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Arroganza, supponenza piagnisteo

di Franco Astengo

Allora ci risiamo con la discussione sulla presentazione delle firme utili per le candidature alle elezioni: il caso, questa volta è davvero clamoroso, con l'esclusione del PDL dalle regionali del Lazio.
Ma, nel recente passato, sono avvenuti fatti altrettanto eclatanti, anche se su ridotta dimensione ed anche in Liguria, da dove scriviamo, gli esempi non sono mancati: è ancora in discussione (anzi è in atto una
procedura penale) la regolarità delle firme presentate dallo stesso PDL per le elezioni provinciali di Savona nel 2009 e, qualche anno addietro, consiglieri comunali del PD erano finiti nei guai per aver autenticato con sospetta leggerezza firme di “Forza Nuova” poi rivelatesi irregolari.
Fatti accaduti anche in altre parti d'Italia ed in una dimensione del tutto diversa dai tempi trascorsi, quando l'esistenza di partiti organizzati garantiva il rispetto, almeno formale, delle regole.
Certo che il caso del PDL nel Lazio fa pensare, sul serio: questo funzionario (pagato chissà quanto, non certo con la V super dei metalmeccanici) che si presenta mezz'ora prima della scadenza, senza aver nemmeno controllato di avere appresso i simboli, che se ne va addirittura a mangiare ( così scrivono le cronache) e torna, convinto di aver la strada spianata comunque perché lui non rappresenta il libero confronto democratico ( al quale si appella la candidata alla presidenza oggi in discussione) ma, bensì, il potere a cui tutto è concesso.
Questo è il punto: arroganza e supponenza che derivano dalla certezza di rappresentare il potere in quanto tale, considerando quella che è una regola da rispettare una formalità alla quale debbono aderire soltanto i poveretti, quelli dei piccoli partiti che, magari da settimane, fanno i banchetti sacrificando ore di lavoro e di studio.
Il PDL fuori nel Lazio sarebbe una buona lezione d'umiltà, una lezione salutare.
La vicenda delle firme necessarie per presentare le liste elettorali ha avuto, nella nostra storia elettorale, fasi alterne: fino alla metà degli anni'70 la raccolta delle firme era obbligatoria per tutti, a tutti i livelli di elezione (erano i tempi della “corsa” per assicurarsi il posto sulla scheda, il PCI primo in alto a sinistra, la DC ultima in basso a destra; poi le cose sono cambiate con il sorteggio); poi, nel momento di massimo fulgore dei partiti (e l'avvio della formazione del “cartel party” italiano) le forze rappresentate in Parlamento non dovevano raccogliere firme in ogni caso; successivamente, la furia iconoclasta degli anni'90 riportò in auge le firme e, adesso, siamo in un sistema “misto” dove per politiche ed europee vale di nuovo il criterio per i “simboli” uscenti.
Così come abbiamo giudicato di arroganza e di supponenza, del tutto colpevole, l'atteggiamento della PDL nel Lazio, ci permettiamo di valutare come di “piagnisteo” la posizione dei radicali.
Sicuramente nella legge elettorale ci sono questioni da rivedere ( sempre restando all'argomento, ad esempio, esiste una questione di autenticatori delle firme), ma non è possibile pretendere di presentare liste fuori dalle regole: ripeto piccole formazioni politiche nelle quali alberga ancora spirito militante si sono messe al lavoro cercando di ottenere il risultato utile alla presentazione delle loro liste.
Una fatica, ma anche un contatto con la gente, una discussione continua, una presa di coscienza: la messa al lavoro di persone.
Oggi i valori della militanza politica appaiono del tutto sviliti e, per di più, il momento elettorale appare del tutto esaustivo dello stesso agire politico: ovviamente, in questi casi, avviene di tutto e non è nostro compito analizzare più di tanto.
Ci interessa salvaguardare un principio che appare, comunque, di essere di una certa equità: ponendo un filtro per tutti.
Anche per i ricchi ed intoccabili “padroni del vapore” : poi tutto finirà “a tarallucci e vino” ma tant'è avremo fatto sentire una voce di dissenso.

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