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L’ Intervista: Patricia Arnò, Direttrice Della Dante Alighieri Di Rio De Janeiro"

La «Dante Alighieri» ha lo scopo di tutelare e diffondere la lingua e la
cultura italiana nel mondo, tenendo alto dovunque il sentimento
d'italianità, ravvivando i legami spirituali dei connazionali all'estero con
la madre patria e alimentando tra gli stranieri l'amore e il culto per la
civiltà italiana.”

Con queste semplici ed esaustive parole, tratte dallo statuto della Dante
Alighieri, si sintetizza chiaramente la finalitá dell'associazione.
La Dante Alighieri nacque ufficialmente con la firma del Regio Decreto del
18 lugio 1893. Attraverso il XX secolo si consacró come l'Istituzione di
lingua e cultura italiana piú prestigiosa del mondo.
I comitati della Dante Alighieri sono sempre stati visti come una
istituzione indipendente dai vari governi che si sono susseguiti in Patria,
rappresentando per la comunitá italiana la stella polare dell'italianitá.

La Dante Alighieri é presente in Brasile con 11 sedi, proponendo incontri,
corsi di lingua e conferenze il tutto onorando lo scopo statutario sopra
citato.

Da poco tempo la Dante Alighieri di Rio de Janeiro ha ripreso le proprie
attivitá sotto la guida dell'avvocatessa Patrícia Arnó che, attraverso
l'intervista, fará conoscere un po' del suo impegno e delle aspirazioni
della Dante di Rio.

1) Da quanto tempo la Dante Alighieri é tornata ad esser operativa in
Rio de Janeiro?

La nuova Dante Alighieri Rio di Janeiro ha compiuto appena un anno, siamo
ancora agli inizi ma ce la mettiamo tutta per essere da subito degni
rappresentanti della piú grande istituzione della lingua e della cultura
italiane nel mondo.

2) Sintetizzi in poche parole la missione della Dante Alighieri ed il
suo personale impegno, come presidente, per la diffusione della lingua e
cultura italiana.

Per rappresentare la Dante Alighieri nel mondo é necessario essere dei
missionari nel vero senso della parola. Bisogna prima di tutto amare
visceralmente la nostra cultura per poterla diffondere adeguatamente nel
territorio in cui operiamo. Non dobbiamo temere le difficoltá economiche che
frequentemente ostacolano il nostro lavoro, il nostro é un lavoro di
volontariato, di amore e di riconoscenza verso la terra che ci ha dato i
natali e alla quale ci inorgogliamo di appartenere. Personalmente io
interpreto il mio lavoro come un segno di amore che nutro per l´Italia, il
mio contributo sará infimo paragonato a quello di molti nostri connazionali
famosi ma per me ha molto valore. Ritengo dal mio punto di vista che la
semplice riconoscenza della gente spesso umile, mi riferisco al periodo di
due anni in cui ho insegnato gratuitamente italiano ai bambini del Collegio
Anchieta di N.Friburgo, mi gratifichi appieno dei sacrifici affrontati
durante l´insegnamento e ció mi rende felice.

3) Parlando di cultura italiana in generale, cosa potrebbe fare la
comunitá italiana in Brasile ed il Governo Italiano (anche attraverso le
regioni), per promuovere serie iniziative voltate ad incentivare le ultime
generazioni a mantenere il legame con le origini?

La comunitá italiana sarebbe beneficiaria delle iniziative che il Governo
Italiano o le Regioni potrebbero intraprendere a favore dei nostri
connazionali in Brasile.Ora vediamo un pó quali potrebbero essere queste
iniziative. Iniziare un dialogo diretto con Le Societá Dante Alighieri in
Brasile e con analoghe Istituzioni di prestigio al fine di realizzare una
serie di congressi culturali in cui possano essere dibattuti e superati i
problemi di fondo della diffusione in chiave moderna della nostra cultura in
Brasile; creare una Scuola Italiana in collaborazione con qualche
prestigiosa Universitá locale; realizzare fiere culturali, gastronomiche e
commerciali; istituire delle commissioni permanenti di collegamento tra i
nostri connazionali (di ultima generazione) e il Ministero degli Esteri o le
Regioni (il rapporto speciale e diretto non puó essere sostituito da nessuna
entitá governativa) e non ultimo incentivare seriamente la stampa italiana
in Brasile, quella che merita naturalmente, sia cartacea che online. Insomma
ci sarebbero molte cose da fare per rafforzare i legami tra l´Italia e gli
oriundi e con investimenti minimi perché, ricordiamo, c´é ancora gente che
lavora onestamente, con passione e senza tanta burocrazia!

4) Secondo Lei sará possibile che Rio de Janeiro abbia nuovamente, in
un futuro prossimo, una scuola italiana?

Questo é il dulcis in fundo. Ho toccato l´argomento rispondendo alla terza
domanda senza aver letto ancora la quarta.
Si é possibile, dico é possibile perché é un desiderio non solo mio ma di
tutta la comunitá di ultima generazione, intendo quella che é interessata
alla nostra cultura, alla nostra storia, alle nostre tradizioni e perché no
alla moda, alla nostra creativitá e a tutto quello che il mondo ci invidia.
Quella che infine sarebbe orgogliosa di poter dire: “i miei figli hanno
studiato alla Scuola Italiana…” Mio marito l´Avv. Giuseppe Arnó,
presidente del Comitato DA di Nova Friburgo, tanto per citare uno di casa,
non si stanca di difendere la “necessita” della creazione della Scuola
Italiana, propugna l´idea da tempo presso tutte le autoritá competenti e
chissá se Governo e/o qualche patriottica Regione volessero rompere il
ghiaccio…sarebbe la realizzazione di un sogno!

Ringrazio la direttrice a nome dei lettori sottolineando che il sogno della
SCUOLA ITALIANA é un miraggio comune a molti italiani in Rio de Janeiro.
Direi di piú, é una necessitá fondamentale per la comunitá italiana che vive
in un paese come il Brasile, dove l'istruzione pubblica é improponibile a
giovani italiani e dove quella privata, oltre ad esser molto cara, segue un
modello educativo all'americana – sintetico, professionalizzante e incapace
di offrire una adeguata apertura mentale.-

Marco Stella
Lombardi Nel Mondo

www.lombardinelmondo.org

L' intervista: Matteo Viola, Salvador di BahiaMATTEO VIOLA, milanese nato a
Bergamo, nel '65, nella residenza di famiglia che il nonno, residente a
Milano, aveva mantenuto. La villa ed il mulino erano stati costruiti dal
bisnonno materno, Romeo.

“Nel passaggio dell'anteguerra al dopo guerra, il valore delle cose subì un
cambiamento tutt'altro che marginale”, racconta Matteo: “La terra agricola
non valeva molto più di prima ma, nel primo dopoguerra, quando la terra
venne valutata come edificabile, il valore crebbe spropositatamente”. Il
nonno, laureato in medicina, vendette questa terra agli speculatori che
compravano durante gli anni '50, ma riferendosi ai valori degli anni '30; di
quella vendita, rimase la villa di famiglia circondata dalla vigna e dal
bosco di castagni.
Il nonno paterno, anch'egli residente a Milano, era di origine napoletana
con ascendenze calabresi. Laureato in ingegneria, si trasferì a Milano per
via della crisi economica che sembrava risanare gli stili di vita con
maggiore probabilità al nord, rispetto che al sud.

Una famiglia borghese; una di quelle politicamente attive ed intellettuali,
frequentata da quei personaggi che hanno contribuito alla fomazione
culturale di Matteo che, da 17 anni, vive a Salvador di Bahia, in un
paradiso di favela, l'Alto da Sereia: una comunità pacifica e multicolore,
dove è parte dei leader comunitari. Per scrivere e leggere di lui, come
merita, ascoltate una Samba o una Bossa Nova (Voce Nuova)…

D- MATTEO, COME SEI ARRIVATO IN BRASILE?
R- A 15 anni avevo ben chiaro che a Milano non avrei voluto vivere; 12 anni
ci son voluti, per scegliere la destinazione ed organizzare il viaggio;
così, a 27 anni partii per Bahia con un biglietto sola andata. Era l'ottobre
del '92.
12 anni son serviti anche per preparare lo svincolamento che, nella realtà,
s'è strutturato poco per volta.

D- LA STORIA DI UN FAMIGLIA ITALIANA STORICO-BORGHESE…
R – La frattura dallo “stile” iniziò già con i miei genitori, che si
ribellarono, per così dire, a quello status-quo culturale, già prima del
'68. Fenomeno sociale che non dipende dalle epoche storiche: è inevitabile
che chi studia abbia maggiore possibilità di acquisire una coscienza
politica; i figli di borghesi che avevano la sopravvivenza garantita, si
preoccupavano di questioni che erano ben lontane da quei bisogni primari di
cui, invece, in molti si preoccupavano ancora. Ad esempio, nello Stato di
Espirito Santo, dove il 75% sono discendenti di italiani, a cavallo dell'800
un trentino comprò una quantità di terra eccezionale e, per lavorarla,
scelse di impiegare soltanto italiani contadini delle sue parti, per ragioni
pratiche legate alla loro competenza nel settore. Infatti lì ci sono posti
come Colatina, un paesino di 5000 abitanti in cui esiste un Circolo
Triveneto. Solo la terza generazione si è occupata di cercare i corsi di
italiano; mentre la prima generazione ha dovuto solo lavorare e la seconda
si è aperta il conto in banca, la terza s'è potuto occupare di soddisfare i
propri interessi culturali. È da questa terza “generazione” italiana, che io
provengo; da militanti politici italiani che hanno manifestato le loro
opinioni di fronte allo status quo dell'epoca. Mia cugina, ad esempio, aveva
partecipato al movimento radicale che rivendicava la legalizzazione della
marijuana e i diritti dei transessuali; in seguito studiò legge,
integrandosi socialmente come avvocato. “Come conciliare queste due cose”,
le chiesi. “Io sono una borghese e in questo mi riconosco, malgrado il
resto”, rispose. Quindi la sua adolescenza, vissuta durante gli anni
settanta, non s'è poi concretizzata in maniera sostenibile e, nel tempo, ha
invece continuato a “fare la borghese”: quando ha fatto i conti, ha avuto
paura di svincolarsi dal quel mondo. Invece io sono stato spinto fin
dall'infanzia alla critica verso il sistema e questo non mi ha reso certo le
cose più semplici, perchè ero diverso dagli altri; ero, cioè, diverso da
quelli in mezzo ai quali vivevo. Ad ogni modo, è ciò che sono.

D- OGGI VIVI IN BRASILE DA QUASI 18 ANNI: LA SENTI ANCORA, RICONOSCI COME
PARTE DI TE QUELLA RIBELLIONE CHE TI HANNO TRASMESSO?
R- Sicuramente. Considera che mio padre, architetto milanese, nel '75 emigrò
in un piccolo paesino della Calabria, quando la gente emigrava dalla
Calabria a Milano. Decise di andare ad insegnare lì e il paese è cosi
piccolo che, generalmente, i professori vengono tutti da fuori; lui è
l'unico insegnante che ci abita, per cui tutti lo chiamano “'O professo'”.
Vive tutt'ora lì.

D – COSA PENSI DEGLI ITALIANI IN BRASILE?
R- Ci sono esempi come il mio calzolaio, che emigrò durante gli anni '50 in
nave, e che oggi è in pensione: pensa, è originario del paese a fianco di
quello in cui vive mio padre. Quando gliel'ho detto, si è commosso. Parla il
portoghese con un'accento calabrese pesantissimo. Lui è uno degli emigrati
“veri”. C'è poi un'altra generazione, quella dei “movimenti” degli anni '70:
molti se ne sono andati per motivi giudiziari, altri per disintossicarsi
dalla dipendenza da eroina. Oggi invece c'è questa nuova “migrazione”, di
cui io mi sento un pò un rappresentante, di gente che cerca un'altra qualità
di vita.
Categoria della quale probabilmente fai parte anche tu, Antonella, se non
sbaglio.

Quando sono partito dall'Italia, nel '92, erano gli anni in cui cominciavano
ad arrivare le navi cariche di albanesi, di cui ricordo le immagini, quando
in Italia era ancora un fenomeno emergente, io ricordo proprio la sensazione
fisica di questi milioni di persone che facevano pressione contro le sbarre
di una gabbia dorata della quale io facevo invece parte, e pensavo: “Io
occupo un posto al quale… non tengo per niente!”; un pò come cedere il
posto sull'autobus, dicendo “Prego, accomodati. Io scendo qui”. Con quel
posto lì, poi, ti ci devi identificare e io non volevo condividere quella
pressione. Invece volevo confrontarmi con quel che la vita è veramente,
perchè in Europa si vive in una condizione illusoria, costruita. Ad esempio,
io ho ricevuto un'educazione disinibitoria. Pensare che, quando si viveva in
campagna, i bambini assistevano all'accoppiamento degli animali come
qualcosa di naturale, come parte della natura. Oggi si deve fare educazione
sessuale a quei bambini, come quelli milanesi, ad esempio, che vivono in
appartamento e che spesso non hanno nemmeno un animale domestico e non
conoscono nulla della natura; poi devono tornare ad impararla. Ecco che la
grande metropoli tutta sviluppo e cemento, disumanizza.

D- COSA NE PENSI DI QUEST'ULTIMA GENERAZIONE CHE SCEGLIE DI VIVERE
ALL'ESTERO PER OTTENERE UNA MIGLIORE QUALITÀ DI VITA? CHE OPINIONE HAI DELLA
LORO ETICA?

R- Mah, ad esempio, io scelsi di partire abbandonando quella mentalità;
avevo scelto di abbandonare quella visione del mondo. Ad ogni modo qui me ne
sono dovuto ricostruire una di nuova. Dopo la stabilizzazione dell'economia,
attorno al '95, ad esempio, anche qui si verificò quel fenomeno per il quale
i ragazzi, in particolare quelli del nord Italia, partivano per un viaggio
verso un PVS e con il loro spirito “imprenditoriale” compravano e aprivano
attività private all'estero.
La Lombardia è la seconda regione del mondo per densità imprenditoriale:
abbiamo un'impresa per ogni 80 abitanti.
Però il milanese che apre il baretto a Bali, piuttosto che a Bahia, fallisce
la maggior parte delle volte, proprio perchè porta con sè tutto quel
retaggio culturale che non può implemetare nel posto in cui sta arrivando.
Poca antropologia, poca filosofia, scarsissima visione globale. Io mi rendo
conto della difficoltà di mettere in discussione la propria visione del
mondo, scavare dentro di sè; aprire uno spazio per accogliere e vedere
quello che incontri. Conosco gente che vive qui da tanti anni, e ancora se
la prende per cose che qui sono normali; si lamenta, ha sempre da ridire…
e non impara nemmeno bene la lingua brasiliana; “Ah, ma guarda come fanno
male questa cosa”, dicono, anzichè chiedersi: “Chissà perchè la fanno
così?”.
Considera che, in particolare qui a Bahia, la storia risale a 500 anni fa;
la popolazione afro-discendente che rappresenta la più alta percentuale dei
baiani, non ha mai ottenuto un riconoscimento del proprio status di origine,
di cittadinanza; vivono una frammentazione dell'identità, il che si
trasforma in una profonda insicurezza; un'insicurezza che mascherano con un
orgoglio costantemene manifestato e un nazionalismo o regionalismo ostentato
ma privo di sostanza.
In realtà, il vero problema, è che “noi europei” siamo la prima civiltà al
mondo che non possiede una cosmogonia propria.

D- NELLE ISTITUZIONI ITALIANE DI BAHIA HAI RISCONTRATO UN APPOGGIO CONCRETO?
R – Personalmente, non ho mai cercato questo tipo di appoggio. Ho
riscontrato una certa obsolescenza, che si rivela, per esempio, nei criteri
che le circoscrizioni consolari seguono e che sono antiquati rispetto alle
esigenze attuali.
Ad ogni modo sono sicuramente più attive nelle metropoli brasiliane del sud,
anche perchè la maggior parte degli immigrati storici italiani se n'è andata
da Bahia. Comunque, il nostro Consolato di riferimento è a Rio, a 2.000 km
da qui. La sensazione è che non accompagnino comunque i cambiamenti sociali;
del resto, l'Italia è risaputamente un paese conservatore e questa realtà
riflette lo standard delle istituzioni italiane.

D-FREQUENTI GLI ITALIANI QUA A BAHIA?
R – Italiani non ne frequento quasi per nulla, credo per scelta; del resto
mi sono lasciato alle spalle una forma culturale che non rinnego, ma nella
quale non mi riconosco.

D – QUALE CREDI SIA IL LIVELLO DI CONOSCENZA DEI DISCENDENTI DEGLI ITALIANI?
R – Dipende molto dalla zona. In Argentina, in genere, conoscono
perfettamente le loro regioni di provenienza. In Nuovo Cinema Paradiso,
invece, è ben espressa l'idea dell'emigrazione da una terra maledetta dalla
quale si partiva ed era meglio non guardarsi indietro. La nostalgia restava,
ma bisognava solo guardare avanti. In Brasile la necessità numero uno era
comunque quella di integrarsi, di non essere il diverso e quindi l'escluso.
Non praticavano nemmeno la lingua, perchè era molto più importante
integrarsi.

D- SE L'ITALIA FOSSE UN COLORE, CHE COLORE SAREBBE PER TE?
R – Verde

D- E IL BRASILE, INVECE?
R – Un colore intenso, scuro; un marrone, direi.

D- SE IL BRASILE E L'ITALIA FOSSERO UN PIATTO UNICO, COSA CI SAREBBE?
R – Abbiamo moltissime cose in comune: sarebbero i frutti di mare.

Grazie Matteo, delle tue parole; grazie per essere esemplare sano e concreto
del più gran coraggio di cui, spesso, ci sia veramente bisogno: il coraggio
di scegliere. Grazie per avermi svelato la storia dei mancini….
Levo comigo a bahianidade da tua mulher linda e do nosso Morro, molhado do
mar que ainda nos separa.
O maior beijo para todas as crianças.

Antonella De Bonis
Portale dei Lombardi nel Mondo

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