TRA TSUNAMI E VULCANI
Il 29 marzo scorso il professor Enzo Boschi, presidente dell’Istituto nazionale di Geofisica e vulcanologia, ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera nella quale lanciava l’allarme tsunami per le coste tirreniche in relazione ad eventuali frane lungo i versanti del vulcano sommerso Marsili. Uno studio, avviato dallo scrivente dopo il maremoto del 30 dicembre 2002 che interessò Stromboli, le isole vicine e la costa compresa tra Milazzo (Sicilia) e Marina di Camerota (Campania), ha evidenziato che, in base ai dati pubblicati (Tsunamis Research Team, Physics Dept – University of Bologna and National Institute of Geophysics and Volcanology (Ingv) – Rome) negli ultimi 2000 anni vi sono stati 72 movimenti anomali del mare che hanno interessato le coste italiane con diversa intensità. Il più recente maremoto italiano è stato quello che si è innescato poco dopo le ore 13 del giorno 30 dicembre 2002 nell’area di Stromboli, con conseguente inondazione della fascia costiera fino ad altezza di alcuni metri sul livello medio del mare. L’evento anomalo ha determinato seri danni ai manufatti più vicini al mare e ha provocato il ferimento di alcune persone; esso si è avvertito lungo la costa siciliana nella zona di Milazzo e in quella campana nel porto di Marina di Camerota. Il maremoto è stato innescato da una frana sottomarina. è evidente che se l’onda anomala del 30 dicembre 2002 si fosse verificata 4-5 mesi prima (o dopo), durante la stagione estiva, i danni lungo le coste frequentate da migliaia di bagnanti, specialmente alle persone, sarebbero stati molto gravi. Gli eventi, elencati nel catalogo dei maremoti italiani riportato sul sito dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, sono stati analizzati per individuarne le cause, ricostruire le aree interessate dai vari movimenti anomali del mare al fine di delimitare le zone costiere a rischio da tsunami e analizzare le disposizioni attuali per prevenire i danni. Un dato preoccupante è rappresentato dalla evidenza che ben 18 tsunami del passato (di diversa importanza) sono avvenuti nei mesi estivi che oggi costituiscono il classico periodo balneare caratterizzato da centinaia di migliaia di persone distribuite lungo le coste e le spiagge. Inoltre, l’attuale spinta urbanizzazione e frequentazione estiva delle aree costiere renderebbe notevolmente più grave l’impatto di eventi simili a quelli storici. Le aree interessate sono le seguenti: Liguria (14 eventi); Stretto di Messina- Sicilia Orientale- Calabria meridionale tirrenica- Isole Eolie (23); Adriatico (10 ); Golfo di Napoli (10); Toscana (3); Sicilia settentrionale (2); Sicilia meridionale (2 eventi); Calabria settentrionale ionica (1); Lazio (1). La massima altezza che l’acqua marina ha raggiunto invadendo l’area emers a (Runup) è stata valutata tra 6 e 15 metri lungo le coste della Sicilia orientale e della Calabria meridionale (si ricordi che lo tsunami del 26 dicembre 2004 verifi- catosi in Indonesia determinò un runup massimo di alcune decine di metri di altezza). La correlazio-ne tra movimenti anomali del mare, eventi sismici, ubicazione delle strutture sismogenetiche ha consentito di individuare le seguenti cause dei maremoti italiani: terremoti generati da strutture sismogenetiche che interessano in parte l’area costiera emersa e sommersa (Calabria, Sicilia orientale, Gargano, Ancona); grandi e rapide frane sottomarine innescate prevalentemente da terremoti ed eruzioni; grandi frane costiere subaeree; accumulo antropogenico di terreno di riporto sul ciglio della scarpata continentale. La ricerca ha evidenziato che il magg ior numero di eventi è stato provocato da grandi e rapide frane sottomarine innescate prevalentemente da terremoti avvenuti anche in aree distanti dalla costa. Il maremoto più disastroso, paragonabile per numero di vittime a quello avvenuto il 26 dicembre nel Sud Est Asiatico, nel Golfo del Bengala, è quello che si verificò circa 10 minuti dopo il sisma del 1908 che distrusse Reggio Calabria e Messina provocando decine di migliaia di morti. Lo studio aveva evidenziato fin dal 2005 che il maremoto del 1908 non fu provocato direttamente dal sisma, come si riteneva, ma da una grande frana sottomarina verificatasi nello Stretto di Messina a sud di Reggio Calabria, che fu innescata dallo scuotimento sismico. Il dato preoccupante è che le aree costiere italiane a rischio da tsunami, già individuate con vari studi, ancora non sono tutelate da interventi strutturali preventivi né da attive misure di monitoraggio, di didattica e protezione civile.Il rischio da tsunami non è nemmeno preso in considerazione nei piani stralcio per la difesa dal rischio idrogeologico elaborati dalle Au torità di Bacino. Bisogna recuperare il tempo perso e attivare idonei interventi di prevenzione al fine di preparare le aree costiere e la popolazione ad affrontare il rischio ambientale derivante da potenziali maremoti. Alla luce dei risultati dello studio si evince l’importanza di elaborare linee guida per la valutazione del rischio da onda anomala delle aree costiere e dell’impatto ambientale sulle infrastrutture di notevole rilevanza (aereoporti, porti, centrali elettriche, impianti industriali, strade e ferrovie ecc.). Vanno altresì messi a punto e attivati adeguati sistemi di educazione ambientale (per es. come comportarsi qualora ci si trovi su una spiaggia d’estate e si avverta un terremoto, oppure si noti un improvviso e sensibile abbassamento del livello dell’acqua), monitoraggio marino e costiero, ed elaborati i Piani di Protezione Civile Comunali tesi soprattutto a proteggere la popolazione durante il periodo balneare. Il rischio vulcanico Appena due giorni fa Guido Bertolaso, capo della Protezione civile, in una conferenza con la stampa estera ha detto, tra l’altro, che, sorp endentemente, «il vulcano che potenzialmente ha il colpo in canna peggiore di tutti è l’isola di Ischia. Nel ventre del monte Epomeo si sta carIcando una camera magmatica che potrebbe esploderecon conseguenze drammatiche », ed inoltre che «il Vesuvio è il più grande problema di protezione civile che c’è in Italia, perché ci sono interi paesi costruiti nella zona del vulcano». E ancora: «Occorrerà verificare se bisogna allargare la zona rossa e predisporre piani di evacuazione per almeno un milione di cittadini, tra cui molti di Napoli». In pratica, hanno detto che c’è un serio e grave pericolo fuori controllo, che non c’è alcuna organizzazione che possa garantire la sicurezza ambientale e che il disastro può avvenire in qualsiasi momento! Chiedo che i due depositino in Parlamento la documentazione scientifica sulla quale si basano le loro affermazioni, spiegando perché non si siano attivati, finora, per attivare una moderna rete di monitoraggio per individuare l’innesco di eventuali tsunami. Perché poi non hanno predisposto una legge che consenta di tutelare dagli tsunami le coste, i cittadini e l’economia turistic mediante la redazione di piani per la sicurezza ambientale. Se non lo faranno pontaneamente (cosa certa) devono essere invitati a farlo in maniera convincente da chi ha il potere di farlo. Altrimenti i cittadini (che non hanno ancora dimenticato quanto accaduto all’Aquila dove la Commissione Grandi Rischi, con la partecipazione di Boschi e del
vice di Bertolaso, non aveva lanciato alcun allarme una settimana prima del disastroso sisma del 6 aprile 2009) avrebbero seri motivi per preoccuparsi.
Franco Ortolani
TERRA