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Stefano D’Arrigo e Orcynus Orca: è siciliano il “Dante”, il “Manzoni” del nuovo millenio

Nel 2009 “Orcynus Orca”, il capolavoro di Stefano D’Arrigo compie 25 anni.
George Steiner, unanimemente riconosciuto come uno dei massimi critici letterari contemporanei, ha scritto recentemente: “Spesso mi rimprovero di non essere riuscito a far comprendere la grandezza di un gigante come Stefano D' Arrigo. Se si legge Joyce non si può non leggere Horcynus Orca. Purtroppo, nonostante i miei sforzi, anche in Italia solo in pochi hanno letto questo capolavoro.”
D’Arrigo, nato ad Alì Terme (allora Alì Marina), in provincia di Messina, il 15 ottobre 1919 e morto a Roma il 2 maggio del 1992, completò la prima stesura del libro nel settembre 1961.
La correzione delle bozze, però, durerà quasi quindici anni, nel corso dei quali esse viaggiano a pezzi avanti e indietro tra casa sua e la Mondadori e vengono modificate di continuo.
Da chi ebbe modo di frequentarlo in quegli anni egli è ricordato come un uomo totalmente posseduto dal demone dell’arte e dedito notte e giorno, anche a costo della salute, a uno sforzo creativo rivolto soprattutto all’invenzione di una lingua inaudita che affondasse le sue radici ultime nel magma delle numerose lingue (dilalettali e non) di cui lo Stretto di Messina è stato punto d’incontro e di filtraggio.
Italo Calvino, scrivendo il 15 giugno 1972 ad Anna Scriboni in occasione di una progettata e mai realizzata antologia in spagnolo del «Menabò» per il pubblico dell’America Latina, segnalava alla studiosa l’opportunità di tener conto del «mitico Stefano D’Arrigo che da anni sta per finire un romanzo di cui si parla come del Joyce italiano e di cui si conoscono solo le pagine pubblicate sul «Menabò» 3 e da allora è il “caso” che tiene la letteratura italiana col fiato sospeso».
Una riprova dell’eterna insoddisfazione di D’Arrigo è data dal fatto che all’ultimo momento (cioè due mesi prima del ‘via libera’ del 24 ottobre 1974), quando le bozze di Horcynus Orca sono quasi completamente corrette, egli decide di sostituire in tutto il romanzo “prendere” con “pigliare” e “preso” con “pigliato”.
Ve ne riporto alcuni frammenti, che permettono di comprendere la ricercatezza e la liricità del linguaggio usato:
“Il sole tramontò quattro volte sul suo viaggio e alla fine del quarto giorno, che era il quattro di ottobre del millenovecentoquarantatre, il marinaio, nocchiero semplice delle fu régia Marina 'Ndrja Cambrìa arrivò al paese delle Femmine, sui mari dello scill'e cariddi”.
“La lancia saliva verso lo scill'e cariddi, fra i sospiri rotti e il dolidoli degli sbarbatelli, come in un mare di lagrime fatto e disfatto a ogni colpo di remo, dentro, più dentro dove il mare è mare.”
“… ripigliò a muoversi scuroscuro all’orbisca e inaspettatamente, fatti pochi passi, trovò finalmente uno sbocco sulla marina: sentì sulla faccia una leggerezza d’aria, l’oscurità davanti sgombra di case, e il respiro del grande animatone gli soffiò all’orecchio e gli si girò intorno come un filo sottile, in giri e giri di fili di bava che si pietrificava, come filamenti di una conchiglia che andavano e venivano con gli echi della sua animazione misteriosa e immensa. Se lo immaginò così, lo scill’e cariddi, con una sensazione fisica strana di disorientamento, come non lo ricordasse più come e dove era o come non fosse più, a causa di qualche nuovo, nuovo e ogni volta sempre peggio, terremoto, o più precisamente terremaremoto, dove e come lui lo ricordava, un animatone sgomentevole che col suo squasso di respiro occupava ogni tenebre, passaggio, apertura o spiraglio, tra lì e l’isola.”
“… circa alla stessa ora in cui 'Ndria tornava di tanto lontano alla 'Ricchia, a qualche miglio da lì, in Tirreno, nelle profondità della mezzeria dello scill'e cariddi, dove poggiava sommerso nella lava fredda e nera del suo sonno, un gigantesco, misterioso, inimmaginabile animale, cominciava la poderosa operazione del suo risveglio e riassommamento.”
“… Era l'Orca, quella che dà morte, mentre lei passa per immortale: lei, la Morte marina, sarebbe a dire la Morte in una parola.”
Da parte mia resto convinto che gli studenti liceali dell’anno 3000, nella loro formazione di letteratura italiana dovranno leggere accanto alla “Divina Commedia” di Dante Alighieri ed ai “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, anche “Orcynus Orca” di Stefano D’Arrigo.

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