Il 17 febbraio dell’anno santo 1600 viene arso vivo sul rogo a Campo de’ Fiori, come “eretico impenitente”, Giordano Bruno

Roma- il giorno 17 febbraio a Piazza Campo dé Fiori, nel pomeriggio, con il patrocinio del Comune di Roma e dell’Associazione Nazionale Libero Pensiero si svolgerà una solenne cerimonia per ricordare il grande filosofo di Nola nel 410° anniversario della sua morte. Per informazioni : Tel. 06/7001785- Cell. 3297481111- e.mail:liberopensiero.giordanobruno@fastwebnet.it

GIORDANO BRUNO
Il 17 febbraio dell’anno santo 1600 viene arso vivo sul rogo a Campo de’ Fiori, come “eretico impenitente”, Giordano Bruno. Per il coraggio con il quale ha difeso fino all’ultimo le sue idee, rimanendo fedele alla propria coscienza,è considerato il principale martire del “libero pensiero”.

Bruno nasce all’inizio del 1548 da Giovanni, soldato di ventura al servizio degli spagnoli, e da Fraulissa Savolino. E’ battezzato con il nome di Filippo.
A 14 anni va a Napoli per proseguire gli studi, ospite di uno zio.
Il 15.6.1563 entra come novizio nell’Ordine dei Domenicani ed assume il nome di Giordano. Dopo tre anni prende i voti. Nel 1572 è ordinato sacerdote. Nel 1575 ottiene la licenza in Teologia.
All’inizio del 1576, accusato di eresia per aver letto delle opere di Erasmo da Rotterdam, ripara a Roma, chiedendo ospitalità al convento domenicano di S. Maria sopra Minerva. Però,nella primavera dello stesso anno,temendo di essere raggiunto dalle accuse, lascia la città in abiti civili, diventando “apostata”. Soggiorna a Genova, Savona, Torino, Venezia, Padova, Brescia, Bergamo (dove indossa di nuovo l’abito domenicano), Milano, Chambery ed infine , nella primavera 1578, a Ginevra, ospite del marchese Gian Galeazzo Caracciolo, che ha fondato una comunità evangelica. Nella città svizzera, Bruno dismette definitivamente l’abito religioso ed aderisce al calvinismo.
Nel 1579, si reca a Lione e poi a Tolosa dove soggiorna fino al 1581, acquisendo il titolo di “magister artium” e diventando docente di filosofia presso l’Università. Si reca quindi a Parigi, dove è docente di Filosofia all’Università Sorbona. Conosce il Re Enrico III di Valois, che lo protegge anche per gli insegnamenti ricevuti sull’arte della memoria (mnemotècnica). Aderisce alla fazione dei “politiques”, favorevole alla convivenza tra cattolici ed ugonotti.
Nel 1583, si reca in Inghilterra, al seguito dell’ambasciatore francese Michel de Castelnau e va a vivere ad Oxford, insegnando Teologia all’Università. Frequenta la Corte e fa amicizia con vari intellettuali. Durante il soggiorno francese ed inglese pubblica la maggior parte delle sue opere.
Nella primavera 1585, ritorna a Parigi, ma pochi mesi dopo, in seguito ad una controversia con i docenti filoaristotelici del College de Cambray, si reca in Germania. Soggiorna a Magonza, Treviri, Wiesbaden, Marburgo e Wittemberg, alla cui Università insegna per circa un anno godendo di ampia libertà .
Nel marzo 1588, è costretto a lasciare la città per il prevalere della Chiesa calvinista su quella luterana. Si reca quindi a Praga, attirato dalla politica liberale dell’Imperatore Rodolfo II d’Adsburgo, al quale dedica una sua opera.
Nel gennaio 1589, è a Helmstadt, dove insegna all’Università.
Nella primavera 1590, si reca prima a Francoforte (famosa città di editori, dove pubblica altre sue opere) e poi a Zurigo, dove impartisce lezioni private di Filosofia. Nella primavera 1591, ritorna a Francoforte dove pubblica altre sue opere. In questa città riceve l’invito del nobile veneziano Giovanni Mocenigo che vuole apprendere l’arte della memoria.
Nell’autunno 1591, parte per Venezia e si ferma alcuni mesi a Padova, cercando di insegnare all’Università.
Dopo pochi mesi al servizio del Mocenigo, chiede di ritornare a Francoforte, ma non gli è concesso. Il 22 maggio 1592, Mocenigo lo denuncia all’Inquisizione Veneta con l’accusa di eresia. E’ subito arrestato e sottoposto in pochi giorni (dal 26 al 30 maggio) a ben sette interrogatori. Si difende sostenendo che nelle sue opere ha fatto delle dissertazioni filosofiche e non teologiche. Il 30 giugno si dichiara pentito.
Il Procedimento sembra risolversi per il meglio, anche in seguito alla deposizione a lui favorevole del nobile veneziano Morosini. Gli atti vengono mandati a Roma, per il parere del Tribunale Centrale. Il Supremo Inquisitore (il Cardinale di S. Severina) chiede però l’avocazione degli atti a Roma. All’inizio del 1593, il Senato della Repubblica Veneta, dopo aver cercato di resistere alla richiesta, ordina il suo trasferimento a Roma, dove arriva il 27 febbraio ed è subito rinchiuso nel Palazzo del S. Uffizio.
Nell’estate 1593, giungono da Venezia 13 nuovi capi di accusa in seguito alle deposizioni di Fra Celestino da Verona, suo compagno di cella nel carcere veneziano.
Bruno è invitato più volte dagli inquisitori romani a ravvedersi, ma non cede.
Il 20 dicembre 1593, presenta la sua difesa. Nel 1594, vengono interrogati gli accusatori ed i testimoni a suo carico e subisce nuovi interrogatori. Presenta un nuovo memoriale in sua difesa.
Nel 1595, il S. Uffizio nomina una Commissione di teologi per esaminare le sue opere allo scopo di individuare le proposizioni eretiche e redigere l’atto di accusa. Nel marzo 1997,Bruno riceve una copia delle censure formulate dai teologi, sulle quali è interrogato più volte ed anche invitato a ravvedersi. Egli però non cede.
Nel 1598, la causa è sospesa per l’assenza da Roma del Papa Clemente VIII che presiede il Tribunale della “Santa Inquisizione”.
Il 18 gennaio 1599, su suggerimento del Cardinale Roberto Bellarmino, da poco nominato Supremo Inquisitore, gli sono consegnate otto proposizione eretiche da abiurare, concedendogli sei giorni di riflessione. Il 25 gennaio, Bruno dichiara di essere disposto all’abiura e consegna una memoria difensiva indirizzata al Papa.
Nei mesi seguenti,subisce nuovi interrogatori, e gli concedono nuove “pause di riflessione” per pentirsi, finché il 21 dicembre 1599, durante il colloquio con il Superiore Generale ed il Procuratore Generale dei Domenicani, risponde, esasperato, che “non vuole pentirsi, non ha di che pentirsi, non sa di cosa si debba pentire”.
Il 20 gennaio dell’anno santo1600, il Papa decide di concludere il processo. Così l’otto febbraio, il Procuratore Generale dell’Inquisizione Giulio Materenzii legge la sentenza con la quale lo si condanna al rogo come “eretico impenitente, pertinace, ostinato” e le sue opere sono bruciate pubblicamente e messe all’indice.
Kaspar Schoppe, presente al processo e poi al rogo, scrive che Bruno dice ai giudici “Forse avete più paura voi nel pronunciare la sentenza che io nel subirla”.
Bruno è consegnato al Governatore di Roma e rinchiuso nelle carceri criminali (ordinarie) di Tor di Nona, in attesa dell’esecuzione della condanna, decisa per il 12 febbraio e poi spostata a giovedì 17 (giovedì grasso di carnevale). All’alba di questo giorno, è portato in Piazza Campo dei Fiori, con la “mordacchia” in bocca in modo che non possa parlare. E’ spogliato e legato al palo sopra la catasta di legna.
E’ bruciato vivo mentre sette confortatori della Confraternita di S. Giovanni Decollato cercano fino all’ultimo di ottenerne il pentimento. Gli porgono anche il crocefisso da baciare, ma egli si gira dall’altra parte.
Gli atti originali del suo processo non si sono trovati. E’ pervenuto però un ampio “sommario”, scritto da un cancelliere nel 1598 per riepilogare ai giudici le varie fasi del lungo processo, rinvenuto nell’archivio personale del Papa Pio IX.
Della sua esecuzione si dà notizia nel seguente “avviso” del 19 febbraio: Giovedi fu abbrugiato vivo in Campo di Fiori quel frate di S. Domenico da Nolla, heretico pertinace, con la lingua in giova per le bruttissime parole che diceva, senza voler ascoltare confortatori né altri”.
In sua memoria è stato eretto a Campo de’Fiori, il 9 giugno 1889, alla presenza di una immensa folla che riempie tutta la piazza ed i dintorni, una statua in bronzo, opera dello scultore Ettore Ferrari.
Franco Leggeri

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