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Il processo breve: una riforma a metà 

La Corte di Giustizia della UE ha più volte condannato l’Italia per l’eccessiva durata dei processi e per le farraginose procedure di indennizzo del cittadino,vittima di questo malfunzionamento della nostra giustizia.
La causa della lentezza processuale va ricercata nella riscontrata carenza di magistrati e di personale amministrativo(cancellieri,ufficiali giudiziari) e in una legislazione che troppo spesso, anziché snellire il processo, dilata il tempo necessario per giungere a sentenza definitiva consentendo,ad esempio in materia penale,la riproposizione delle stesse eccezioni difensive in tutti e tre i gradi di giudizio.
Per questo motivo il governo ha promosso,tardivamente,il disegno di legge sul processo breve per tutelare il cittadino contro la durata indeterminata dei processi.
Come al solito nel nostro Paese che, non dimentichiamoci è la patria del diritto,solo all’emergere di un problema si adotta il correttivo al medesimo anziché prevenirlo.
Il governo,infatti,avrebbe dovuto prevenire la situazione che ha dato origine alle sentenze di condanna europee adempiendo così ad un obbligo costituzionale sancito nell’art. 111 della nostra Costituzione che stabilisce la ragionevole durata del processo. Al lettore ogni commento;comunque meglio tardi che mai.
Il processo breve fissa la durata massima del giudizio penale, per reati puniti fino a 10 anni, in 3 anni per il primo grado di giudizio,2 anni per il secondo grado e in 18 mesi per la fase davanti la Cassazione;superati questi termini il processo si estingue.
Contestualmente l’esecutivo si è dimenticato di aumentare il numero dei magistrati e del personale amministrativo bandendo i relativi concorsi,cosa che però non ha fatto.
Insomma una riforma a metà. I processi già oggi e senza il disegno di legge governativo, si estinguono per la mancanza delle necessarie risorse umane,finanziarie ed informatiche e per interventi legislativi che,come detto in precedenza, dilatano i tempi processuali anziché accelerarli.
E’ inoltre prevista una razionalizzazione delle procedure di equo indennizzo previste dalla legge Pinto nei casi di violazione del diritto alla ragionevole durata dei processi.
L’Italia paga ingenti costi per l’eccessiva durata dei giudizi: 14 milioni di euro nel 2007,25 milioni nel 2008,13 milioni solo nel primo semestre 2009.
Le nuove norme prevedono inoltre che la domanda di equa riparazione sia subordinata a una specifica istanza di sollecitazione che la parte deve presentare nel processo entro sei mesi dalla scadenza dei termini di non irragionevole durata.
Per finire va detto,che ogni governo(sia di centrodestra che di centrosinistra)afferma la necessità di digitalizzare i processi,ma poi nei fatti riduce i capitoli di spesa necessari a questa importante innovazione.
Una situazione da teatro dell’assurdo.

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