Rilanciare la riforma americana, liberale, delle istituzioni, unica alternativa alla degenerazione oligarchica del regime dei partiti

Intervista a Mario Staderini all’agenzia “Fuoritutto”

Ricorso alla Corte di Strasburgo per invalidare le elezioni regionali, la sconfitta in Piemonte e nel Lazio, riforma all’americana: sono questi alcuni i temi al centro dell’intervista a Mario Staderini, avvocato, trentasette anni, dallo scorso 15 novembre Segretario di Radicali Italiani.

Dopo la sua nomina al vertice del partito, ha avuto molto presto il battesimo del fuoco con le elezioni regionali. Le avete definite “antidemocratiche”, non le sembra un pò esagerato?

“Niente affatto. Almeno se prendiamo come parametro gli standard delle democrazie europee. Dalla fase di presentazione delle candidature all’informazione radiotelevisiva, l’intero processo elettorale è stato scandito da illegalità che hanno negato ai cittadini il godimento dei diritti civili garantiti dalla Costituzione. Le istituzioni della Repubblica, dal Ministero dell’interno ai Comuni, dai Tribunali alla Rai, si sono rese responsabili di una serie senza precedenti di omissioni e di violazioni di obblighi di legge. L’onere della raccolta firme, nato per arginare le candidature temerarie e le liste senza rappresentatività, è così divenuto uno strumento per impedire l’accesso alle elezioni di quelle forze politiche che vivono al di fuori del recinto partitocratrico”.

Erano le ragioni dello sciopero della sete di Emma Bonino. Poi però avete determinato le clamorose esclusioni delle liste del PDL e di Formigoni. Ma davvero volevate l’annullamento delle elezioni?

“Noi abbiamo lottato sino all’ultimo per difendere i diritti di tutti gli elettori. Per questo avevamo chiesto lo slittamento del voto per consentire quelle quattro settimane di campagna elettorale, specie televisiva, che la legge impone. Non ci siamo riusciti. Queste elezioni sono comunque invalide sotto il profilo tecnico-giuridico, nei prossimi giorni presenteremo ricorsi con cui intendiamo attivare la Corte europea di Strasburgo. La peste italiana dell’antidemocrazia è un rischio non solo per il nostro Paese, deve essere conosciuto e studiato per non diffondersi come accadde con il fascismo”.

La Lista Bonino-Pannella si è presentata da sola in Toscana, in Calabria ha appoggiato l’indipendente Pippo Callipo ed è stata alleata con il centrosinistra in Piemonte, Puglia e Campania, oltre ovviamente l’exploit del Lazio. Come giudica i vostri risultati?

“Il nostro obiettivo era di essere presenti in tutte e 13 le Regioni per proseguire la lotta per l'affermazione dello stato di diritto e della democrazia, la stessa che già ci aveva connotato alle europee del giugno 2009. Un obiettivo fallito, perché proprio nelle sei Regioni in cui avevamo nostri candidati autonomi alla Presidenza non siamo riusciti a presentare le liste. Questa volta il regime ci ha battuto, i risultati elettorali sono stati conseguenti”.

E la coalizione di centrosinistra?

“Si è perso in Piemonte e Lazio per un’oggettiva inadeguatezza: sento parlare di “emergenza democratica” o “deriva plebiscitaria”, ma quando è toccato di difendere i diritti di tutti i cittadini attraverso lo slittamento del voto oppure resistere all’occupazione mediatica di Berlusconi, i nostri alleati sono rimasti inerti”.

Queste elezioni hanno consolidato o indebolito la collocazione dei Radicali nell’arco del centrosinistra?

“Di certo abbiamo esercitato una leadership nella campagna elettorale, dalla candidatura tutta politica di Emma al regolamento Beltrandi, sino all’esclusione delle liste ed alla breve occupazione della Rai. Lo stesso Berlusconi ha ammesso che gli effetti della nostra battaglia per la legalità gli erano costati 5 punti di consenso, mentre l’antagonismo alla Di Pietro non gli ha mai fatto perdere un voto. Rivendichiamo di aver mostrato quello che può essere fatto per costruire una vera alternativa a questo Governo”.

Nei prossimi mesi quali saranno gli obiettivi di Radicali Italiani sotto la sua guida ?
“ Innanzitutto consolidare il patrimonio che abbiamo costruito in occasione delle ultime elezioni con le iniziative di contestazione politica e giudiziaria: far esprimere le giurisdizioni internazionali su quanto accade in Italia è necessario per la tenuta della democrazia anche al di fuori del nostro Paese. Anche per questo, cercheremo di favorire le iniziative popolari a livello locale: l’azione diretta dei cittadini, le inchieste, la nonviolenza, sono gli strumenti migliori per difendere lo Stato di diritto. E poi rilanciare il progetto di riforma americana, liberale, delle istituzioni, l’unica vera alternativa contro la degenerazione oligarchica del regime dei partiti”.

Già, le riforme. Secondo lei le vedremo in questa legislatura?

“Da questi partiti, e con un Parlamento di nominati, non possiamo attenderci riforme che non siano la prosecuzione dello status quo. Se si arrivasse ad un voto anticipato, sarebbe bene che le diverse proposte siano al centro della campagna elettorale, e che gli elettori siano chiamati a scegliere in base ad esse. Sulla legge elettorale, ad esempio, si stanno delineando due visioni contrapposte: il collegio uninominale maggioritario e il sistema proporzionale, con o senza preferenze. Gianfranco Fini da mesi tiene la posizione sulla scelta del collegio uninominale, quella è la via maestra. Noi lottiamo da sempre per il maggioritario a turno unico, il sistema indicato dagli italiani con il referendum del 1993. Il collegio uninominale, nell'assicurare uno stretto rapporto tra eletto e territorio, permette una selezione della classe dirigente aperta alla società civile ed attenta ai meriti ed alle capacità. Sino a quando le assemblee rappresentative si formeranno sulla base di sistemi proporzionali, infatti, la spinta partitocratica prevarrà su qualsiasi proposta di riforma del sistema politico. Speriamo di convincere gli amici del Partito Democratico che occorre passare dalla “vocazione maggioritaria” al sistema maggioritario, per evitare di ritrovarsi eletti solo rappresentanti di cordate clientelari se non di veri e propri clan”.

Come vi atteggerete di fronte al federalismo fiscale?

“Quando Bossi frequentava le sezioni del Pci noi Radicali eravamo già federalisti. Quello della Lega è un federalismo della spesa pubblica, per meglio acquisire il consenso. Così il federalismo si trasforma in una moltiplicazione dei centri burocratici e non ci sono vantaggi per i cittadini”.

In questo quadro il rapporto con il Pd condizionerà, influenzandole, le scelte radicali?

“Non si tratta di influenzarsi ma di proseguire un confronto che, in occasione delle regionali, sino ad un certo punto ha funzionato. Da parte nostra, cercheremo di far divenire patrimonio comune le lotte per lo Stato di diritto e la democrazia, portando le nostre proposte sulla riforma delle istituzioni, della giustizia, degli ammortizzatori sociali e cercando di determinare una svolta rispetto alle scelte ambientali e sui diritti civili”.

Ritornando alle vicende laziali, la rinuncia di Emma Bonino alla funzione di leadership dell’opposizione nel parlamento regionale, è una conferma della tradizionale tepidezza radicale per gli organi politici decentrati?

“Assolutamente no. Si tratta di una scelta coerente con l’obiettivo di assicurare l’apporto migliore che le condizioni date consentono. Nel Lazio siamo pronti ad essere opposizione vera, diamo appuntamento ai cittadini tra 1 anno per fare un bilancio di quanto saremo riusciti a determinare insieme ai nostri due consiglieri regionali. Anche rispetto al Comune di Roma, dove la radicale Bonino ha ricevuto una straordinaria fiducia in 17 municipi su 19, faremo resistenza al regime consociativo che caratterizza gli enti locali”.

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