Caro Paragone, chi pone il problema… non può diventare il problema!

di Antonio Buonfiglio

In questi giorni di “crisi”, circolano strane teorie, sintetizzate nella sua ultima trasmissione, su cui varrebbe la pena confrontarsi, sempre che sia ancora possibile un dibattito serio e franco e non pregiudizialmente orientato nell’esito, sperato più che scontato, della “cacciata dei dissenzienti”.
Trovo singolare che i temi posti da Gianfranco Fini siano stati maliziosamente e frettolosamente liquidati come riti della “vecchia politica”, funzionali a “giochi di palazzo”, ad ambizioni personali e leaderistiche, lontane dalle reali esigenze dei cittadini.
Credo abbia dell’incredibile la presunta estraneità di Fini e di tutte le sue idee alle culture che si sono unite attorno al progetto politico del PdL, dopo che, alla sua costituzione, ha “offerto in dote” cinquant’anni di storia della destra italiana.
La invito a riflettere, Direttore, sul fatto che gli elementi fondanti di un progetto politico e di un partito sono i valori di riferimento e il territorio dove inverarli, le missioni storiche adeguate ai tempi e l’organizzazione funzionale ai valori e alla missione.
Non v’è dubbio che il centrodestra, per come l’abbiamo conosciuto in questi sedici anni, si sia unito attorno al valore della libertà e alla cultura dell’appartenenza ad una Nazione che vanta una tradizione storico-culturale millenaria. Chi proveniva dalla destra ha individuato, pertanto, quale missione ontologica del PdL, il passaggio da una prospettiva di testimonianza- che già in AN si era tradotta in cultura dell’appartenenza – alla concreta individuazione e declinazione dell’interesse nazionale che, con la nascita del nuovo partito, si è sviluppato attorno al concetto di libertà proprio dei modelli liberali.
Ad un anno dalla fondazione – anzi a due, facendo più opportunamente riferimento alla nascita del PdL nelle urne – possiamo affermare che gli elettori hanno colto nel segno ma l’attuazione del progetto e la necessaria organizzazione di partito sono ancora lontani e avvolti da un incauto ottimismo.
Non credo sia una bestialità affermare che la difesa dell’interesse nazionale e, con esso, della rappresentanza di “tutti” i cittadini non possa prescindere, anche nella compagine e nell’azione di Governo, dalla riconsiderazione degli equilibri tra Nord e Sud.
Tale esigenza è ancora più sentita nell’epoca della retorica del territorio e della sua rappresentatività, anche perché -vale la pena ricordare – il PdL, se al Nord ha vinto grazie all’alleanza con la Lega, al Centro-Sud ha dimostrato di avere i numeri per affermarsi da solo. Il rischio, altrimenti, è quello di riesumare i cliché della Prima Repubblica che consentivano alla DC di incassare i voti a destra e …. di spenderli a sinistra.
Il paragone – è proprio il caso di dirlo! – è tutt’altro che retorico e, per dimostrarlo, sollevo alcuni interrogativi.
Il prossimo anno, la Cassa integrazione per gli operai del Nord sarà pagata con i soldi del Sud?
Discutere della possibilità di dirottare fondi da un territorio – per nulla agiato – ad un altro, è espressione di un personalismo vacuo e risibile o di un atteggiamento responsabile teso ad individuare la più corretta ed opportuna dislocazione delle risorse?
E ancora, ragionare delle conseguenze dovute alla mancanza di centralità del partito come elemento riequilibratore nell’interesse di una grande porzione del territorio nazionale, anche per valutarne le ripercussioni sulle modalità di attuazione del programma di governo, equivale ad essere dei mena grami?
Dinanzi alla dichiarata indisponibilità a dare seguito ad alcuni punti del programma (quale ad esempio quello relativo alla abolizione delle province, magari per finanziare il quoziente familiare) ovvero alla mancata conoscenza e condivisione delle proposte attuative (è il caso bizzarro della presentazione al Quirinale della bozza Calderoli) bisogna rassegnarsi e tacere, pena la secessione?
Chiedere la verifica nel partito della corrispondenza dei programmi alla missione originaria è solo l’istanza di “vecchi arnesi” della politica?
Proporre di avviare, prioritariamente, le riforme economico-sociali è espressione di strabismo politico indotto da velleitarismi personalistici?
Si è fuori dal mondo se, in un clima che mina l’autorevolezza delle istituzioni, si chiede di regolamentare la concorrenza istituzionale?
Quanto all’organizzazione di partito è chiaro a tutti come, per passare dalla vecchia alla nuova politica, la missione del PdL non doveva essere quella di scrivere uno statuto di un partito ma di riscrivere lo statuto della politica.
Anche qui, noi “vecchi” troviamo la stella polare nell’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione poiché vogliamo garanzie di pubblicità, democrazia interna, trasparenza nei bilanci, tutela delle minoranze. Ad oggi, invece, lo Statuto del PdL contiene una norma di chiusura, transitoria e senza vincoli temporali, che … deroga a tutto lo statuto. Per qualcuno – e, forse, anche per Lei Direttore – i partiti appartengono al passato e sono sostituiti da televisioni e giornali, strumenti ritenuti idonei e sufficienti a formare ed informare. Eppure, nei partiti che vogliamo, perché appartengano al futuro, l’accesso e il dibattito sono garantiti a chiunque – come recita il testo costituzionale – mentre quello alle televisioni e ai giornali – a meno che ci si trovi a casa propria – è regolato dall’invito.
Dunque a tali domande – ed è questo il nodo tutto politico affatto personale – alcuni di noi pensano si possa e si debba dare risposte costruendo un partito vero, con regole certe, che sappia affiancare e sostenere il Governo attraverso un confronto sul programma, sulla scelta delle priorità, che sappia tenere un rapporto costante con i cittadini, che non riconosca feudi o filiere personali. Piaccia o no, al netto di fondazioni, forum e reti, da che mondo è mondo, la politica si fa nei partiti ed attraverso il rapporto che essi costruiscono, quotidianamente, con i cittadini, pena l’autoreferenzialità. Questo, fuori da pregiudizi e strumentalizzazioni, è il senso delle questioni sollevate.
Del resto, non Le sfuggirà –Direttore– come la difesa del lavoro, la partecipazione alla vita economica e politica, la cultura delle regole e della legalità -ricorda la destra legge e ordine? – la necessaria attuazione degli articoli 39, 46 e 49 della Costituzione siano, da sempre, patrimonio della destra, che– mi creda – nella difesa dell’interesse nazionale, per cultura, storia e tradizione, non teme … paragone!

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