Forse che sì, forse che no

di Carlo Di Stanislao

Lo “Statuto dei diritti dei lavoratori”, la l. n. 300 del 20 maggio 1970, ha compiuto 40 anni ed è stato calpestato, distrutto, annullato, in un sol, colpo. Qualche tempo fa, durante le celebrazioni del quarantennale (in Italia si celebra tutto, per non ricordare mai nulla, come sosteneva Montanelli), Sacconi ha detto che i valori dello Statuto sono e restano invariati e, intanto, in cuor suo, disegnava variazioni e distruzioni di natura epocale. Viviamo un’Italia sempre più difficile, attraversata da xenofobie e divisioni, incertezze lavorative e disoccupazione, separazioni di categorie e vocazioni reazionarie. Un’Italia che approva manovre che fanno (per stessa ammissioni del Tesoro), decrescere il Pil (già boccheggiante) dello 0,5%, riduce le risorse per il welfare e l’innovazione, rende il futuro dei giovani più incerto. Un’Italia con un governo che si spende per fare approvare proposte di lavoro che calpestano diritti costituzionali, dignità e morale dei lavoratori, con la pretesa di essere elastico e moderno e di andare nella direzione giusta secondo quanto attuato in tutto il mondo. Lo stesso governo che continua a dire che vi sono 9 miliardi per l’Aquila, senza ricordare che essi sono solo virtuali e non c’è un centesimo per pagare i lavori effettuati, i debiti contratti e prospettare una qualche ricostruzione. Ed i lavoratori stanno pagando e continueranno a pagare il prezzo di una crisi provocata dai processi di deregolamentazione e privatizzazione, uniti ai bassi salari, bassissime garanzie e crescente precarietà. L’Italia che domani sciopererà, guidata dalla Cgil è quella che non sopporta più questo stato di cose, la punta di un iceberg di crescente dimensione, fatta di amarezza, preoccupazione e rifiuto, nei confronti di una politica basata su privilegi, corruzione, tutela dei più abbienti, attrezzati, garantiti e protetti. E mentre, gongolando, il ministro Sacconi esclude che Fiat possa rinunciare a spostare la produzione della Panda a Pomigliano dopo il risultato del referendum tra i lavoratori e giudica “difficile” l'ipotesi di una newco con contratti diversi dagli attuali e non dice che così si è riusciti a spostare la Polonia da noi, Enrico Rea, saggio intellettuale napoletano, scrive che la dirigenza Fiat ed il governo, dovrebbe guardare con angoscia ai molti sì del referendum, che dimostrano lo stato di totale prostrazione e rinuncia che l’attuale stato delle cose a trasformato uomini con una dignità, in autentico schiavi. Susanna Camuso, vicesegretaria vicaria della Cgil, a margine dell'Assise degli amministratori delle Camere di commercio, ha detto di non credere che l’accordo di Somigliano farà scuola, ma c’è da credere che, comunque, costruisce un precedente pericoloso, che annulla diritti acquisiti e costituzionali, divide i sindacati, rende gli imprenditori sempre più determinati e garantiti nei lori interessi. Un tempo, in tempi certamente più civili, si cercavano e trovavano soluzioni condivise in grado di non trasformare le fabbriche in delle caserme; oggi, invece, ciò che si cerca è l’appiattimento chino di maestranze spaventate, pronte ad ogni rinuncia per un tozzo di pane. Ma non di questo si preoccupa il governo, non dei diritti calpestati e del futuro usurpato per milioni di italiani, ma del fatto che, forse, possa mettere l’ipotesi del federalismo fiscale in condizione di non praticabilità. Ha ragione Marco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni, che al termine del colloquio, nel Palazzo della Stamperia, con i ministri Tremonti, Fitto e Calderoli, ha dichiarato: “la manovra ha conseguenze insostenibili per alcuni servizi fondamentali: il trasporto pubblico, la politica per la famiglia e per il sociale, le politiche a sostegno delle piccole e medie imprese” e non si vedono spiragli di cambiamento. Dal canto suo, il ministro Tremonti ha spiegato: “Noi non abbiamo alternative sui saldi, sui soldi e sulla distribuzione”, dimenticando di dire che la sua strategia è fatta in modo da non ledere l’interesse dei ricchi e far pagare il conto solo ai lavoratori dipendenti e a chi già paca moto per un Paese che da sempre meno. Ieri, contro l'accordo di Pomigliano, hanno scioperato, dalle 9 alle 11, i lavoratori della Piaggio che già si erano fermati il 21 pomeriggio dalle 15 alle 17 e avevano raggiunto in corteo la palazzina degli uffici. Bersani ha anche detto che il trionfo dei sì è stato un trionfo della FIAT, ma la verità è che l’Italia intera non è interessata alla vicenda (o lo è meno della partita e dei preparativi per Italia-Slovenia) e si beve l’ennesima bufala mediatica, secondo cui la Fiom agita gli anima e raccoglie consensi solo fra alcuni facinorosi. Ciò su cui dovremmo riflettere, invece, è che a Somigliano l’Italia dei diritti ha perso una importante battaglia e, ancora, come scrive il Sole 24 Ore, che la vittoria del referendum è andata di fatto al 36% dei lavoratori che hanno bocciato l'accordo sottoscritto tra Fiat, Cisl e Uil, almeno come fatto di dignità, perché nessuno e in nessun caso può piegarsi a vili ricatti, neanche in condizioni di fame. In questa Italia dei diritti calpestasti, della finta democrazia, dei sacrifici necessari se riguardano gli altri, delle comode posizioni personali, dovremmo ricordare le parole di Clemente Rebora, che c’inchiodano alle nostre, singole responsabilità: “Urge la scelta tremenda: dire sì, dire no a qualcosa che so”. Marchionne è l’emblema di un’imprenditoria spregiudicata e spietata, aiutata da governi reazionari ad imporre i propri voleri e calpestare i diritti più elementari degli altri, una imprenditoria travestita e apparentemente alla mano (con maglioncini e scarpe da tennis), ancora più pericolosa e strisciante di quella classica delle prime lotte sindacali. Un’imprenditoria che già tre anni fa aveva mostrato, senza che nessuno intervenisse, il suo volto feroce, con il licenziamento (eravamo nel 2007), a Melfi, di 4 operai della SATA, attivi nelle lotte contro l’aumento dei ritmi e le pessime condizioni di lavoro e, subito dopo, quello di Mimmo Mignano, delegato sindacale della Confederazione Cobas proprio a Pomigliano, attivo nel sindacalismo di base e fra i più impegnati nella preparazione dello sciopero (del novembre di quell’anno), che ebbe grandi risultati in termini di partecipazione. Ha ragione Giulio Tremonti, che alla presentazione di un libro di Maurizio Sacconi e Gianni De ha detto che Pomigliano “é la rivincita dei riformisti su tutti gli altri”; una rivincita di marca reazionaria e poco onore fa al passato socialista di vari esponenti del Pdl e del governo. Di fatto, incredibile a dirsi, l’unico vero socialista, sull’accordo, è stato il destrorso Di Pietro, che ha detto: “qui è in gioco lo statuto dei lavoratori, il contratto nazionale e tutte quelle garanzie acquisite negli anni dai lavoratori, che non sono mai in contrapposizione in un’azienda moderna, efficiente e competitiva”.

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