Ci dispiace dirlo, ma il modo con cui la tematica delle intercettazioni e della gogna mediatica conseguente alla loro pubblicazione è stata trattata, costituisce a nostro avviso un pericoloso autogol per il centrodesta ed un'occasione persa (speriamo non sia l'ultima) per inchiodare certi “magistrati d'assalto” alle loro gravi responsabilità.
Ricordiamo innanzitutto che il codice penale, articolo 326, dispone quanto segue:
Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio.
Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie d'ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se l'agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno.
Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie d'ufficio, le quali debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni.
Ebbene, di fronte al fenomeno della pubblicazione oramai quotidiana delle intercettazioni, trasformate da legittimo ed utilissimo strumento d'indagine in arma di ricatto politico e quindi in vero e proprio tritacarne mediatico per le persone coinvolte, il governo dovrebbe a nostro avviso stringere le maglie nei confronti dei primi responsabili di tanto caos: i magistrati inquirenti che divulgano a terze persone atti e documenti coperti da segreto istruttorio.
Basterebbe, per risolvere la questione, introdurre un nuovo comma all'articolo 326 del codice penale in cui si preveda che:
“Per quanto riguarda la violazione del segreto istruttorio in atti giudiziari, il magistrato titolare delle indagini è sospeso d'ufficio dalle sue funzioni per un anno a partire dal momento della divulgazione indebita, ferma restando la contemporanea responsabilità civile e penale, da accertarsi con autonomo procedimento giudiziario. In caso di reiterazione del reato da parte dello stesso magistrato, sarà disposta nei suoi confronti la radiazione dall'albo”.
Non dovrebbe essere difficile approvare un articoletto del genere, con il quale si attribuirebbe finalmente ai magistrati titolari dell'inchiesta la responsabilità oggettiva della fuga di notizie, colpendoli con una sanzione di tipo disciplinare assai più incisiva della poco convincente (e sinora disapplicata nei fatti) pena detentiva, senza contare il fatto che la sospensione dalle funzioni verrebbe comminata immediatamente e d'ufficio anziché attraverso un lungo procedimento penale.
Molto più discutibile, invece, e politicamente insostenibile è, a nostro avviso, colpire l'ultimo anello della catena, ovvero il giornalista che, ricevuta una succosa “soffiata” direttamente o indirettamente dagli organi giudiziari, non fa altro che compiere il suo dovere professionale, pubblicando lo “scoop” in prima pagina. In tal modo si darebbe il via libera ad una norma che è difficile non definire “liberticida” – inutile girarci intorno -, che si ritorcerebbe come un boomerang nei confronti del governo e che finirebbe per lasciare impuniti i veri responsabili dell'indebita divulgazione, cioè i magistrati che passano gli atti secretati a terze persone.
Riteniamo perciò opportuno scegliere la via maestra, cioè rendere personalmente responsabili e sanzionare senza appello quei magistrati che, violando il segreto istruttorio, vengono meno ai loro fondamentali doveri, diventando cinghia di trasmissione di deleterie tempeste mediatico-politiche. Invitiamo i nostri rappresentanti ad agire in questo senso senza temere le scontate reazioni delle toghe, le quali si metterebbero a quel punto in un angolo da sole.
Difatti, se una volta approvata una norma del genere alcuni magistrati si scatenassero in un turbillon di avvisi di garanzia contro parlamentari e ministri, dovessero quegli stessi magistrati divulgare anche gli atti relativi alle neonate inchieste (intercettazioni od altro), essi subirebbero l'immediata sospensione dalle funzioni.
E' l'uovo di Colombo, basta rifletterci un attimo. Invitiamo quindi chi di dovere a ripensare il tutto ed a prendere quelle misure, semplici, severe e stringate, capaci di porre finalmente un freno a quelle schegge impazzite di magistratura che ormai da 20 anni tengono la politica ed il Paese tutto sotto scacco.