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La congiunzione finale

di Vittorio Lussana

A mio parere, ci sono molti buoni motivi per votare, alle prossime elezioni regionali che si terranno nel Lazio, il Partito socialista italiano e, nello specifico, per dare all’amico Bobo Craxi un significativo voto di preferenza. Innanzitutto, per tentare di utilizzare politicamente questa regione come nuovo laboratorio per la ricostruzione di una sinistra più moderna e capace, liberandoci cioè dai tanti comunisti da salotto. In secondo luogo, perché l’Italia, in questi ultimi anni, è andata troppo a destra. Ci sarebbe da chiedersi bene perché l’Italia sia andata così a destra e perché la stessa regione Lazio rischi di seguire tale tendenza. In sostanza, il Paese è andato a destra perché si è pensato stoltamente che il crollo del comunismo abbia dato la possibilità, culturale prima ancora che politica, di instaurare forme di omologazione della vita pubblica basate su un nuovo autoritarismo travestito da aziendalismo più o meno ‘benevolo’. Negli anni di Tangentopoli, questa rivoluzione aziendalista, definita furbescamente liberale, nel proprio evolversi ha deciso, sin da subito, di utilizzare un linguaggio dialettico di natura estremista, un metodo comunicazionale che, fino a pochi anni prima, caratterizzava, invece, il più corrivo dei populismi culturali della sinistra anarcoide. Ciò al fine di inglobare quante più forze possibili in grado di favorire questo tentativo di restaurazione travestito da rivoluzione. Tuttavia, ciò ha dimostrato solamente la capacità dell’aziendalismo e del neocapitalismo italiano di livellare culture e identità specifiche, con le conseguenze che sono sotto agli occhi di tutti: a prescindere dalla mancata selezione di una nuova autentica classe dirigente, si è ingenerata una forma di immobilismo dovuto ai limiti stessi dell’operazione messa in campo con Forza Italia prima e con il Pdl poi. Tale immobilismo rappresenta la causa primaria degli attuali attriti tra mondo politico post fascista – che una propria identità e una propria capacità politico – decisionale l’ha sempre avuta – e l’insolubile ambiguità del personalismo ‘berlusconiano’, totalmente improntato all’opportunismo come unico modello culturale di riferimento. L’operazione ‘berlusconiana’ non è mai stata una ‘cretinata’: si basava sul presupposto, assolutamente valido da un punto di vista strettamente scientifico, che un imprenditore prestato alla politica, dunque un ‘eretico’, potesse ben inserirsi nel sistema poiché quest’ultimo, in effetti, riesce sempre a integrare gli ‘eretici’. In realtà, la politica italiana quella era e quella è rimasta. E l’idea che l’aziendalismo potesse migliorare la politica ha svolto una funzione di idea – alibi con cui si intendeva consolare sia le coscienze infelici, sia quelle più ottuse (includendo, in questa classificazione, anche i post comunisti). In sostanza, uno dei modi per essere utili alla politica era proprio quello di dire chiaro e tondo che essa sarebbe migliorata con un ‘avvento’, quasi come se si trattasse della congiunzione finale, messianica e metastorica, tra decisionismo ‘craxiano’ e aziendalismo stesso. Alla base di questo ragionamento si nota soprattutto la forzatura, totalmente propagandistica, di un Craxi socialista che finisce col confondersi, nel marasma della lotta mediatica, con l’aziendalismo puro. In ogni caso, quel che si è scoperto veramente, alla fine della ‘fiera’, nella seconda Repubblica, è che non solo la politica non poteva migliorare, ma che può addirittura peggiorare, con tanto di solerti servitori (vedi Walter Veltroni) pronti a favorire un simile peggioramento. Per questi motivi bisogna mettersi in testa che è necessario lottare per una nuova sinistra dei diritti umani e civili. I diritti civili sono infatti eternamente minacciati, continuamente sul punto di essere soppressi. È necessario quindi lottare per creare nuovi tipi di società, in cui il programma minimo dei diritti civili sia garantito. Per esempio, una società veramente ed effettivamente socialista.

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