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IL VOTO ALL’ESTERO DOPO IL CASO DI GIROLAMO

Le gravissime accuse rivolte dalla magistratura inquirente all'ormai ex senatore Di Girolamo nel giro di 36-42 ore ha dato il via ad una ininterrotta serie di prese di posizione e di dichiarazioni che andando oltre le fattispecie contestate a Di Girolamo rimettono in discussione non solo le attuali modalità di voto all'estero ma anche lo stesso voto degli italiani all'estero.
Si va dai toni supercauti di chi trova che vi siano alcuni indefiniti aggiustamenti da fare a chi pensa che il voto nelle sedi consolari o il voto elettronico garantirebbero meglio la segretezza del voto ormai comunemente riconosciuta iperpermeabile nella modalità per corrispondenza.
L'impressione è che ancora una volta, passata la fiammata delle ultime esercitazioni letterarie pro o contro il diritto di voto costituzionalmente tutelato, si possa ripetere il “bis in idem” di quanto accadde durante e nelle ore successive alla prima elezione di rappresentanti del parlamento eletti dalla Circoscrizione dell'estero.
Allora circostanziati accadimenti che alteravano le necessarie garanzie di un libero voto vennero denunciati in diverse aree continentali ed attribuite a persone ora dell' uno ora dell'altro schieramento concorrente alle elezioni. Schede riprodotte artigianalmente, votanti calcolati come tali ma che non avevano ricevuto le schede, raccolta e compilazione di pacchi di schede, verifiche del voto a Castelnuovo di Porto, stando ai rappresentanti di lista presenti, in condizioni tecnico-strutturali tali da poter considerare quelle verifiche un libero esercizio . La casistica non esaustiva va comunque ben oltre come si evince dalla lettura di quanto emerso allora sulla stampa.
C'era allora materia sufficiente per avviare immediatamente quella revisione che oggi s'invoca per salvare il diritto al voto di quanti nulla hanno a spartire con i comportamenti penalmente sanzionabili contestati a Di Girolamo che nel suo addio al laticlavio trova il tempo di far girare le deiezioni nel ventilatore dicendo in sostanza che in fondo così facevano tutti.
Il diritto al voto è stata una idea che contemporaneamente poteva avviare una ben più complessa, poderosa azione di re- italianizzazione delle nostre comunità per loro fortuna largamente integrate. Sarebbe stato il valore aggiunto di una cultura plurima su una rinnovata base di italianità.
Non c'è stato allora e non c'è oggi progetto governativo o di opposizione.
Il parlamento che è sede legislativa, con la presenza dei 18 parlamentari dell'estero poteva valorizzare le diverse risorse esistenti, le associazioni, i comites, le articolazioni funzionali dello stato-apparato, del parastato operanti all'estero, le organizzazioni produttive private e professionali ecc ecc.
Alla Camera non si è voluto neanche riconoscere la natura di promozione sociale dell'associazionismo all'estero.
Si è aperta invece una fase nella quale si è andati di nuovo al voto con le stesse criticità nelle procedure, le stesse magagne che alla fine circondano di un' aura di illegittimità tutta la rappresentanza anche se non si dovrebbe fare di ogni erba un fascio.
Le forze politiche oggi di fronte alla enormità collegate con la vicenda di Di Girolamo corrono ai distinguo o alle nette prese di distanza anche rispetto alle modalità di voto ma non spiegano perché l'altro ieri non era stato fatto decadere un parlamentare privo dei prerequisiti per divenire tale.
Se si osservano i tentativi di teorizzazione del ruolo dei neoparlamentari eletti o di autodefinizione di ruolo si legge che con l'elezione dei 18 parlamentari” la rappresentanza ora è perfetta” dopo essere passata da comites e cgie (pensato come il nuovo ufficio studi dei parlamentari). Le associazioni, cito a memoria da un sito di uno dei due più grandi partiti, sono obsolete ed in via di superamento ma i partiti politici li possono inserire nella loro dialettica interna.
Mentre l'associazionismo si misura con un progetto di rinnovamento. Dalla proposta Micheloni di riforma di comites e cgie al testo Tofani viene avanti un modello di presenza fra gli italiani che punta a rafforzare in via esclusiva i partiti politici italiani e ad espellere le associazioni.
Insomma a partitizzare la rappresentanza.
Risorse notevoli direttamente o indirettamente In questi anni sono state investite in comitati elettorali e in sezioni di partito nei paesi d'accoglienza. Cè dunque una intrinseca coerenza fra quanto avviene fuori e quanto si elabora per gli italiani all'estero dentro il parlamento. E' questo quello che occorre agli italiani all'estero cui nel passato abbiamo sempre indicato processi d'integrazione nelle strutture democratiche dei diversi paesi nei quali vivono?
Essere e vivere come italiani all'estero è una prospettiva che non dipende esclusivamente dal fatto che si eleggono (per ora ) 18 parlamentari. Si tratterebbe di una illusoria quanto supponente illusione il pensare che la “rappresentanza perfetta” sostituisce l'azione del pluralismo delle associazioni e delle istituzioni che gli italiani all'estero si sono date.
Cambiare una legge per il voto all'estero che ha evidenziato così gravi inconvenienti è un obbligo in assoluto rispetto al quale, spiace dirlo, la disattenzione ed il ritardo delle forze politiche è molto grave.
Facendolo saremmo finalmente nella legalità ma il quesito che da molti in queste ore ci sentiamo ripetere e cioè quale rapporto costi/benefici per gli italiani all'estero si possa ricavare dalla permanenza della presenza dei 18 parlamentari mi sembra, per quanto riduttivo della complessità della situazione, un indicatore del clima sfiduciato di chi seguita a vedere il governo esercitare la sua indifferenza istituzionale e l'opposizione latitare.

Rino Giuliani vicepresidente dell'Istituto Fernando Santi.

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