Italia dei Valori: quale carisma?

Caro Di Pietro l’Idv non basta

di Pierfranco Pellizzetti, da “Il Fatto Quotidiano”, 8 gennaio

Il 5 dicembre accetto l’invito a parlare nella manifestazione genovese del No-B Day (anche per evitare che si riduca alle omelie di don Farinella: “etsi deus non daretur”, diceva quel tale). In piazza c’è un mucchio di gente. E ad animarla trovo la Manuela Cappello, l’ultima transfuga da IDV; fatta fuori dai ras locali del partito di cui non si vede l’ombra (di certo sarebbero in prima fila se si manifestasse a favore dei poliziotti picchiatori del G8 o – udite, udite – contro “la persecuzione mediatica di cui è vittima Silvio Berlusconi”).

Forte di questo recente ricordo, ho letto con un misto di indignazione e scoramento quanto scriveva su Il Fatto Gianni Vattimo in polemica con Paolo Flores d’Arcais; reo di aver posto a 360 gradi la questione democratica (se non razzoli bene dalle tue parti come puoi criticare gli altrui mali razzolamenti?). Dunque, anche per il movimento di Antonio Di Pietro.
Vattimo, scandalizzato da tale ardire, esordisce definendosi “devoto ammiratore di Chavez”. Ossia il cacicco venezuelano Hugo, cultore delle regole elettorali ad personam (vizio non solo caraibico).

Indigna e scoraggia l’uso improprio della devozione nell’analisi politica. Ecco il punto: questa postura mentale è uno dei mali che hanno sempre favorito l’espulsione dello spirito critico dalla discussione interna ai partiti, trasformandoli in protesi dei boss. Insomma, il tropicalista torinese mi ha fatto tornare alla mente lo scrittore luinese Piero Chiara. Una brava persona che, all’inizio degli anni ’70, venne folgorata dal Partito Liberale diventando devoto niente meno che di Giovanni Malagodi; scambiato per un Luigi Einaudi quando era solo il referente della piccola proprietà edilizia. Gli spiegavi cosa non andava nella gestione personalistica del leader e dei suoi sottopancia, ma lui non ti stava neppure a sentire, obnubilato dalla devozione.

I partiti sono state sempre ricettacolo di questi – loro malgrado – “personaggi di corte”, scrittori o filosofi che siano. Fiori all’occhiello che – tuttavia – qualche danno riescono pure a farlo. Proprio perché favoriscono l’espulsione dal dibattito interno dell’autonomia di giudizio; e relativi temi che, se non affrontati, riducono tali organizzazioni all’assetto cui tendono naturalmente: da strumenti per affrontare i problemi a meccanismi infernali per strumentalizzare i problemi e ricavarne vantaggi personali. Magari qualche viaggio premio in quel di Strasburgo, se vieni eletto deputato europeo.

C’è qualcosa di irresistibile nella deriva partitica per cui si sale per cooptazione e si scende per apostasia. E l’uso pubblico della ragione risulta l’unico antidoto disponibile.
Soprattutto – venendo all’oggi – nell’agenda politica dominata dal berlusconismo; ossia la sostituzione sistematica della riflessione sul reale con l’uso manipolatorio dell’irreale. Davvero preoccupanti siffatti antiberlusconiani berlusconizzati.
Ma ti rispondono: l’importanza del carisma. Ma quale carisma, qui si tratta solo di star-system; ovvero la malattia dell’uomo pubblico, del pubblico dibattito, in età di mediatizzazione. Un’età in cui si assiste a una sorta di banalizzazione del carisma, con la rottura di ogni nesso tra la figura che occupa il palcoscenico e la realtà: la mutazione della personalità in “personaggio”, largamente creato e artificiale.

Per cui la partecipazione e il controllo sull’esercizio della delega di rappresentanza, fondamenti irrinunciabili di una politica rettamente intesa, sono stati sostituiti dall’abbandono nell’innamoramento.
Un fenomeno che ormai dilaga da decenni, iniziato da Marco Pannella con le liste a lui intitolate per finire – magari e per ora – con altre iomanie devastanti, tipo la gestione bertinottiana di Rifondazione Comunista; quando si negoziò il killeraggio di Romano Prodi con qualche decina di comparsate a “Porta A Porta”, l’infrequentabile salotto di Bruno Vespa, assicurate al blasé Fausto.

Fatti suoi che l’italica Destra abbia subito la colonizzazione dello star-system personalistico. Ben diversa è la situazione a sinistra (anche perché sono sotto gli occhi di tutti le catastrofi dei partiti personalizzati iomaniacalmente).
La Sinistra storicamente nasce non dalle facoltà di aggregazione di un demiurgo ma dalle spinte di base all’organizzazione. Sono i braccianti e gli operai, magari i camalli, che fanno emergere la Sinistra dal basso, come soggetto collettivo. E la fuga nello star-system coincide con l’eclissi delle sue vere ragioni fondative.

È comprensibile che uno dei rari “caratteri” della Sinistra (Fd’A) insorga contro questa perniciosa deriva. Ma è altrettanto comprensibile la reazione immediata dei Pardi e dei Tranfaglia. Perché l’errabondo Paolo Flores d’Arcais è un miscredente anche in politica, quelli – nonostante gli anni – rimangono dei credenti alla ricerca di una fede. Lui pensa al partito come strumento di un progetto (con strutture necessariamente coerenti con la strategia), loro anelano a matrici di identità e appartenenza.

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