di Elettra Deiana
Il voto di domenica 28 marzo va oltre la sua portata di competizione per il governo di tredici regioni. Questo non è certo un bene, a quarant’anni dalle prime elezioni regionali e dunque in una circostanza in cui sarebbe utile un bilancio ponderato, e soprattutto pubblico, di ciò che è stato fatto fino ad oggi, di ciò che va e non va.
Non è affatto un bene invece il fracasso nazionale che tracima da tutte le parti, nel mezzo di urgenti problematiche di grande attualità, che riguardano la vita delle persone e richiederebbero la messa a punto di programmi, impegni, scelte circostanziate e vincolanti nel governo a livello territoriale della cosa pubblica. Ma l’esasperata proiezione nazionale rende tutto indistinto e manipolabile, lontano e inaccessibile a una autentica partecipazione democratica, a verifiche, controlli, giudizi degli elettori e delle elettrici.
Non è un bene ma è un fatto. Impossibile sottrarsi. Berlusconi e la sua maggioranza lo hanno alimentato ad arte, fino al parossismo di questi giorni, ed è chiara d’altra parte, fin dall’inizio, la portata nazionale della posta in gioco di queste elezioni. Per la maggioranza e anche per l’opposizione, che ha continuato a subire gli effetti delle mosse avversarie e in queste elezioni si gioca forse la possibilità di uno scarto positivo, rispetto a come sono andate le cose fino ad oggi. Perché Berlusconi non sta tanto bene non perché l’opposizione stia di nuovo bene.
Berlusconi ripete i suoi film. Un déja vu, un ritornello che neanche si rinnova, un ininterrotto rosario di improperi contro le istituzioni che il premier recita a soggetto, individuando tutti i nemici possibili e scagliando insulti ad personam, a destra e manca. Che dire dell’ultimo, rivolto alla presidente della regione Piemonte? Insulto livido e volgare, che ben mette in luce, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la misoginia di infima lega del premier.
Non possiamo che esprimere ancora una volta la nostra solidarietà a Bresso e ricordare che le relazioni tra i sessi sono parte costitutiva della politica, non un fatto domestico e privato né, quando accade qualcosa di pubblico, un incidente di percorso. Troppo presto ci si è dimenticati che lo scambio tra sesso e potere costituisce per il premier un potente ancoraggio nel suo esercizio del potere, una piattaforma di cui, tra le altre cose, si è servito e si serve sempre, senza remore né pentimenti. Salvi quelli di facciata, quando deve guadagnare il consenso elettorale delle alte sfere vaticane, come succede in questi giorni, nelle solite materie.
L’uomo è così ed è soprattutto così quando avverte uno scricchiolio sinistro nel suo sistema di potere e oggi di scricchiolii ne sente parecchi. Fiuta la disaffezione elettorale, teme gli inganni e le trappole ordite tra le sue file, avverte sentimenti contrari alla fedeltà al capo, che serpeggiano. Allora “à la guerre comme à la guerre”.
La messa in scena degli aspiranti governatori del centrodestra che, in piazza S. Giovanni a Roma, tutti insieme appassionatamente, leggono il programma elettorale come se fossero al giuramento di Pontida è stata una chiara manifestazione del clima. Clima esasperato e grottesco, così conforme a quella vocazione autoritaria che sempre più insolentemente Berlusconi ha manifestato verso tutti. Compresi quelli della sua parte. Ma clima in bilico, per lui, che aspira a diventare presidente di una repubblica presidenzialista alla Putin. I segnali di pericolo per il premier ci sono e le manifestazioni di odio e di rancore di cui lui si fa interprete in queste giorni, contro il mondo, non sono soltanto forzature consone al suo stile da predatore delle istituzioni e dell’ordine costituzionale.
La manifestazione romana del 19 marzo, quella degli aspiranti governatori che recitano, è stata emblematica. Che dire? Un flop quanto al numero dei partecipanti. Anche un bambino che avesse osservato lo spettacolo lo avrebbe capito. E gli organizzatori hanno quasi sfiorato il ridicolo. Anzi sono andati oltre, in quel balletto dei numeri tra loro e la Questura di Roma. Un milione, gridano i primi. No prego, 150.000, mandano a dire da via Genova.
Ma tutto questo, sia chiaro, non significa affatto che i giochi siano fatti. Le difficoltà del premier non significano che dalle urne uscirà automaticamente un verdetto negativo per Berlusconi, come noi ci auguriamo. Inoltre Berlusconi e il berlusconismo, che ha invaso come una marea montante il cuore e la mente di così tanti italiani, non coincidono. Da tempo. Il primo, l’uomo, può eclissarsi o uscire indebolito dalla scena pubblica ma il resto restare e continuare a porre duramente la questione del che fare, per restituire un’anima al nostro Paese. La partita insomma è questa – da tempo, lo sappiamo – e la sinistra – la sinistra – ci gioca un ruolo non secondario. Per questo il voto di domenica è importante. Il voto a Sinistra Ecologia Libertà, ovviamente.
Elettra Deiana