Quando si parla di «fuga dei cervelli» dall’Italia!

Da decenni si sente parlare in Italia di fuga dei cervelli (in inglese: brain drain) e da qualche anno si discute su come farli ritornare. Purtroppo non esistono al riguardo «scudi» o incentivi analoghi a quelli che servono per far rientrare i «capitali in fuga». I cervelli corrono dove trovano gli ambienti adatti a svilupparsi. Evidentemente quello italiano non è tra i più favorevoli.
Troppe chiacchiere
In Parlamento giacciono proposte di legge per incentivare il ritorno dei cervelli italiani dall’estero e rendere più internazionale il mondo universitario italiano. I politici, di tutti gli orientamenti, sembrano fare a gara a evidenziare i problemi dei giovani e a elargire ricette per risolverli. Da qualche anno si moltiplicano le fondazioni che fanno capo a personalità di spicco, tutte orientate al futuro, dove però i giovani sono oggetti, non soggetti attivi. Si susseguono i convegni dedicati al futuro dei giovani, organizzati inevitabilmente da adulti: «generare classe dirigente», «generazione futuro», «giovani e politica», ecc.
A parole, tutti sono schierati dalla parte dei giovani. Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi assicura l’impegno del governo per i giovani. Per il Presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini la politica deve gettare le basi per lo sviluppo e dare un futuro ai giovani. Per Luca di Montezemolo si tratta di una sfida da cogliere e da realizzare. Parole, parole, parole, soltanto parole! Quando ne basterebbe una sola: «eccellenza», come ricordava qualche settimana fa il Ministro della cultura svizzero Didier Burkhalter.
La Svizzera ne dà la prova, nelle classifiche mondiali riesce a piazzarsi quasi sempre ai primi posti, mentre l’Italia occupa spesso posizioni di retroguardia.
Sia ben chiaro, in alcuni settori l’eccellenza italiana emerge ed è riconosciuta a livello internazionale. Alcuni esempi nel campo della moda, dell’alimentazione, del designer, della tecnologia, della domotica sono attualmente in vetrina all’esposizione mondiale di Shanghai. Eppure l’Italia non compare quasi mai ai vertici delle classifiche mondiali che «misurano» la competitività e l’innovazione. Il sistema formativo italiano non gode di alcun prestigio internazionale.
Confronto Italia – Svizzera
Presi singolarmente, i ricercatori italiani sono tra i migliori al mondo, ma per fare ricerca devono (!) spesso lasciare l’Italia. I loro progetti non riescono spesso ad aggiudicarsi i finanziamenti internazionali necessari alla loro realizzazione. Nel 2009, ad esempio, su 1584 ricercatori di alto livello (Advanced Grants) che hanno presentato domanda di finanziamento ad un concorso del Consiglio europeo della ricerca (ERC) ben 220 erano italiani, più del doppio degli svizzeri (102). Ma dei 236 progetti selezionati solo 23 erano italiani e di essi solo 15 saranno realizzati in Italia. La Svizzera ne realizzerà molti di più: 29.
Nella rinomata classifica annuale (2009/2010) della competitività del World Economic Forum (WEF), la Svizzera risulta al primo posto, davanti a Stati Uniti, Singapore, Svezia e Danimarca. Per trovare l’Italia bisogna scorrere la lista fino al 48° posto (l’anno precedente occupava il 49° posto).
La Svizzera è anche campionessa europea dell’innovazione, alla testa di un ristretto gruppo di Paesi comprendenti oltre alla Svizzera, la Svezia, la Finlandia, la Danimarca, la Germania e il Regno Unito. L’Italia è nettamente sotto la media europea (UE27).
Investimenti e organizzazione
A questo punto ci si potrebbe domandare dove sia finita la proverbiale inventiva italiana, ma evidentemente nel settore della ricerca avanzata la genialità senza gli strumenti, i laboratori, le università non basta. E per avere questi mezzi oggi più che mai occorrono investimenti sostanziosi e mirati che, ad esempio, la Svizzera mette in campo, mentre l’Italia sembra aspettare tempi migliori, senza accorgersi che la concorrenza non sta ad aspettare.
Se la Svizzera è tra i Paesi leader mondiali nell’innovazione e nella ricerca è perché investe molto nel settore della formazione. Alcune sue università sono tra le più prestigiose al mondo. La classifica internazionale delle università del Times Higher Education colloca ben 4 università svizzere tra le 100 migliori al mondo. In Europa, solo la Gran Bretagna fa meglio. Si calcola che oltre il 70 per cento degli studenti svizzeri è formato in una delle 200 migliori università al mondo (Shanghai Ranking). Le università svizzere sono molto attrattive e vantano un elevato grado d’internazionalizzazione.
La situazione italiana
La situazione dell’Italia è desolante. Per la formazione investe meno della media non solo europea, ma del mondo. Sono scarsi non solo i finanziamenti pubblici ma anche, anzi soprattutto, quelli privati. I risultati si vedono al livello universitario e nell’innovazione. Nella citata classifica internazionale, l’università italiana che si posiziona meglio, quella di Bologna, è solo al 174° posto e la seconda, l’Università di Roma La Sapienza, è al 205° posto. Il sistema universitario italiano è poco attraente e il suo grado d’internazionalizzazione è bassissimo. I dottorandi stranieri rappresentano una percentuale minima, poco più di un terzo della media Ue, meno di un quarto della media OCSE.
Perché l’incontro tra innovazione e investimenti sia altamente produttivo occorre un’efficiente organizzazione. Quella svizzera lo è perché, mentre lascia un’ampia autonomia alle scuole universitarie cantonali e federali, garantisce allo stesso tempo un coordinamento adeguato delle loro attività, in particolare per quanto riguarda le infrastrutture più onerose (si pensi ai grandi calcolatori) e all’integrazione nei 28 poli di ricerca nazionali. Il denominatore comune è puntare all’eccellenza. Al confronto, la situazione italiana è sconfortante, con soli 25 poli d’innovazione, per di più localizzati per oltre il 70% al Nord. Ma ancor più sconfortante è che la politica e anche l’economia sembrano non accorgersi del ritardo italiano e, di fatto, il sistema formativo non rappresenta una priorità per il Paese, tantomeno un’eccellenza.
Conclusione
In Italia non mancano certo le idee e i talenti, ma manca la consapevolezza che la situazione è grave e che il sistema formativo va riformato e sviluppato con il concorso di tutte le forze politiche (maggioranza e opposizione) ed economiche. Per questa riforma occorrono cospicui finanziamenti ed è necessario trovarli perché se un Paese non investe nella formazione e nella ricerca è condannato al declino.
Di fronte a questa esigenza credo che la logorante guerra tra maggioranza e minoranza debba cessare e lasciare il posto al più ampio consenso. Credo anche che pur in clima di risparmio e di manovre anticrisi si debba fare un grande sforzo per aumentare gli investimenti nella formazione e nella ricerca. Ne va davvero dell’avvenire dei giovani e dell’intero Paese. La Svizzera, in questo campo, insegna.
Giovanni Longu
Berna 19.05.2010

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