Benedetto XVI nel commento alla Lettera agli Ebrei che include la Lectio divina tenuta giovedì scorso ai preti di Roma, come aveva fatto durante la visita ad Auschwitz, torna a chiedersi: “Dio dove sei tu in questo mondo?”. La domanda, però, che i fedeli si pongono ogni qualvolta si trovano davanti a tragedie immani, potrebbe anche essere fatta a prescindere dal “silenzio” di Dio nei momenti della sofferenza. Ed infatti, il Papa stesso si pose la domanda in tal senso, nel suo libro “Gesù di Nazaret”: “Si può chiedere perché Dio non abbia creato un mondo in cui la sua presenza fosse più manifesta; perché Cristo non abbia lasciato dietro di sé un ben altro splendore della sua presenza, che colpisse chiunque in modo irresistibile” (pag. 56). La domanda potrebbe essere formulata in altri termini: “Perché il Creatore non ha fatto sì che tutti gli uomini potessero avvertire la sua presenza?”. Non ci sarebbe stato bisogno di una presenza splendida irresistibile, ma di una semplice presenza, anche lontana, lontanissima come la più lontana delle stelle, ma certa. Una sorta di senso innato dell'esistenza di Dio. Il Pontefice, sapendo che alla sua domanda non c'è risposta, concludeva: “Questo è il mistero di Dio e dell’uomo, che non possiamo penetrare”. Il che significa: se vogliamo credere in Dio, dobbiamo rassegnarci ad accettare le contraddizioni che ne conseguono. Dobbiamo rassegnarci ad avere solo dopo la morte la rivelazione del mistero. Se l'avremo.
Miriam Della Croce