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Opposizione di governo, ma non in pantofole

Torniamo a parlare dei problemi degli italiani
>>Leggi il documento di adesione della manifestazione di Piazza del Popolo

Non solo protesta ma anche e soprattutto proposta: i problemi del Paese devono essere posti “al centro del confronto elettorale”: così Pier Luigi Bersani durante la conferenza stampa che si è tenuta oggi alla sede del Pd. “Siamo un'opposizione pacata, ma non un'opposizione in pantofole” puntualizza Bersani. Non possiamo esserlo, soprattutto nel momento in cui il governo indossa gli “anfibi” e “scende “in piazza con attacchi violenti contro le istituzioni”.

“Questa settimana le nostre proposte saranno incentrate particolarmente su lavoro, democrazia e regole. Serve un atto di responsabilità reciproco, perché continuando a picconare il meccanismo delle regole non riusciamo ad andare al cuore dei problemi della gente”. La piattaforma della manifestazione di sabato prossimo – ha ricordato il segretario dei Democratici – sarà “a sostegno del capo dello stato Giorgio Napolitano. È una piattaforma positiva che si rivolge a tutti gli italiani e può essere apprezzata anche oltre il confine del Pd. Escludo che si possa attaccare Napolitano – ha ribadito Bersani – stiamo costruendo una piattaforma a cui tutti si atterrano e quella piattaforma è di critica netta al governo”. In relazione alla richiesta di Antonio Di Pietro, leader dell’Idv, al Capo dello Stato perché non apponga la sua firma al disegno di legge sul legittimo impedimento, Bersani ha ricordato che “richieste di questo genere a Napolitano non saranno comprese in una piattaforma comune della manifestazione di sabato. Ognuno porta la responsabilità di quel che dice”, fermo restando, ha concluso il segretario del Pd, che “oltre ai politici sul palco dovranno esserci anche le associazioni in rappresentanza della società civile”

Bersani ha commentato la ricostruzione dei fatti (o memoria difensiva?) di Silvio Berlusconi in relazione all’affaire-liste nel Lazio “Doveva essere il governo del fare, è finito per essere il governo del fare confusione”. Secondo il leader democratico, “il premier si è presentato ancora una volta più come un agitatore politico che come il capo del governo. Tra l'altro, Inutile prendersela con i magistrati: esiste un verbale dei carabinieri che chiarisce tutto. Direi che il Pdl si e' denunciato da solo”. Bersani ha indicato una exit strategy al centrodestra: “Rinuncino a proseguire il meccanismo dei ricorsi nel Lazio e noi siamo pronti a fermare i ricorsi in Lombardia. Cerchiamo di determinare un clima nel quale finalmente sia possibile parlare delle cose che interessano i cittadini italiani. Nessuno di noi ha mai pensato e nemmeno architettato nulla per escludere le liste del Pdl. Prendiamo atto di una vicenda che ha mostrato la confusione e l'arroganza senza limiti del governo che non ha ammesso di avere commesso un errore nella presentazione delle liste. Gli organismi di garanzia – ha concluso il leader del Pd – si sono pronunciati. Ne prendiamo atto. Loro hanno in campo un candidato, non sono senza rappresentanza. Ma ora mettiamo un punto fermo”.

All’accusa di Berlusconi, secondo il quale Bersani vorrebbe vincere ‘secondo la maniera della democrazia sovietica’, il leader Pd ha risposto che “non ci si può chiedere connivenza nello strappare le regole in nome di qualcuno. Noi non abbiamo cercato questa situazione. Un minimo di stile e di logica ci vuole”.

‘Stile’ istituzionale che il segretario del Pd è disposto a riconoscere a Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che prima di portare il decreto salva-liste ha chiamato Bersanui per informarlo dei contenuti del provvedimento . “Io gli ho fatto presente le nostre obiezioni, tutto qui – ha precisato Bersani commentando la circostanza – Loro avrebbero dovuto riconoscere gli errori, aspettare tutti i gradi di giudizio e poi magari rivolgersi all'opposizione per fare un discorso”.

Alla fine, ha osservato il leader democratico, è venuto fuori “un decreto fatto su misura ma sbagliando le misure. In Italia c’è uno Stato di diritto''. Sono stati loro stessi, peraltro, a parlare di errori: Bossi ha parlato di una ‘banda di incapaci’, Rotondi ha detto che ‘il Pdl ha sbagliato’, Fini ha detto che ‘sono stati commessi errori’”.

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