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Volino le colombe, ma la separazione senza rottura è una via d’uscita

di Carmelo Briguglio

Ci atterremo allo sbocco che il processo politico iniziato con l’incontro tra Berlusconi e Fini determinerà nei prossimi giorni. Un incontro che è diventato scontro politico ma alla luce del sole e senza infingimenti come si fa in un partito vero e non di plastica. Il confronto adesso prosegue, per la prima volta nel Pdl, a tutto campo e con una direzione del partito convocata a un anno dalla sua nascita.

Scelta opportuna, anzi inevitabile. Fino a qualche tempo fa sarebbe stata considerata inutile. O peggio rappresentazione da teatrino della politica. Invece si è capito che nei partiti i riti sono essenziali e alimentano la democrazia.

Meglio così, è un passo avanti nel giusto senso di marcia. La scelta del presidente Fini di spogliarsi della carica di terza carica dello stato e di dare il suo contributo in prima persona a un appuntamento decisivo per la vita stessa del Popolo della Libertà, è un’assunzione di responsabilità non solo verso la nostra comunità politica ma anche verso l’elettorato del centrodestra e nei confronti degli italiani.

Tutti. Perché tutti gli italiani, di destra, di centro o di sinistra, vogliono capire cosa succede nella propria metà campo. Anche per comprendere meglio cosa accade nell’altra. E viceversa. Fini ha deciso di esercitare il suo diritto-dovere di muoversi in chiaro e di motivare le sue scelte e il suo dissenso. Noi tutti abbiamo lo stesso diritto-dovere e non ci sottrarremo. Come è naturale alla vigilia di un importante appuntamento politico, qualunque esito è possibile. Non ci auguriamo una ricomposizione ipocrita e destinata a liquefarsi nel giro di qualche mese o poche settimane. Ma una conclusione positiva per il centrodestra e soprattutto per la nostra Nazione. Colombe, pontieri e pacificatori, lavorino con serenità. Non siamo né saremo noi ad ostacolarli.

Riunioni preparatorie, documenti politici, incontri riservati o meno, si facciano pure. E’ comprensibile che si esplorino le vie da sempre battute dalla politica nella sua capacità di sapere essere arte del possibile e talvolta dell’impossibile. Fino a giovedì si faccia pure tutto per salvare il Pdl, la forma-partito voluta e fondata da Berlusconi e Fini. Ma se alla fine di questo percorso, come oggi si ama dire, ci accorgessimo che non è possibile, si perderebbe l’essenziale o solo una forma di esso? Questo è il punto su cui come classe dirigente del centrodestra italiano e del Paese siamo chiamati a riflettere fin d’ora. Perché non pensare, al di là di buone o cattive volontà di una parte e dell’altra, che forse la “natura” della politica italiana si ribella all’esperienza di due destre, due differenti visioni del centrodestra, costrette a vivere nella stessa casa politica? Può anche darsi, ben al di là delle intenzioni di Berlusconi e Fini, che gli italiani rifiutino il tentativo di costruire un bipolarismo ordinato intorno a due partiti grandi, forse troppo grandi in cui, nonostante molti valori comuni, ci sono storie politiche e anche personali diverse, sensibilità e vocazioni non omogenee, che non riescono ad amalgamarsi in una nuova identità.

Sarebbe un dramma? Noi crediamo di no. Sarebbe solo la fine di una “forma”della politica. Nella nostra storia nazionale è accaduto tante volte. E allora, se Berlusconi e Fini, non riuscissero a convivere sotto lo stesso tetto, perché non salvare l’essenza politica di un’alleanza e i suoi valori fondanti, con la comune decisione di una separazione consensuale? Non una rottura traumatica, ma la decisione ispirata a realismo e maturità politica di lavorare in due squadre distinte ma non lontane. Al posto del partito unico, due partiti di centrodestra, con profilo diseguale e proprie specificità, legati da un rapporto di coalizione, dall’alleanza di governo, dal programma comune votato dagli elettori. Classe dirigente e popolo del Pdl sarebbero liberi di fare la propria scelta. Senza forzature e divisioni cruente. Senza traumi. Senza conseguenze per gli elettori e per il governo del Paese. E nemmeno per il governo del territorio. Si aprirebbe una nuova fase nella quale ciascuno potrebbe tornare a fare politica assecondando la propria natura e la propria cultura.

Con la necessità di discutere, incontrarsi, confrontarsi e concordare molto più di quanto si sia stati costretti finora. Non è la soluzione, ma una soluzione. Al punto in cui siamo è ragionevole pensarla come possibile via d’uscita.

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