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Napolitano e la firma delle leggi anticostituzionali

di Paolo Flores d'Arcais, da “Il Fatto Quotidiano”, 13 gennaio

Un mese fa, l’11 dicembre del 2009, Berlusconi di fronte ai parlamentari europei del Partito popolare consegna la dichiarazione di guerra contro la Costituzione italiana.

Tale è la gravità eversiva del gesto che il presidente della Repubblica – che troppo spesso confonde l’irrinunciabile imparzialità con una corriva equidistanza – è costretto a bollarlo come “violento attacco alle istituzioni di garanzia”, seguito a ruota da Fini.

Cos’è cambiato da allora, nelle intenzioni demolitrici del premier? Solo questo: che l’appetito sedizioso di Berlusconi vuole imporre marce forzate nella realizzazione del piano, e la sua bulimia totalitaria esige che esso venga santificato dall’idolatria dell’amore. Il servo encomio non gli basta più, vuole il culto.

L’informazione è già orwellianamente nelle sue mani, nove italiani su dieci si tengono al corrente esclusivamente sui tg, tutti minzolianamente perinde ac cadaver nella disinformacija. I servizi segreti non potranno più essere “deviati”, li esige privatizzati al suo servizio, il segreto di Stato per coprire gli intrecci con Pollari e Pompa ne è il viatico.

Le leggi da approvare tassativamente entro febbraio (ipse dixit) calpesteranno l’autonomia del potere giudiziario e sottrarranno “l’Unto” alla legge, mai più eguale per tutti. L’avvertimento in perfetto stile “Padrino” sulle “conseguenze”, se il Parlamento non rispettasse la scadenza, sigilla il cerchio delle minacce eversive.

Il razzismo, promosso dalla maggioranza della maggioranza di governo, legittima ormai la schiavitù e un Ku Klux Klan mafioso. Di che altro c’è bisogno? Che pretenda in vita l’apokolokyntosis dell’imperatore Claudio, la divinizzazione in zucca immaginata da Seneca?
Quale cecità impedisce ai Bersani e ai De Bortoli di riconoscere che ormai la democrazia in Italia residua e resiste solo nelle manifestazioni di piazza e nel caparbio eroismo di qualche settore delle istituzioni (in primo luogo tra i magistrati)?

Perciò, dalla condanna di Napolitano – il momento più lucido della sua presidenza, rimosso nel discorso di Capodanno – la politica italiana deve ripartire, se vuole evitare all’Italia il baratro.
Perché: o Napolitano ha esagerato, e allora è stata imperdonabile irresponsabilità. O ha detto il vero (e il minimo), come i fatti evidenziano, e allora le leggi anticostituzionali che Berlusconi sta approntando non può firmarle, e prima ancora Fini non può votarle. Se la logica non è un’opinione, e la moralità un optional.

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