, non posso piangere, trovo sempre una mano amica che mi aiuta, un angelo
che accende le speranze che si erano spente. Come in questa occasione, che
arriva un computer che mi legge i messaggi, il giornale, le fatture della
casa, a cui posso parlare e lui scrive, insomma mi permette di rimanere in
contatto col mondo.
Grazie! Grazie, è solo una semplice parola che esce dal cuore, grazie a
tutti coloro che hanno reso possibile questo miracolo che mi permette di
reinserirmi nel mondo e mi danno la speranza che si possa tornare a essere
“umani”, imparando ad ascoltare i bisogni di tutti i lombardi in Argentina.
Paola Basola
www.lombardinelmondo.org