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UN SECOLO FA NASCEVA A CIVITA D’ANTINO LA PRIMA PRO LOCO DELL’ITALIA CENTRO-MERIDIONALE

A cento anni di distanza vengono ricostruite le prime attività della Pro Antino, il cui presidente onorario fu il pittore danese Kristian Zahrtmann. Una singolare esperienza cancellata dal terremoto che colpì il paese abruzzese il 1915.

Antonio Bini

Ci sono infatti paesi che nascondono un passato straordinario, talvolta sorprendente, eppure dimenticato o sconosciuto. Tra questi è sicuramente da annoverare Civita d’Antino, piccolo comune montano della Valle Roveto e nell’antichità municipio romano (Antinum), di cui ci siamo già occupati in altre occasioni.
Nelle scorse settimane ho cortesemente ricevuto da Manfredo Ferrante, discendente della nobile famiglia dei Ferrante, un tempo signori di Civita, un documento dal quale si evince la costituzione ufficiale della Pro Antino avvenuta nel lontano 19 marzo 1910 (con sottoscrizioni avviate sin dal 1906).
Sono sufficienti brevi ricerche per verificare l’importanza del documento, il cui rilievo supera l’ambito locale, permettendo di affermare come nel paese fosse sorta un secolo fa la prima pro-loco non solo dell’Abruzzo, ma addirittura dell’intera Italia centro meridionale: un anniversario cui andare orgogliosi !
In Italia precederebbero Civita d’Antino soltanto Pieve Tesino (Trento) 1881; Chiavenna (Sondrio) 1892; Cles (Trento) 1899; Treviso 1899; Chesio (Novara) 1900; Gemona del Friuli (Udine) 1903; Tortona (Alessandria) 1903; Pracchia (Pistoia) 1906. Tali informazioni sono riprese dal saggio di C. Nardocci, Il Genio del Luogo, ed. Grafiche Tommasetti, Roma, 2000, pag. 101, che ha avviato un interessante percorso di ricostruzione di questo particolare fenomeno associativo italiano (Nardocci è presente dell’UNPLI, l’associazione delle pro-loco italiane).
Viene da chiedersi come mai in un appartato paese della montagna abruzzese potesse svilupparsi quell’humus, quel fermento creativo che favorì l’istituzione di un movimento associativo diretto a migliorare l’abbellimento del paese e quindi l’ospitalità turistica, allineandosi alle prime comunità alpine, pioniere dell’organizzazione turistica locale italiana su base volontaristica, diversi anni prima che intervenissero norme dirette a disciplinare il nascente turismo di massa e quindi l’organizzazione turistica pubblica.
La Civita di allora era molto diversa da quella di oggi, era nel pieno della sua vitalità culturale, economica e sociale. Il paese era stata una tappa di viaggiatori settecenteschi e ottocenteschi in Italia, in particolare di quelli interessati all’archeologia, come Colt Hoare, che vi giunse sul finire del ‘700, Keppel Craven, fino al grande archeologo Theodor Mommsen. Il Mommsen si fermò per diversi mesi a Civita, ospite della famiglia Ferrante, in occasione dei suoi studi sulla “Storia di Roma Antica”, che gli valsero il premio Nobel. Anche un pittore di paesaggi, come amava definirsi Edward Lear, soggiornò nel paese abruzzese. Ma molti altri furono i personaggi minori, di cui non mancano anonimi resoconti di viaggio su periodici inglesi e tedeschi. Negli anni successivi furono proprio i paesaggi e il carattere ospitale della popolazione ad attrarre il pittore danese Kristian Zahrtmann, che vi fondò la sua scuola estiva aperta a decine di pittori scandinavi, spesso seguiti da amici e familiari.
Così Civita divenne a fine ottocento un piccolo ma frequentato centro “turistico”, dove all’antica ospitalità della famiglia Ferrante, spesso ricordata dai viaggiatori nei loro scritti, subentrò quella organizzata, proprio del nascente turismo ed il paese trovò posto nelle guide turistiche. Oltre alla Pensione Cerroni, divenuta nel tempo la “casa dei pittori danesi”, sorsero allora altre due pensioni, mentre nello stesso periodo ben più popolose cittadine abruzzesi erano ancora totalmente prive di strutture ricettive.
Dal confronto tra culture diverse e dalla continuità di rapporti e confronti con gli ospiti doveva necessariamente scaturire un proficuo scambio di opinioni e di proposte tra viaggiatori stranieri e le persone lungimiranti del paese. Da qui la costituzione del Comitato Cittadino Permanente Pro Antino inteso come “organo morale di propulsione per ridestare le energie e le iniziative private in rapporto all’abbellimento del paese”. SI tratta di obiettivi di straordinaria attualità, che oggi leggeremmo nella necessità di dare spazio alla c.d. “società civile”, superando il concetto che qualsiasi iniziativa promozionale debba venire soltanto dal pubblico.
Un obiettivo operativo apparentemente banale, che invece racchiudeva un profondo e sentito desiderio di bellezza, di tutela e continuo miglioramento del contesto urbano e “delle sue immediate adiacenze”, valore fondamentale per gli stessi residenti e quindi per gli ospiti, che pure già mostravano di amare il paese, descritto e immortalato in tante opere.
La relazione – rispetto allo statuto – ci dà la possibilità di comprendere meglio l’effettivo percorso avviato dalla Pro. Vengono infatti elencate in dettaglio otto “opere” consistenti in lavori di ampliamento, livellazione, dissodamento, e soprattutto di messa a dimora di alberi e piante. Degna di rilievo la sistemazione delle aree circostanti la chiesa di Santa Maria, ed in particolare di quella inferiore, che doveva arricchire una delle terrazze panoramiche più suggestive di tutti gli Appennini, che il Comitato trasformò in un vasto “giardino inglese”, con modalità creative che oggi annovereremmo come “land art”. Nel tempo sono venute meno le piante ornamentali, la stessa chiesa ha subito recenti discutibili restauri che la rendono irriconoscibile, mentre del prato all’inglese rimane un vasto campo incolto. Fortunatamente resta lo straordinario cerchio di monti.
Tornando al programma della Pro Antino si rileva come questo andasse realizzandosi mentre contemporaneamente si procedeva alla raccolta dei fondi – circostanza che ancor più legava il manipolo di pionieri benpensanti dal motto sallustiano: “Con la concordia le piccole cose crescono, con la discordia le più grandi vanno in rovina”, espressamente richiamato nella relazione.
La comunità romana (già allora nutrita) rispose positivamente all’appello, “raccogliendo con entusiasmo la scintilla di civile progresso partita dal paese natio”, mentre qualche delusione venne dalle “colonie americane” e dalla “classe agricola”, dalle quali peraltro non si potevano certo pretendere risposte favorevoli, in considerazione delle difficili condizioni economiche sia degli emigranti e che dei contadini di allora.
A proposito del sostegno finanziario alla “missione”, il documento sottolinea la “generosità degna di encomio” del pittore danese Kristian Zahrtmann, che concorse con il consistente contributo di 600 lire. Allo stesso fu ufficialmente riconosciuta la presidenza onoraria della Pro Antino. Siamo sicuri che questo titolo sarà stato particolarmente apprezzato dal sig. Cristiano, che chiamò la sua casa-studio di Copenhagen “Casa d’Antino” e che era legatissimo al paese abruzzese. Lo immaginiamo quasi a discutere lungamente con il colto e influente don Ferrante, allora sindaco e presidente esecutivo della Pro-Antino, con i Cerroni, e la ristretta cerchia di illuminati notabili.
La Relazione – per il suo valore documentale – sarà prossimamente consultabile integralmente sul sito www.civitadantino.com – destinato a diventare una sorta di museo virtuale della stagione d’oro di Civita.
La presidenza danese della Pro-loco costituì un altro segnale di straordinaria apertura mentale della borghesia locale e di capacità nel riuscire ad operare per lo sviluppo del paese in una più vasta prospettiva europea, tanto più se si considera come l’Abruzzo di oggi sia ancora schiacciato, talvolta, da arretrate e miserabili logiche e lotte di campanile. Oggi che in diversi paesi dell’interno vivono artisti stranieri legati all’Abruzzo sarebbe auspicabile che altre pro-loco abruzzesi seguano l’esempio dato da Pro Civita un secolo fa.
Il drammatico terremoto del 1915 che colpì la Marsica non risparmiò Civita d’Antino, che subì diverse perdite di vite umane, tra cui quella dello stesso don Filippo Ferrante. Molti abitanti lasciarono poi il paese per spostarsi a valle, e altri ancora emigrarono lontano. Con la successiva morte anche di Zahrtmann vennero a saltare anche i rapporti con gli artisti scandinavi, alcuni dei quali continuarono comunque a frequentare il paese.
Dopo la seconda guerra mondiale, l’Associazione riprese la propria attività su impulso dell’on. Fabriani, assumendo la denominazione convenzionale di Pro-Loco, imposta a livello nazionale dalla legislazione statale e distinguendosi, prima dell’ulteriore fase di declino del paese, per alcune apprezzabili attività culturali, tra cui si segnalano il saggio storico di S. Maciocia, “Civita d’Antino”, edito da Palombi di Roma (1956) e la stampa di sei cartoline recanti una serie di nostalgici schizzi del paese, curati con garbo da Pino Mattei (1965), a distanza di 50 anni dal terremoto.
Ad un secolo di distanza occorrerebbe una nuova scintilla..
Oggi le Pro-Loco in Abruzzo sono diventate oltre trecento e si occupano prevalentemente dell’organizzazione di eventi e di animazione del territorio, grazie al coinvolgimento e la passione di tante persone. Anche rispetto a questo diffuso fenomeno associativo, l’esperienza della Pro Civita può ancora insegnare molto, affinché accanto alle manifestazioni si ponga sempre attenzione al paesaggio, alla difesa dei centri storici e alla conservazione delle tradizioni, quali fattori fondamentali dell’identità dei luoghi e delle rispettive comunità.
Come non condividere in proposito la riflessione di Vittorio Sgarbi, quando sostiene che “il bene più prezioso per un luogo è la sua integrità, il suo essere quello che è stato.”

Tratto da D’ABRUZZO, rivista trimestrale di turismo, cultura, ambiente – n. 89/2010
unosemper@libero.it

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