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Bobo Craxi: "Il tempo sta rivelando la grandezza di mio padre"

di Giovannella Polidoro

A dieci anni dalla morte di Bettino Craxi, il figlio Bobo ci fornisce un ricordo personale del leader del Psi, la cui figura è tornata di grande attualità, anche a causa del difficile confronto in corso tra potere esecutivo e magistratura. Per l’occasione, in questi giorni la località tunisina di Hammamet è meta di ritrovo di numerosi amici e compagni che insieme a Bettino hanno vissuto una stagione forse irripetibile. Quella di Craxi è infatti una fase politica oggi assai rimpianta, soprattutto a causa dell’esclusione di quelle forze laiche, liberaldemocratiche e socialiste che, non essendo più rappresentate in parlamento, nell’attuale sistema bipolare, non sono messe in grado di esprimere quelle idee e quelle esigenze di nuove libertà pubbliche e di nuovi diritti civili in favore dei singoli cittadini.

Onorevole Craxi, il 19 gennaio ricorre il decennale della morte di suo padre Bettino, che verrà ricordato ad Hammamet come è ormai tradizione: chi ci sarà con lei in Tunisia quest’anno?
“Come sempre, ci saranno tanti compagni socialisti che verranno ad Hammamet per questa particolare ricorrenza. Sono trascorsi dieci anni. Dunque, ci sarà un pezzo importante e significativo del vecchio gruppo dirigente del Partito socialista di mio padre, a partire da ex ministri come Rino Formica, Claudio Martelli, Sergio Marzio, Salvo Andò e Giulio Di Donato. Insomma, un pezzo del vecchio gruppo dirigente e tanti amici e compagni che gli hanno voluto bene e che sono stati suoi compagni di lotta”.

Che ricordi ha di suo padre nei giorni in cui, lasciato solo e travolto dalla rivoluzione giustizialista di ‘Mani Pulite’, pronunciò lo storico discorso alla Camera del luglio 1992?
“Ho un ricordo netto, molto vivido circa le conseguenze non tanto e non soltanto personali di quanto stava avvenendo, ma della sua lucidità circa le conseguenze che avrebbe potuto comportare una rivoluzione così traumatica, così repentina, così frettolosa della politica italiana. A distanza di anni, posso dire che quel vaticinio fu quanto mai azzeccato, perché da allora, cioè dalla fine della prima Repubblica e da quegli eventi drammatici, l’Italia, sul piano istituzionale, non ha avuto che ricadute negative, di instabilità, di incertezza e, in particolare, di fragilità del suo sistema politico”.

Perché, a distanza di 10 anni dalla sua morte, sono in molti a riscoprire la figura politica di Bettino Craxi?
“Perché è una figura significativa, sia perché la sua fine è stata drammatica e, certamente, non comune e, quindi, per le modalità con cui ebbe termine la sua vita, sia per la vistosa differenza di statura che oggi si rileva tra gli uomini politici della sua epoca – e tra questi lui di sicuro fu una figura significativa – rispetto a quelli di oggi. E’ chiaro che, tanto più passa il tempo, tanto più si rileva la sua grandezza: è infatti il tempo a schiarire le idee di molti e ad accrescere una coscienza collettiva diversa, più corretta e più giusta”.

Il clima politico, in Italia, non è cambiato: è ancora quello del 1992 – ‘94. Come mai, secondo lei, la rivoluzione liberale non si è compiuta e il conflitto tra potere esecutivo e potere giudiziario continua ad essere ancora in atto?
“Io, per la verità, non rilevo analogie sul piano dell’orientamento generale dell’opinione pubblica e dei mezzi di comunicazione di massa con quell’epoca, in cui tutto sembrava un coro che cantava all’unisono. Piuttosto, non posso non vedere che sistema giudiziario e sistema politico tendono a sovrapporsi l’uno sull’altro, in particolare quello giudiziario su quello politico. E questo elemento di anomalia della vicenda politica italiana rischia di trascinarsi nei decenni. E’ una situazione a cui è difficile porre la parola fine immaginando che la si possa porre con equilibrio, senza che un potere non prevalga sull’altro. E, nel nostro caso, credo che sarà il potere politico a prevalere, alla fine, su quello giudiziario”.

Di fronte a questo clima “infame” che regna in Italia, suo padre cosa farebbe?
“Anche in questo caso, io non penso che in Italia regni un clima “infame”, perché oggi chi sta al potere possiede tutti gli strumenti politici e una ‘potenza di fuoco’ sui mezzi di comunicazione di massa che può risultare utile a organizzare un sistema difensivo, mentre all’epoca il potere politico crollò anche per incapacità di difesa, cioè proprio per il venir meno di un sistema di comunicazione che potesse influenzare in un'altra direzione le opinioni pubbliche. D ‘altronde, allora si trattava di venire a capo, sul piano giudiziario, di un sistema che era degenerato: parlo del finanziamento alla politica. Oggi, invece, tutto sommato si tratta di vicende più legate a ‘storielle’ di carattere sessuale o di questioni anche più gravi legate alla criminalità organizzata che tuttavia nulla hanno a che vedere con l’elemento sistemico che esplose all’indomani della fine del comunismo internazionale. La fine della guerra tra i due ‘blocchi’ aprì infatti, in Italia, una questione politica, ma soltanto alla fine, cioè dopo l’ottantanove. Oggi non siamo a un punto di svolta della vicenda politica, né sul piano interno, né su quello internazionale: siamo di fronte a una guerra ‘per bande’ che però non riguarda l’intero sistema politico o l’intera opinione pubblica”.

A questo proposito, per quanto riguarda i rapporti con la magistratura, esiste un filo conduttore tra Bettino Craxi e Silvio Berlusconi a suo parere?
“Che la magistratura colpisca o persegua degli obiettivi politici appare anche a me un dato abbastanza evidente. Ma ha fatto ciò anche nel caso della crisi del centro – sinistra, quando scoppiò il caso Mastella. Quindi, si tratta effettivamente di un’anomalia, di una prerogativa italiana che tende, nel tempo, a replicarsi. Io francamente non vedo un nesso tra mio padre e Silvio Berlusconi perché, quand’anche fosse così, ciò non conduce i socialisti ‘craxiani’ a trasformarsi in una cosa diversa, in ciò che non sono e, quindi, a sostenere un Partito come quello di Berlusconi, legato al Partito popolare europeo, o ad appoggiare politiche di centro – destra. Questo filo di continuità non giustifica una posizione politica di sostegno, né a questa maggioranza, né al Partito di maggioranza che la sorregge”.

Pensa sia giunto il momento di riconsiderare la scelta bipolare adottata dal nostro Paese?
“Certamente sì: l’Italia non è fatta per una democrazia a ‘blocchi’. Il nostro Paese non è, né può essere considerato, una terra in cui la divisione tra ‘fronti’ sia così netta, così assoluta. Noi italiani non abbiamo una vocazione maggioritaria proprio per la molteplicità delle nostre culture politiche, che hanno preso ispirazione dal Risorgimento prima e dalla lotta di Liberazione poi. L’Italia non può chinarsi a un bipolarismo ‘geometrico’, anche perché non possiamo far finta di dimenticare che il grande Partito che ha dominato la scena italiana per un cinquantennio era una forza politica di centro. Quindi, per natura, proprio il centro è il luogo attorno al quale si costruiscono le alleanze politiche. La divisione in blocchi destra – sinistra, senza che vi siano conservatori liberali compiuti e progressisti riformisti moderni e adatti ai tempi, rende il nostro bipolarismo acerbo, anomalo e, quindi, improduttivo, se non quando dannoso, per la democrazia italiana e per un governo efficace della nostra società”.

Per la sua esperienza umana e personale ritiene che gli italiani siano un popolo di ingrati?
“E’ difficile fornire un giudizio generale sull'atteggiamento degli italiani nelle diverse vicende della propria Storia. E' chiaro che il Paese è stato per tanti anni diviso e che le vicissitudini storiche che lo hanno attraversato siano state di una tale portata traumatica da determinare più spesso divisioni che non condivisione. E’ questo sentimento di divisione, di diversità, di distanza fra culture ed esperienze politiche a rendere gli italiani meno capaci di una profonda unità sulla propria Storia, sul proprio passato e sul proprio presente. Per quanto riguarda il futuro, io mi auguro che le nuove generazioni siano capaci di rimodellare il nostro senso di unità nazionale sviluppando coerentemente delle linee di valore e di condivisione che possano essere comuni. Io continuo a pensare che questi valori risiedano, innanzitutto, nell'unità della nazione, nell'idea di libertà e di democrazia che proviene proprio dalle lotte per la conquista di queste. Per il futuro, io penso e spero in una vera e consolidata vocazione europeista dell'Italia: l'Europa può rendere meno profonde queste nostre divisioni intestine, perché è il vero orizzonte a cui dovranno guardare le future generazioni”.

Le spoglie di suo padre rimarranno ad Hammamet o pensa, un giorno, di riportarle in Italia?
“Io penso che questa questione che voi sollevate possieda una ragione politica che confligge con la volontà di un uomo che aveva scelto di finire i suoi giorni qua (e dico qua perché in questo momento sono ad Hammamet). Quindi, ritengo che quella scelta e quella volontà, in quanto tali, vadano rispettate. Qualsiasi cosa accada, si tratta delle volontà di un uomo. E le volontà di un uomo debbono esser sempre rispettate: per nulla al mondo possono essere cambiate”.

Ritiene che il fatto di chiamarsi Craxi sia ancora un’eredità ingombrante?
“Mah, guardi, io non l'ho considerata tale neppure nei momenti più brutti, non mi sono nemmeno mai posto il problema di dover affrontare questo tipo di questione, perché ho sempre pensato che mio padre sia stato un grande uomo politico che ha fatto tante cose buone per il Paese in cui vivo. Sono sempre stato molto orgoglioso del lavoro di mio padre, come chiunque lo è del proprio. In questo, mi sento più vicino all'idea del legame familiare indissolubile che non a quella di chi si debba in qualche modo giustificare. Certamente, oggi mi sento sollevato dal fatto che si tratti di un’eredita non più controversa”.

(intervista tratta dalla rivista quindicinale 'Periodico Italiano' del 18 gennaio 2010)

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