INTERVENTO ON. LORENZO CESA – Segretario Nazionale Udc

Ho riflettuto molto nei giorni scorsi sulle parole, sui toni da utilizzare in questo mio intervento.
Non so se ci riuscirò, ma quelli che vorrei provare a trasmettervi sono due sentimenti anche un po’ contrastanti con i quali convivo da qualche tempo.
Il primo è un sentimento che assomiglia alla nostalgia. Quella di chi ha accudito e cresciuto un figlio ed ora si prepara a salutarlo.

Come per molti di voi – forse in qualche caso, permettetemi un pizzico di presunzione, anche un po’ più di molti di voi – non c’è stato giorno degli ultimi anni in cui non mi sia dedicato anima e corpo al nostro partito, in cui non abbia lavorato per tenere insieme i nostri amici sul territorio, in cui non mi sia sforzato di ascoltare, capire e portare ad una sintesi le ragioni di tutti, dei nostri dirigenti locali, dei nostri quadri di partito, degli amici che abbiamo incrociato magari solo per qualche breve periodo.

Ho dato tutto me stesso all’Udc. E oggi che da quella storia, insieme ad altre, sta per nascerne una nuova. Non sarei umano se non vi dicessi che provo forti emozioni dentro di me.
Ma c’è un altro sentimento che avverto. Assolutamente prevalente, più forte di quello che ho appena descritto.
Ed è di entusiasmo e di voglia di lanciarmi insieme a voi verso una nuova sfida, più grande, più appassionante: la sfida per il Governo del Paese.
Per quattordici anni con l’Udc e le sigle che lo hanno preceduto abbiamo compiuto ogni sforzo per rendere più mite, più ragionevole il bipolarismo italiano.
Prima degli altri avevamo capito che un Paese diviso da un muro collocato giusto nel mezzo tra i due schieramenti era un Paese destinato a perdere.
Due anni fa, preso atto che quel sistema non si poteva cambiare dall’interno, abbiamo deciso di collocarci fuori, di contestarlo, di metterci al lavoro per superarlo.
Abbiamo accettato il rischio di pagare un prezzo altissimo, rinunciato al potere e messo a repentaglio la nostra stessa esistenza in Parlamento.
Abbiamo perso una fetta consistente della nostra classe dirigente sul territorio che non se l’è sentita di seguirci in quella che a molti pareva una follia suicida.
Ma non abbiamo perso gli elettori, anzi nell’arco di due anni li abbiamo rivisti crescere.
E oggi siamo qua, non siamo né impauriti né irrilevanti. Al contrario, siamo corteggiati da una parte e dall’altra.
Quelli in crisi dunque non siamo noi, ma sono proprio i grandi contenitori – non li chiamo partiti perché i partiti veri sono assai diversi – quelli che avevano fatto di tutto per cancellarci e dividersi le nostre spoglie, il Pd e il Pdl.
E in crisi è tutto il sistema.
Le nostre previsioni si stanno rivelando, purtroppo per l’Italia, azzeccate.
Ma allora, qualcuno mi ha chiesto, perché volete andare oltre l’Udc?
Perché oggi che i fatti vi stanno dando ragione progettate un nuovo partito?
La mia risposta è che dobbiamo chiudere con il passato proprio perché abbiamo avuto ragione.
Dobbiamo farlo perché sarebbe troppo comodo ora metterci a fare le maestrine e segnare con la matita blu e rossa tutti gli errori di un governo e di una maggioranza in affanno e di un’opposizione confusa e in crisi di senso e di identità.
Sarebbe troppo comodo, ma soprattutto sarebbe da irresponsabili.
La storia ha già bocciato questo sistema e questi mega contenitori senza identità.
Questo bipolarismo verrà ricordato per aver scaraventato l’Italia agli ultimi posti della crescita dei Paesi europei dall’inizio degli anni ’90 ad oggi, per avere ridotto paurosamente il potere d’acquisto dei nostri lavoratori, per avere aumentato anziché diminuire il gap di competitività che divide le nostre imprese dalle loro concorrenti europee ed americane – e non parlo di quelle dei Paesi emergenti come la Cina che godono di un vantaggio competitivo incolmabile -, per aver prodotto montagne di promesse, di riduzione delle tasse, di modernizzazione liberale, di riforma della macchina dello Stato, di maggiore giustizia sociale senza aver mai realizzato nemmeno una collinetta di novità positive.
Questo è un Paese in cui ognuno si è conquistato il suo fortino, si è scelto un nemico e tira a campare spaventando i suoi col messaggio: “Stiamo uniti se no vince il nemico”. Che tristezza!
E’ un Paese in cui Di Pietro esiste perché c’è Berlusconi e dietro a questo paravento si trascina pure una buona fetta di Pd.
E’ un Paese in cui Berlusconi esiste perché deve difenderci dai comunisti.
E’ un Paese in cui la Lega esiste perché ha tirato una riga tra nord e sud e gioca a mettere gli uni contro gli altri.
Possiamo andare avanti con l’Udc e metterci a fare le maestrine mentre l’Italia rischia di fare la fine della Grecia? Io dico di no.
Se, come amava ripetere uno dei tanti italiani che ha unito questo Paese attorno alle sue passioni più ingenue magari ma anche più genuine, “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”, allora dobbiamo sapere che bisogna andare oltre questo schema, oltre questa realtà e dunque anche oltre l’Udc.
Non darci una riverniciata. Andare oltre!
Il nostro è un Paese che con la fine della Prima Repubblica, con la fine delle ideologie, ha pensato di poter fare a meno della politica. L’onda peraltro – lo ha detto bene Adornato nel suo intervento di apertura di ieri che condivido ed apprezzo in pieno – non ha riguardato solo l’Italia ma un po’ tutto il mondo, con l’economia e la finanza che spesso hanno ridotto in un angolo la politica.
Ma noi in particolare abbiamo pensato addirittura di poterne fare a meno.
Ci siamo affidati all’imprenditore più grande che avevamo proprio perché non era un politico e di questo si vantava e su questo ha fatto campagna elettorale.

Abbiamo costruito tutta la storia degli ultimi sedici anni intorno a questa distanza dalla politica.
E solo oggi ci stiamo finalmente accorgendo che un Paese che rifiuta la politica è un Paese senza guida, che se ne va alla deriva.
Certo, se la politica è quella che ha perso ogni freno etico, che punta solo sulle divisioni per tenere fermo il Paese, mantenere le proprie posizioni di vantaggio e arricchirsi ad ogni livello, è chiaro che non serve, anzi è un danno.
Ma quella non è politica.

Mai come oggi l’Italia ha bisogno di politica vera, di una guida che metta al centro l’interesse generale del Paese, che sappia ricondurre ad unità le infinite pulsioni e tensioni che provengono da una società civile complessa e variegata come la nostra.
Ho letto ed interpretato l’iniziativa dei giorni scorsi di Rete Imprese Italia come un grido d’aiuto e insieme un ultimo avvertimento alla politica: due milioni di piccoli imprenditori, artigiani e commercianti che si mettono insieme per dirci: “Guardate che così non ce la facciamo più.
Guardate che così salta il Paese, che non ne possiamo più delle vostre beghe, dei vostri litigi, dei vostri scandali. Ci avete stancato tutti. Noi abbiamo bisogno di rimetterci a produrre, a crescere, e se non lo facciamo insieme, tutti insieme andiamo a fondo”.
I segnali che arrivano da Rete Imprese Italia, gli applausi a scena aperta delle donne e degli uomini della Confindustria a Parma per le parole di responsabilità del sindacato, della Cisl di Bonanni e della Uil, ci dicono che una quota sempre più consistente di questo Paese ha voglia di voltare pagina.

Lo vogliono le sue categorie produttive, ma lo vogliono anche quel 36,5% di italiani che alle ultime elezioni regionali non è andato a votare, un numero di astenuti che non si era mai registrato in precedenza.
E ce lo chiedono i nostri elettori.
Domenica scorsa ho letto questa agenzia: <<“Casini tutti i giorni combinava un pasticcio e frenava, e' come Fini. Per questo non so se è utile''. Lo ha detto Bossi intervenendo a una gara di tiro alla fune sul fiume Ticino>>.
A Bossi abbiamo già risposto con chiarezza che nessuno ha mai chiesto di entrare nell’attuale maggioranza e non siamo interessati a farlo, dunque può dormire sereno.
Ma non è questo il punto.
Il punto è che se vogliamo davvero voltare pagina, non abbiamo più bisogno di ministri che se ne vanno alle gare di tiro alla fune mentre il Paese è sull’orlo di una crisi drammatica.
Non abbiamo più bisogno di ministri che girano con un’ascia in mano e si fanno fotografare felici mentre bruciano montagne di carte.
E non abbiamo più bisogno di un’opposizione che passa le sue giornate ad insultare tutto e tutti come fa Di Pietro.
Non abbiamo più bisogno del suo braccio armato in tv Santoro che fa la morale al mondo intero e poi si mette in tasca dieci milioni di euro di soldi pubblici di buonuscita per chiudere Annozero alla faccia di tutti quelli che lo osannavano come paladino pronto a immolarsi per la libertà di stampa. Come non abbiamo più bisogno di giornalisti militanti, da qualunque parte stiano, che di questo modo di fare politica che intendiamo sconfiggere sono ormai parte integrante. Abbiamo bisogno di giornalisti che tornino a fare il loro mestiere e basta.
Vuol dire che abbiamo arruolato la Marcegaglia, o Montezemolo, o il sindacato e le categorie produttive?
Certo che no, non siamo così ingenui.
Ma siamo convinti che quando, da posizioni diverse, si condividono le stesse analisi, si invocano le stesse soluzioni, prima o poi trovare un luogo d’incontro e di dialogo sia naturale.
Nonostante la situazione sia difficilissima voglio dirvi che sono ottimista.
La storia di questo Paese insegna che gli italiani, nei momenti del bisogno, nelle fasi più dure, sanno unirsi e trovare insieme la via d’uscita.
L’hanno fatto dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando il Paese era lacerato e distrutto e si è risollevato.
L’hanno fatto negli Anni di Piombo, quando la guerra civile pareva dietro l’angolo e quando Aldo Moro aveva compreso prima degli altri che era necessaria una nuova pacificazione per far progredire l’Italia.
Per frasi come queste: “Nessuna persona ai margini, nessuna persona esclusa dalla vitalità e dal valore della vita sociale… Niente che sia morto, niente che sia condannato, niente che sia fuori della linfa vitale della società. Questo è il problema immane della piena immissione della masse nella vita dello Stato, tutte presenti nell’esercizio del potere, tutte presenti nella ricchezza della vita sociale… Non uno Stato di alcuni, ma lo Stato di tutti; non la fortuna dei pochi, ma la solidarietà sociale”,
per frasi come queste – dicevo – Moro pagò con la vita.
Ma il suo sacrificio compì davvero il miracolo, l’Italia tornò ad unirsi e trovò la via per sconfiggere il terrorismo e ritrovare la speranza nel futuro.
L’Italia si è unita nel 1992, quando di fronte alla crisi della lira, di fronte al rischio della bancarotta di Stato, ha pagato una manovra fatta di lacrime e sangue da 93 mila miliardi per rimettersi in piedi.

Questo è un Paese che ce la può fare anche oggi. Ma ha bisogno di tornare coeso, di riconciliarsi, tra nord e sud, tra politica e magistratura, tra le categorie sociali e produttive, tra chi qui è nato qui e ci vive e chi è arrivato qui per lavorare rispettando le nostre leggi.

Quello che serve lo sappiamo tutti. L’ha ricordato bene ieri Adornato nel suo intervento: riduzioni della spesa pubblica specie sui versanti di pensioni e sanità, riduzione del carico fiscale per le piccole imprese e le famiglie, liberalizzazioni, ricerca e innovazione, un nuovo modello di sviluppo basato sulla green economy.
Riforme che questa politica non ha avuto il coraggio di fare, sia quando ha governato il centrosinistra, sia quando ha governato il centrodestra.
Si è preferito inseguire i sondaggi piuttosto che affrontare la realtà delle cose da fare. Si sono preferite le facili promesse alla verità anche cruda dei nodi da sciogliere.
E oggi agli italiani viene presentato il conto.
Questa politica e questo bipolarismo non sono più credibili e non sono in grado di portarci fuori dalla tempesta perfetta in cui ci siamo cacciati.

Di fronte all’emergenza naturalmente mi auguro che il Governo e Tremonti riescano a tappare la falla con questa manovra da 26 miliardi di euro ed esamineremo con attenzione e senza pregiudizi, ma con rigore, le misure che verranno presentate in Parlamento.
Un’opposizione repubblicana non può esserlo a intermittenza. Tanto più nei momenti difficili e cruciali in cui è in gioco la credibilità e il destino di un Paese.
Nelle missioni internazionali di pace, siamo stati accanto ai nostri soldati che rischiano la vita per difendere la bandiera. E ancora oggi li ricordiamo e dobbiamo farlo tutti i giorni.
Allo stesso modo, in questo momento di crisi non possiamo rassegnarci a vedere la nostra Nazione andare nel baratro. Come ha detto oggi Stefano Folli: “Non possiamo stare alla finestra in attesa del peggio. Sarebbe un imperdonabile errore politico”.
Ma per cambiare passo serve un’altra politica, un altro governo, un governo di unità nazionale, chiamatelo come volete, e altri protagonisti.

Guardate quello che è successo proprio in questi giorni: mentre i mercati si aspettano segnali precisi da Paesi con un debito pubblico alto come il nostro, il Parlamento ha approvato un decreto sul federalismo demaniale che sottrae dalla disponibilità dello Stato una parte importante di quei beni che erano destinati proprio a garantire la solvibilità del nostro debito.
Un pasticcio che ha visto non solo la maggioranza come al solito a rimorchio della Lega, ma pure il populismo di Di Pietro, che ha scavalcato un Pd sempre più tremante impegnati in una gara ad ingraziarsi la Lega pensando di poterle rubare qualche voto al nord scimmiottandola.

E’ l’ennesima dimostrazione che serve ben altro. Serve un partito che sappia parlare agli italiani con il linguaggio della verità e che sappia riunirli intorno ad una missione che non può che essere comune: quella di riprendere il cammino verso un’Europa più unita e più coesa, non solo sul piano economico, ma anche sul piano politico. Un’Europa in grado di affrontare le grandi sfide che partono dagli Stati Uniti, dalla Cina e dagli altri Paesi emergenti e che la stanno marginalizzando.

A questo proposito nei prossimi giorni saremo promotori nel Ppe di un confronto sulla linea del rigore in sede di Unione Europea per tracciare attraverso il Parlamento europeo una linea comune anticrisi.
Questo comunque è il partito della nazione che vogliamo costruire.
Un partito che guarda al futuro, moderno, europeista. Che sappia dare spazio ai giovani e costruire una nuova classe dirigente, ma con radici solide, fatte di storia, tradizione e valori.
Un partito laico, che si riconosca nella comune identità cristiana dell’Italia e dell’Europa e nel messaggio di uguaglianza e giustizia della dottrina sociale della Chiesa.
Un partito liberale, riformatore, aperto alle innovazioni della scienza ma fermo nella tutela di valori irrinunciabili come quello alla vita.
Non so che faranno Rutelli, i Popolari del Pd, ma anche i tanti moderati che non si riconoscono più in questo Pdl così cupo. Sono convinto che guarderanno con attenzione a quello che stiamo preparando.
E immagino che prima o poi ci ritroveremo a dialogare insieme: in che modo e da quali posizioni non lo so. Ma ci ritroveremo insieme.

Ma a loro e, ancora di più, a tutti gli italiani di buon senso che vogliono qualcosa di diverso rispetto a quanto hanno visto negli ultimi sedici anni, mi sento di dire che qui sta per nascere una casa completamente nuova.
Che siamo pronti a costruirla con chiunque sia disponibile. E lo vogliamo fare da pari a pari, senza invocare primogeniture.
Nei giorni scorsi ho azzerato l’esecutivo nazionale del partito proprio per dimostrare che ci incamminiamo verso un terreno nuovo, senza volerci presentare con i gradi da generale o da maresciallo.
Ma io, Pier, Rocco…tutti noi la nostra parte l’abbiamo già fatta. Ora siamo convinti che dobbiamo dare spazio e portare in prima linea una nuova generazione alla guida del nuovo soggetto.
Abbiamo grandi risorse interne, e molte altre, siamo certi, ne arriveranno.
Ai giovani però chiediamo più coraggio e meno tatticismi. Mettete faccia, cuore e impegno in questo progetto e avrete tutto il nostro sostegno e un ruolo da protagonisti.

Ai nostri dirigenti locali voglio innanzitutto esprimere tutta la mia gratitudine e ammirazione per lo straordinario lavoro svolto in questi anni. Sapete quanto lo apprezzo.
E comprendo anche il dispiacere di alcuni di voi per la chiusura di questa fase.
E’ lo stesso dispiacere che provo io e che ho provato ad esprimere in apertura del mio intervento.

Peraltro, se è vero – e sappiamo tutti che è vero – che l’Udc ha una sua forza e presenza radicate sul territorio, questo lo dobbiamo al vostro impegno e a quello dei tantissimi amministratori locali che si fanno in quattro ogni giorno nelle giunte e nei consigli comunali, provinciali e regionali per portare avanti le nostre battaglie.
A tutti questi nostri amici voglio dire però che è arrivato, come per i dirigenti nazionali, il momento di fare un passo indietro prima di compierne due avanti.

Non si tratta di punire nessuno, voglio sottolinearlo con forza.
Si tratta semmai di dimostrare all’esterno che il percorso che ci accingiamo a compiere è davvero aperto a tutti.
Troppe volte in passato, e su questo credo che nessuno possa evitare di fare autocritica, ci siamo rinchiusi nel nostro orticello e ci siamo preoccupati più di impedire che altri venissero a dissodare la terra insieme a noi che di far crescere la pianta del partito.
Oggi tutto questo non potrà più essere possibile.
Mi aspetto semmai che i nostri dirigenti locali si impegnino sul territorio a contattare nuove risorse, nuovi interlocutori, specie giovani, con i quali avviare il cammino verso il nuovo partito.
Se merito e concorrenza sono alcuni dei messaggi chiave rivolti all’esterno del nostro progetto, non possiamo pensare di non applicarli con il massimo rigore anche al nostro interno.
Non ci sarà più spazio per le incrostazioni e per gli sguardi rivolti all’indietro.
Questo è il tempo della generosità e del coraggio. Da qui parte il tesseramento verso il nuovo partito.
Il cui nome lo decideranno gli italiani.
Dai prossimi giorni sarà attivo un sito internet a cui tutti potranno mandare idee e proposte per il simbolo e per il nome.
Senza rinunciare e chiudere in un armadio la parte più esaltante della nostra storia.
Il tesseramento verso il nuovo soggetto rimarrà aperto fino a fine novembre.

Tutti potranno aderire. I singoli naturalmente, ma anche i movimenti, le liste civiche, i gruppi locali o regionali o nazionali che si riconosceranno nei valori del partito e che risponderanno ai requisiti del codice etico che entro pochissimi giorni vareremo e renderemo noto.
E a questo proposito, credo che un primo passo potrebbe essere quello di non rendere compatibile la candidatura alle elezioni con il ruolo di segretario regionale e provinciale.
Oltre al codice etico, chi ha incarichi amministrativi e vorrà aderire dovrà anche sottoscrivere il Decalogo dell’amministratore del partito della Nazione.
Ogni adesione comunque verrà valutata da un Coordinamento nazionale di garanti che vareremo qui a Todi entro domani.

A questo Coordinamento la prossima settimana verrà affiancato un Comitato promotore con il compito di sollecitare iniziative ed incontri sul territorio per far conoscere la novità e stimolare nuove adesioni.

Chiuso il tesseramento avvieremo subito la fase delle assemblee congressuali che dovranno poi condurci al congresso fondativo tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011.
Mi rendo conto che tutte queste regole, procedure, organismi che ho elencato ora sommariamente possano apparire noiose.

Ma noi vogliamo dar vita ad un partito vero e per realizzarlo e per garantire la democraticità al suo interno, le regole sono indispensabili. Altrimenti avremmo scopiazzato gli altri.

Ma la cronaca degli ultimi anni dimostra che i partiti finti possono anche funzionare per qualche tempo, ma hanno il respiro corto. Noi invece vogliamo guardare lontano.

Quella che stiamo per lanciare è la sfida per il governo dell’Italia del domani.
E se sapremo lanciarla con il rigore che traspare dalle parole che sto per leggervi ho la certezza che la vinceremo:

“Voi costituite bensì un Partito, cioè una parte della Nazione, ma questa parte non è accampata nella Nazione per dominarla o per dividerla, ma è collocata in mezzo ad essa per servirla e precisamente per servirla secondo i criteri di convivenza, i quali prima che dalla Costituzione scritta, derivano dalle esigenze del nostro regime libero, dalla necessità primordiale di difendere all'interno le pubbliche libertà, sul binario della morale e della giustizia sociale; e di tener alto all'estero l'onore dell'Italia e di proteggerne gli interessi. Ecco che più che come parte, voi sentite la responsabilità di agire come centro, come il nucleo più solido di una democrazia, distinta in vari autonomi settori, ma uniti tutti nell'impegno, di consolidarla e garantirla nei suoi sviluppi a venire”.

Sono parole di Alcide De Gasperi. Teniamocele strette, facciamole nostre.
E guardiamo al futuro con fiducia.
Grazie.

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