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Ambrogio Mauri: imprenditore, onesto, suicida

di Antonio Di Pietro

In un articolo de L'Espresso il giornalista Marco Travaglio racconta un fatto che avevo accantonato senza mai dimenticarlo. Un fatto lontano della mia vita da magistrato. Quelle poche righe hanno riportato alla memoria, intatto, il ricordo di un uomo: Ambrogio Mauri. Mauri è un eroe degli anni di Tangentopoli, un'imprenditore onesto che piuttosto che lavorare sotto il ricatto delle mazzette si è sparato un colpo di pistola al cuore. Questi sono gli eroi a cui vanno dedicate le vie e le piazze del Paese e che vanno celebrati dallo Stato al posto di coloro che hanno armato la mano della disperazione di Mauri.

Ambrogio Mauri una vittima vera (di Marco Travaglio)

La prossima volta che i presidenti della Repubblica, del Senato e del Consiglio vorranno ricordare una vittima di Tangentopoli, si spera che ne ricordino una vera. Non un politico corrotto e latitante, ma un imprenditore onesto che veniva escluso dagli appalti pubblici perché non pagava mazzette nella Milano da bere e da mangiare. Si chiamava Ambrogio Mauri, abitava a Desio, in Brianza. Nell'aprile del 1997 si uccise con un colpo di pistola al cuore per protestare contro il sistema delle tangenti, a cui si era sempre ribellato. Aveva 66 anni. Lasciò la moglie, tre figli e un'azienda che da mezzo secolo costruiva autobus e tram esportandoli in tutto il mondo, ma a Milano era regolarmente esclusa dalle gare dell'Atm. Aveva il brutto vizio di non ungere i partiti. Quando partì l'inchiesta Mani Pulite, che falcidiò anche i vertici dell'Atm, Mauri andò a testimoniare davanti al pm Antonio Di Pietro. Il quale poi, quando lesse della sua morte, si ricordò di lui e partecipò al suo funerale, disertato da tutte le autorità. “I dirigenti corrotti dell'Atm”, ricorderà Di Pietro, “gli avevano fatto una serie di soprusi.
Era una vittima del sistema e fu uno dei primi e dei pochissimi a collaborare spontaneamente. La testimonianza andò benissimo. Col tempo si creò un rapporto di stima e amicizia. Ci veniva a trovare in Procura, ci incoraggiava ad andare avanti. Ci diceva: meno male che c'è Mani Pulite, grazie al vostro pool sono tornato a credere nella giustizia. Si era illuso che potessimo ripulire l'Italia. Invece, dopo Tangentopoli, è scattata la vendetta”. Nel 1996 Mauri fu escluso anche dalla gara bandita dall'Atm per la fornitura di cento autobus. Pochi mesi dopo scrisse poche parole su un biglietto: “Dopo Tangentopoli tutto è tornato come prima”. E una lettera alla moglie Costanza: “Tu sei il mio primo e ultimo bene. Forse, se fossi stato più malleabile, le cose sarebbero andate diversamente e non ti avrei dato tutti questi problemi. Il mio suicidio è l'atto finale del mio amore”. E si sparò. Anziché inviare un messaggio di cordoglio alla famiglia o partecipare ai funerali, durante le esequie i vertici dell'Atm convocarono una conferenza stampa per rivendicare l'”assoluta trasparenza” dell'ultima gara. I figli, che non avevano mai collegato il gesto paterno a quell'appalto, parlarono di “excusatio non petita”.
Ecco, la prossima volta che le verrà il trip di cambiare nome a un parco di Milano, la sindaca Letizia Moratti potrebbe dedicarlo ad Ambrogio Mauri. La prossima volta che Renato Schifani cercherà una “vittima sacrificale di Tangentopoli” da beatificare in Senato, potrebbe raccontare la storia di Ambrogio Mauri. La prossima volta che a Giorgio Napolitano scapperà la voglia scrivere alla vedova di un uomo trattato con “una durezza senza eguali”, Giorgio Napolitano potrebbe rivolgerla a Costanza Mauri. Risparmierebbe pure sull'affrancatura: la signora non abita ad Hammamet, ma a Desio (Brianza, Italia).

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