di Gianmario Mariniello
In principio dovevamo abolire tutte le Province. Poi, per chiudere l’accordo con la Lega, nel programma scrivemmo di cancellare solo le Province inutili. E già qui verrebbe da domandarsi come si stabilisce l’inutilità. Vabbè.
Aboliremo le Province delle aree metropolitane, diceva Berlusconi. Evviva. Poi venne la crisi e la manovra Tremonti, che voleva tagliare solo le Province con meno di duecentoventimila abitanti, ma non quelle confinanti con Stati esteri, non quelle delle regioni a Statuto speciale e via con le più svariate deroghe, in pure stile itagliano. Polemiche, scioperi della fame annunciati, proteste, interrogazioni parlamentari e di tutto di più. Per la serie “abolite le Province, ma non la mia”. Come al solito. Poi all’improvviso la norma sparisce dalla manovra. Miracolo.
Salvo poi ricomparire in versione ancor più ridotta nella Carta delle Autonomie in discussione alla Camera, dove si propone di abolire le Province con meno di 200 mila abitanti, ma – attenzione che c’è l’emendamento ganzo – non quelle con il 50% di territorio montano. Insomma, le Province pianeggianti sono sfigate, sappiatelo. E così via le province minacciate provano in tutti i modi a dimostrare di avere un territorio pieno di montagne. E alla fine Biella, Verbano e Crotone riescono a sfangarla.
E alla fine la tagliola si abbatte solo su Vercelli, Isernia, Vibo Valentia e la neonata Fermo, che ha visto la luce solo nel 2009, l’anno scorso. Roba da Guinness dei primati.
Berlusconi aveva detto che abolire tutte le province faceva risparmiare “solo” 200 milioni l’anno. Diciamo che ha ragione. E quanto abbiamo risparmiato abolendo Vercelli, Isernia, Vibo Valentia e Fermo? 500 euro? A questo punto, facciamo una colletta e salviamo pure loro.
È il solito teatrino comico. E c’è pure Totò, sì. Che grida “io pago”. In compagnia di milioni di italiani.
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