Gaetano Bafile ad un anno dalla morte

Ilricordo di Piero Sammartino dell'Istituto Fernando Santi.

E' passato un anno da quando Gaetano Bafile ci ha lasciato il 28 Dicembre
2008. Rimane a Caracas una forte presenza della sua vita e della sua opera e
per tutti quelli che l'hanno conosciuto una grande emozione per la sua
scomparsa.

Vent'anni fa ho conosciuto Gaetano Bafile, il leggendario direttore della
Voce d'Italia di Caracas . Andai al giornale per ringraziarlo della
evidenza che aveva voluto dare a un mio pezzo sulle scuole italiane in
Venezuela.

Il preside Bruno Bosso mi aveva chiesto di mettere per iscritto gli
argomenti che avevo calorosamente sostenuto in una conversazione privata e
che a lui erano sembrati degni di pubblicazione. E così qualche giorno dopo
avevo consegnato al preside quattro cartelle con un titolo “Le gambe corte
del protezionismo culturale” e per la domenica l'articolo era apparso in
seconda pagina in buona posizione.

Nell'incontro fu subito molto cordiale e mi fece sentire immediatamente a
mio agio. Parlammo della scuola italiana a Caracas, di norme anacronistiche
e di programmi inadeguati, ma soprattutto parlammo dell'impossibilità di
difendere e conservare integralmente le identità degli emigranti e del Paese
che li ospita.

La scuola italiana mi appariva inadeguata per la pretesa di riproporre lì
esattamente gli stessi programmi delle scuole italiane. Ma ancor più
insoddisfacente mi sembrava la condizione di incertezza normativa della
scuola. La paura reciproca di una contaminazione faceva arroccare la scuola
italiana in una ingestibile fortezza dove solo gli insegnanti con
credenziali ministeriali potevano insegnare. Dall'altra parte lo Stato del
Venezuela temeva una penetrazione culturale straniera e evitava di
riconoscere la stessa esistenza della Scuola italiana che operava in
condizioni di semiclandestinità.

Quello che mi sembrava ovvio sostenere con l'ingenuità e la spregiudicatezza
del nuovo arrivato era l'esigenza di un netto cambiamento che promuovesse
una scuola biculturale per valorizzare le potenzialità dell'interscambio
culturale fra strati sociali diversi in una città crocevia di culture e di
popoli. Perché tanta paura di un confronto nella scuola, proprio quando
sarebbe importante favorirlo? Da chi dovremmo proteggere le nostre culture
se non proprio da queste paure di contaminazione?

Allora Bafile mi raccontò di una sua conversazione con il padre della patria
Arturo Uslar Pietri, che sullo stesso argomento aveva commentato: Ma chi nel
mondo d'oggi può evitare di essere penetrato? E continuò con la sua propria
storia di migrante. Dai giorni della Liberazione e della lotta partigiana in
Abruzzo al Messaggero di Roma e di lì poi nel '49 in Venezuela dove
partecipò ad un'altra Liberazione, quella del 23 de Enero che travolse il
dittatore Pedro Jimenez.

E poi mi parlò dell'Istituto Santi a Caracas e del ruolo che si era
guadagnato fra i connazionali, della Voce d'Italia e delle associazioni
italiane numerosissime e vitali.

In quell'anno che arrivai mi aveva chiesto di curare una rubrica che
chiamammo l'Osservatorio. Dovevo portargli un pezzo entro il giovedì, ma
arrivavo sempre il venerdì mattina, prima ancora che il giornale aprisse e
lasciavo il dattiloscritto nella buca delle poste. Poi nella mattina
avanzata tornavo al giornale dove Bafile era impegnato nella chiusura, ma
trovava il tempo per commentare con me il pezzo che aveva già montato nel
menabò.
Una mattina organizzammo con la scuola una visita alla redazione/tipografia
della Voce. Bafile amava stare con i giovani e ci affascinò tutti con il
racconto di alcune tra le vicende più significative della sua vita
professionale. La scoperta da lui fatta dei sette siciliani assassinati tra
molte complicità e che allora stava trascrivendo in un libro poi uscito col
titolo “Inchiesta a Caracas”.

In quello stesso anno ci capitò di commentare insieme un'altra liberazione,
quella del Cile nel Referendum del 1988 che sconfisse Pinochet aprendo la
strada al ritorno della democrazia. Scrissi un pezzo per la mia rubrica ma
Bafile volle metterlo in prima pagina in apertura di una giornata storica
per tutta l'America Latina.

Le reazioni che seguirono la sconfitta di Pinochet ci impegnarono in un
ampio dibattito nel giornale e anche fuori e il direttore Gaetano Bafile fu
tra i più lucidi allora nell'individuare la forza innovativa che conteneva
quell'evento per i destini dell'America Latina, nella convinzione che ogni
pezzo di democrazia, ogni nuovo tassello che si aggiungeva in quel
tormentato mosaico di un mondo dal destino ancora incerto contribuisse alla
causa del suo autonomo rafforzamento e delle prospettive di pace in questa
parte del pianeta.

A settembre dell'89 fui trasferito alla scuola italiana di Madrid e i nostri
contatti si persero. Ma ancora oggi ricordo con gratitudine quei nostri
incontri del venerdì, quei dialoghi densi di idee sui fatti della settimana
che attraversavano la comunità italo-venezolana sul finire degli anni
ottanta. Grazie direttore.

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