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COME NACQUE ALL’AQUILA LA CITTADELLA DELLA GUARDIA DI FINANZA

Dai contatti riservati del sindaco Tullio de Rubeis all’opera di Domenico Susi in seno al governo

di Goffredo Palmerini *

Meriterebbe maggiore attenzione Domenico Susi, politico di grande valore, aperto e illuminato, per decenni uomo di punta del Psi abruzzese e nazionale, sindaco di Introdacqua, suo paese natale, consigliere e assessore regionale, poi deputato per quattro Legislature e sottosegretario alle Finanze dal 1983 al ‘92. Stimato per le sue qualità umane e politiche, Domenico Susi è stato di recente commemorato a Sulmona, città dove ha vissuto fino alla sua prematura morte, il 19 dicembre 2004, all’età di 64 anni. Ha fatto buone cose per l’Abruzzo e sarebbe bene consolidarne meglio la memoria, anche per i meriti culturali: in primis, per aver dato vita e presieduto per tre lustri la Fondazione Ignazio Silone, importante centro di studi e ricerche sull’opera del grande scrittore abruzzese. Nel corso del Convegno tenutosi a Sulmona il 24 aprile, al quale hanno partecipato il sindaco Fabio Federico, i parlamentari Bobo Craxi, Antonio Landolfi e Giovanni Lolli, il presidente del Consiglio Regionale d’Abruzzo, Nazario Pagano, e molte altre personalità del mondo politico e culturale, tra i tanti meriti di Domenico Susi è stato giustamente richiamato il rilevante ruolo avuto nella realizzazione all’Aquila della Scuola Sottufficiali della Guardia di Finanza, struttura ammirata da tutto il mondo per essere diventata, all’indomani del terremoto del 6 aprile 2009, cuore operativo della città e sede del vertice tra i Grandi del mondo (G8 e G20) in luglio dell’anno scorso. E tuttavia, per ricordare i fatti che portarono alla scelta dell’Aquila per quella Scuola, credo sia utile raccontare alcune vicende per molti anni tenute riservate su come andarono le cose. Perché la storia ebbe inizio qualche anno prima del 1983, con Tullio de Rubeis sindaco dell’Aquila. Queste annotazioni sono una parte d’una mia più ampia testimonianza, riportata con altre e taluni ricordi, raccolti nel volume “In memoria di Tullio de Rubeis” curato da Errico Centofanti e Gian Paolo de Rubeis, pubblicato in occasione del ventennale della scomparsa del sindaco più amato dagli Aquilani.

Ora, però, c’è bisogno d’una premessa. Nei quasi trent’anni d’amministratore della città Capoluogo d’Abruzzo ho avuto con tutti i sindaci dell’Aquila, succedutisi da 1975 al 2007, qualunque fosse il loro colore politico, un rapporto di forte collaborazione, almeno sulle più importanti questioni della città. Con il sindaco Tullio de Rubeis, però, il rapporto fu davvero speciale, non solo per la comunanza d’ideali politici, nella Dc. Entrato nell’agosto ‘80 nella sua amministrazione, vi rimasi per cinque anni – assessore all’urbanistica, poi ai lavori pubblici, quindi alle finanze – fino all’ottobre ‘85, quando venne eletto sindaco Enzo Lombardi. Con “Don” Tullio condividevo intere mattinate, si parlava dei problemi della città e di come impostarne la soluzione, perché desiderava sempre ascoltare il parere d’un giovane (avevo allora 32 anni), sebbene con la sua grande esperienza – tre volte Sindaco, per quasi quattordici anni – egli fosse in grado d’insegnare a chiunque come meglio procedere. L’incontro di lavoro avveniva in Comune, di buonora, nel suo studio in un angolo di Palazzo Margherita d’Austria, per ragionare sulle questioni più importanti del momento e, da parte mia, per avere istruzioni sugli indirizzi d’azione. In quegli anni, tra noi, si costruì un forte rapporto d’intesa. Ci comprendevamo al volo. Per me quegli anni furono una grande scuola di cultura amministrativa e di sensibilità civica, costruite attraverso un ricco dialogo tra generazioni, utilissimo per la mia formazione, dove la differenza di quarant’anni d’età – Tullio de Rubeis era nato nel 1908 a Tussio – s’annullava nella sua capacità di mettersi in sintonia con i giovani. Ricordo la sua straordinaria propensione al dialogo, la capacità di coinvolgere sulle scelte più rilevanti per la città non solo la sua maggioranza politica, ma soprattutto le opposizioni, di sinistra – del Pci, allora molto forte – e di destra. Ma ciò che più mi stupiva, quantunque la sua esperienza avrebbe potuto affrancarlo, era la capacità d’ascolto, fossero politici o comuni cittadini. Un’attitudine assai rara, specie nel tempo che viviamo, dove il politico di turno tende ad impartire ricette piuttosto che a coltivare l’accorto esercizio di ascoltare, prima d’assumere decisioni.

Numerose e importanti questioni furono affrontate e risolte in quegli anni, alcuni interventi di grande respiro seppero guardare davvero al futuro. Tra questi sicuramente spicca la scelta dell’Aquila per la realizzazione della Scuola Sottufficiali della Guardia di Finanza. Uno dei migliori esempi della cultura di governo e della prudenza amministrativa del sindaco de Rubeis l’ebbi appunto tra l’80 e l’83 quando, con una conduzione attenta e discreta, procurò e portò a buon fine una grande opportunità per la città. Appena dopo l’insediamento della sua amministrazione, avvenuto il 26 agosto del 1980 alla vigilia della visita all’Aquila di Giovanni Paolo II (il 30 di quel mese), “Don Tullio” – come con rispetto chiamavamo il sindaco – avviò contatti riservati con un suo vecchio amico, il generale Vittorini. Me ne confidò la ragione, essendo egli certo della mia assoluta discrezione. L’obiettivo quello di far realizzare all’Aquila una Scuola Sottufficiali della Guardia di Finanza, che a quel tempo era divisa nel biennio formativo tra due sedi: il primo anno di corso si teneva a Cuneo, il secondo ad Ostia. Grazie a quei contatti, il sindaco aveva riservatamente conosciuto l’intenzione del Comando Generale della Guardia di Finanza d’unificare il corso biennale in una sola struttura funzionale. Ma si andava avanti con i piedi di piombo, anche nella semplice ipotesi, per le conseguenze che una qualunque indicazione avrebbe potuto determinare nei territori danneggiati dalla soluzione. Così, con discrezione, il sindaco aveva lavorato per candidare L’Aquila. Mi raccomandò di non fare mai con nessuno menzione dell’iniziativa e di quanto mi andava riferendo, almeno fino a quando egli non avesse ritenuto giunto il momento d’informare tutti i livelli di responsabilità, amministrativi e politici. Intanto tesseva le sue relazioni, con solitari viaggi a Roma. Anche per la conoscenza maturata nel settore urbanistico – ero assessore alle finanze, a memoria credo accadde sul finire dell’82 – mi chiese d’individuare un’area di adeguate caratteristiche e dimensioni, una quarantina di ettari, da tenere pronta per eventuali necessità. Valutai nel territorio comunale, non distanti dalla città, tre o quattro possibilità. Presto mi fu subito chiara la ragione di quell’incarico, perché qualche tempo dopo il sindaco mi chiese d’incontrare un ufficiale superiore, il colonnello Belmonte, in assoluta riservatezza.

Con l’ufficiale parlammo delle opzioni, riportate su una cartografia di piano regolatore, anche se egli fu molto chiaro nell’indicarmi i requisiti essenziali: prossimità al casello autostradale, preferibilmente quello più vicino a Roma; vicinanza ad un aeroporto, se esistente; prossimità al centro urbano, ma in un’area con ampio rispetto inedificato; esistenza d’infrastrutture d’accesso all’area o possibilità di realizzarne di nuove senza soverchie difficoltà. Dovetti scartare subito tre delle ipotesi che avevo a disposizione, di cui una ad est del capoluogo. L’unica rispondente ai requisiti indicati era in località Colle del Santo Padre, tra Coppito e l’aeroporto di Preturo. Un’area, peraltro accorpata nella proprietà (della Curia), dunque con minori problemi d’espropriazione. Con l’ufficiale, che vestiva in borghese – compresi poi che era dei Servizi – facemmo un sopralluogo, perché meglio potesse convincersi della rispondenza alle caratteristiche richieste. Quindi rientrammo in Comune. Riferii al sindaco l’esito, altrettanto fece l’ufficiale, con le sue impressioni. Ci recammo quindi a colazione al ristorante Tre Marie, dove ci attendevano il generale Giuliano Oliva (del Comando Generale della GdF) ed un suo amico aquilano. L’alto ufficiale, appartandosi, rassicurò il sindaco che l’operazione aveva tutti gli elementi necessari di conoscenza e dunque poteva procedere nel suo corso presso il Comando Generale del Corpo, che vedeva comunque di buon occhio L’Aquila sia per la qualità della città – storia, arte, cultura ed architettura – che per la vicinanza e la facilità di collegamento con Roma, caratteristica assai ben gradita. Il Comando Generale avrebbe continuato a valutare una tale soluzione, da poter poi presentare al Ministro per l’assenso. In esito positivo, l’iter avrebbe proceduto per le successive determinazioni della Municipalità aquilana riguardo alle procedure d’assegnazione dell’area e di variante urbanistica, e del Governo, in primis per il finanziamento dell’opera.

L’anno seguente, nell’autunno ‘83, quando “Don Tullio” ebbe certezza che l’operazione ben procedeva, anche con il consenso ministeriale (nel frattempo, con il primo governo Craxi, era diventato sottosegretario alle Finanze l’on. Domenico Susi), dispose una riunione con la Giunta e la Conferenza dei capigruppo: tutti, di maggioranza e d’opposizione. Nei giorni precedenti, con sapiente cura, uno ad uno, il sindaco aveva parlato con i suoi assessori per informarli della situazione, consegnandoli all’assoluto riserbo sulla vicenda fino alla riunione plenaria. In quella sede riferì puntualmente sul lavoro portato avanti dall’inizio del mandato, ne motivò e giustificò la riservatezza assoluta, perché se si fosse venuto a sapere alcunché altri appetiti si sarebbero accesi altrove, come pure sarebbero scattate le difese ad oltranza nelle città penalizzate. Quindi informò sulla positiva propensione del Comando Generale e del ministero per la realizzazione della Scuola all’Aquila, tuttavia non ancora diventata definitiva determinazione. Riferì nei dettagli la prevista localizzazione e le ragioni che la sostenevano. Ascoltò le osservazioni degli assessori e dei capigruppo, ed il loro compiacimento per una prospettiva del genere, che avrebbe portato all’Aquila una scuola per quasi tremila allievi, con relativi istruttori e famiglie. Insomma, una struttura che non sarebbe mai andata in “cassa integrazione”. Concludendo, il sindaco richiamò con molta premura l’esigenza del silenzio stampa e della riservatezza, essendo la materia ancora in via di definizione e temendo ripercussioni politiche dalle due città, Cuneo ed Ostia, che si sarebbero viste privare della Scuola. Raccomandazione tanto pressante quanto vana, perché l’indomani il Messaggero, in cronaca dell’Aquila, dava anticipazione della notizia poi ripresa dalla redazione romana. Immaginabili le reazioni politiche, le interrogazioni parlamentari, le rimostranze ad Ostia a difesa della situazione esistente. Altrettanto avvenne a Cuneo. Fortuna che il Comando Generale aveva ormai ben maturato la sua decisione e L’Aquila era ritenuta una soluzione ideale, a buona ragione. Al ministero il sottosegretario Susi – che il sindaco aveva accuratamente informato qualche giorno dopo la sua nomina nel governo – fu davvero abile a rintuzzare, con prontezza e decisione, ogni tentativo di far rientrare quella scelta. L’accompagnò poi passo passo e si curò particolarmente del finanziamento dell’opera, presso il Ministero dei Lavori Pubblici. Nel 1986 l’inizio dei lavori di questa straordinaria struttura. Entrò in attività nel 1992, con i primi allievi Sottufficiali. Oggi è un fiore all’occhiello, sia per la qualità della formazione che per la perfetta integrazione con la città. La Scuola “Vincenzo Giudice” per Ispettori e Sovrintendenti della Guardia di Finanza, al cui comando è il gen. Fabrizio Lisi, riprenderà a pieno la sua funzionalità come centro di formazione nel prossimo autunno, dopo l’uso promiscuo fattone a seguito del sisma. E’ “la centesima rocca” dell’Aquila, secondo una suggestiva definizione di Angelo De Nicola, giornalista e scrittore, che così titolò un suo volume sulla Scuola, aggiungendola idealmente alle 99 rocche dei Castelli che secondo la tradizione edificarono la città, otto secoli orsono.

La Scuola è una cittadella dotata d’ogni servizio, ben inserita architettonicamente nel paesaggio e situata alle porte dell’Aquila. A regime, può ospitare fino a tremila allievi in ambienti di grande razionalità. E’ un vero e proprio campus universitario, con 72 aule dotate di sistemi informatici, videoproiettori e registratori, aula magna teatro per videoconferenze, un auditorium con 1400 posti a sedere, laboratori linguistici. Vi si formano Ispettori e Sovrintendenti, uomini e donne, ricevendo un ampio bagaglio professionale e culturale che spazia dall’area giuridica a quella economico-finanziaria, dalla formazione militare a quella di polizia tributaria, grazie ad un personale docente d’eccellenza: cattedratici, magistrati, dirigenti della pubblica amministrazione, liberi professionisti ed ufficiali del Corpo dotati di specifiche competenze. Insomma, la struttura è una delle più moderne d’Europa, spesso all’estero portata ad esempio. Notevoli anche le strutture sportive: un campo regolamentare di calcio con annessa pista d’atletica leggera, un palazzetto dello sport per basket/pallavolo, un poligono coperto di tiro, palestre di arti marziali e pesi, piscina olimpionica coperta, infine il vasto piazzale della caserma, grande agorà ora chiamata “Piazza 6 aprile 2009 – L’Aquila bella mai non può perire”.

“… Con uno sguardo al passato e la testa proiettata all'avvenire – scrive Angelo De Nicola – la costruzione fonde in sé armonia di schemi strutturali e funzionalità. Le atmosfere vibranti, intrise di arte e storia di epoche lontane, si intrecciano magicamente nelle linee che ricalcano, secondo l'ingegnosa interpretazione dell'architetto-artista, gli stili più disparati senza appesantire, per questo, l'immagine. Danza tra le aspre mura di recinzione, 2.700 metri perimetrali per l'esattezza, un non so che di romano allacciato al medioevale affiancati, ancora, da fattezze di rara bellezza in stile neoclassico e rinascimentale. “Castra”, sembrano evocare l'impostazione e quindi la mole della struttura. E ancora quel tipico e d'antica memoria bastione militare assume le sembianze dello schieramento dei fanti in battaglia disposti a “falange”. Osservando, poi, la costruzione nei suoi aspetti vitali, il palazzetto, l'auditorium, il poligono interno, il riferimento alle torri difensive del territorio aquilano è immediato. E gli “aggetti” superiori che ricoprono gli edifici succitati, completano l'aria da fortificazione militare, legandosi all'immagine dei piombatoi degli antichi castelli. Beandosi della veduta aerea del mastodontico impianto, nulla è più elementare che riconoscere, nei vani riservati alle Compagnie, leggendari muri merlati, e nell'ampio corridoio tra la recinzione e il fulcro centrale del complesso architettonico, è palese il legame ai fossati difensivi, estremi baluardi di annose fortificazioni. D'obbligo, poi, l'occhio a quei tunnel sopraelevati, simbolo di avanguardia, transiti tra i piani superiori, che nell'ottica vagamente retrò di cui si forgiano, giocano il molo basilare di ponte levatoio. La concezione urbana della Scuola si riflette in ogni dettaglio, fino a scendere negli antri bui di sotterranei che nelle epoche andate erano collegamento tra i nevralgici punti della civitas”.

Per concludere, c’è persino un pezzo di classicità innervata nel cuore delle moderne strutture dell’edificato. Sono vestigia d’una villa sabina scoperta durante i lavori di costruzione della cittadella. I resti archeologici sono ora protetti ed illuminati, come a custodia del genius loci che in quell’area, prossima all’antica città Amiternum, vide nascere Caio Crispo Sallustio, il più grande storico della romanità.

gopalmer@hotmail.com

*già consigliere comunale ( 1975-1990 e 1994-2007), assessore e vicesindaco dell’Aquila

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