di Lucio Garofalo
Non c’è dubbio che la paura sia un istinto naturale, insito nella natura animale degli uomini. La paura è un impulso congenito e primordiale, indispensabile alla sopravvivenza e all’autoconservazione delle specie viventi. Senza questo istinto gli esseri viventi non avrebbero alcuna possibilità di scampo di fronte alle insidie presenti nell’ambiente circostante. Ma proprio in quanto comportamento istintivo, la paura è un elemento irrazionale e primitivo che ha bisogno di essere regolato dall’intelligenza per evitare che prevalga, divenendo l’elemento dominante e determinante delle azioni umane.
La paura può essere una forza devastante quando si fa strumento di lotta politica ed è usata per influenzare gli orientamenti delle masse che, prese dal panico, impazziscono, tramutandosi in furia cieca e incontenibile. Infatti, nulla è più impetuoso di una folla inferocita o terrorizzata, al pari di una mandria di bufali in fuga, assaliti dai predatori.
Il panico causa disastri come un cataclisma naturale, è catastrofico come un terremoto o un’eruzione vulcanica. Il “Terrore” per antonomasia è costituito dalla violenza della rivoluzione, quindi è la madre delle paure collettive che affliggono le classi dominanti.
La paura suscitata dalla minaccia di una “catastrofe sociale” che rischia di sovvertire l’ordine costituito e mette a repentaglio la sicurezza del proprio status di classi possidenti, è all’origine delle angosce che tormentano la società contemporanea. Ecco che risorge lo spettro della rivoluzione sociale, lo spauracchio della rivolta di massa.
Da quando l’umanità ha creato le prime forme di proprietà privata, accumulando il surplus economico originario, derivante dall’espropriazione del prodotto del lavoro collettivo, la paura più forte e ricorrente nella storia della lotta di classe nelle diverse società (dallo schiavismo antico al feudalesimo medievale, al capitalismo moderno) è la paura di perdere ciò che si possiede, il terrore di vedersi espropriare le ricchezze estorte ai produttori, siano essi schiavi, servi della gleba o salariati. Non è un caso che più si è ricchi più si ha paura e, probabilmente, si è più infelici in quanto tormentati dall’inquietudine. Da qui è sorta l’esigenza di istituire un potere forte e superiore, detentore del monopolio della violenza, ossia lo Stato, atto a garantire la sicurezza e l’ordine in una società retta sull’ingiustizia, sullo sfruttamento e sulla divisione in classi.
La rivoluzione sociale è il più grande spauracchio dei governi e delle classi egemoni, in particolare dei governi e delle classi possidenti e dominanti nelle società capitaliste decadenti e putrescenti, sempre più angosciate dall’assalto inevitabile delle masse dei proletari migranti, impaurito dalla rabbia e dall’ansia di riscatto dei popoli e delle classi socialmente più povere, oppresse ed emarginate provenienti dal Sud del mondo.
Una paura molto attuale e diffusa negli stati sembra essere la paura verso una società realmente democratica, che si estrinseca nella partecipazione concreta delle persone, per cui può divenire fonte di conflittualità e di antagonismi sociali. La democrazia, non quella subìta passivamente, bensì vissuta attivamente, da protagonisti e non da sudditi o spettatori, il dissenso e il libero pensiero, la libertà intesa e praticata come critica e partecipazione diretta ai processi politici decisionali, tutto ciò incute un’angoscia profonda nell’animo di chi controlla e detiene il potere e la ricchezza sociale.
Da tali paure scaturisce un’idiosincrasia anticomunista e antidemocratica che tende a demonizzare le idee di libertà e i loro portatori, fino alla criminalizzazione e alla repressione di ogni dissenso ed ogni vertenza, recepiti come un’insidia che mina l’ordine costituito, che a sua volta si è determinato in seguito a precedenti rivolgimenti sociali.
Si rammenti che gli stati moderni e le società borghesi capitaliste hanno avuto origine da violente rivoluzioni sociali eseguite in gran parte dalle masse contadine e proletarie guidate dalle avanguardie illuminate e liberali della borghesia, che oggi teme di perdere il proprio potere e i propri privilegi di classe egemone e possidente. Il ruolo storico della borghesia, che un tempo era stato politicamente eversivo e rivoluzionario, determinando il rovesciamento violento dei regimi dispotici e assolutistici e delle aristocrazie feudali, con le loro sovrastrutture ideologiche oscurantiste di origine medievale, si è rapidamente trasformato in senso conservatore e misoneistico, rappresentando un ostacolo concreto alla realizzazione del progresso scientifico, culturale e sociale, all’esercizio pratico della democrazia diretta e partecipativa, al compimento di un effettivo processo di liberazione e di affrancamento del genere umano da ogni forma di barbarie e di violenza, di oppressione e di sfruttamento, di schiavitù e di paura.
Lucio Garofalo