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L’aggressione a Berlusconi e l’ineccepibile posizione di Di Pietro

di Angelo d'Orsi

Si potrebbe almanaccare a lungo sul valore simbolico di quel gadget a forma di duomo di Milano (se le testimonianze riferite dicono il vero) scagliato sul volto dell’uomo che dalla Madunina ha cominciato il suo viaggio verso il potere. O meglio, l’onnipotenza. Un volto che artifici cosmetici e chirurgici vorrebbero conservare intatto nel tempo, e che in un attimo viene prostrato dal sangue che copioso sgorga dalla ferita. E il sovrumano rientra nei limiti dell’umano.

Un cavalletto prima, il duomo in miniatura ora – con danni evidenti, stavolta – hanno dimostrato, insomma, che non c’è onnipotenza che tenga. Tutti siamo vulnerabili, anche i capi supremi, anche nelle città poste sotto assedio, nei treni blindati, negli aerei sorvegliati e protetti. E dunque perché gridare allo scandalo se un tale – uno non proprio con tutti i venerdi – aggredisce il simulacro del potere? Quanti capi di Stato e di governo, quante personalità pubbliche sono stati colpiti, talora a morte, e in qualche caso mai si è avuto notizia degli autori delle aggressioni?

E, soprattutto, perché gridare allo scandalo se un uomo politico – in questo caso Antonio Di Pietro, che ha il pregio di dire talora ad alta voce, magari in modo non forbito, o persino sgangherato, quello che altri sussurrano – ha commentato condannando il gesto, ma ricordando il ruolo di fomentatore di discordie del nostro presidente del Consiglio? Non abbiamo forse imparato che chi semina vento raccoglie tempesta? E invece ecco il coro dei laudatores che si prostrano, si strappano i capelli, si lacerano le vesti, e piangono il capo caduto. E, naturalmente, subito rialzatosi, a dimostrazione delle sue qualità eccezionali, che nei giorni scorsi aveva vantato.

Insomma, si può dar torto a Di Pietro? Come invece tutti stanno facendo, ostentando scandalo. Basti riascoltare il tono, prima ancora che i contenuti, dell’ultimo comizio del cavaliere, in quella piazza Duomo che egli ha il torto di considerare “sua” come “sua” è la città, e “suo” è il “popolo delle libertà”. E la giostra di un grottesco servidorame, nella livrea ora di parlamentari, ora di giornalisti, è immediatamente partita. E già v’è chi ha invocato le leggi speciali. Come con gli attentati a Mussolini, come con ogni provocazione: a cominciare dalle bombe di Piazza Fontana di quarant’anni or sono, che ancora attendono verità e giustizia, dietro le frasi rituali, e nel fatale oblio che sta coprendo quella strage.

Ora, “l’attentato” al nuovo duce (il signor Bossi ha parlato senza pudore di “terrorismo”), che cosa dovrebbe comportare? I campi di concentramento, per chi osi ancora dire qualcosa di poco encomiastico sul cavaliere? Il confino di polizia? E dimenticheremo, sotto la maschera improvvisamente da ridanciana divenuta tragica, le nefandezze dette nei giorni scorsi da quest’uomo che si crede Napoleone, e Cesare, e Augusto, e Cristo stesso?

Già, l’onnipotenza. La sindrome dell’onnipotenza, ha da tempo colpito l’uomo che sta guidando la nave Italia verso il suo iceberg, nell’afasia o nel mesto balbettio di quasi tutta l’Opposizione, e nel disinteresse di gran parte del Paese. Che dimentica che quell’uomo è Silvio Berlusconi, già membro della Loggia segreta o deviata “P2”, guidata dal Maestro Venerabile Licio Gelli, il cui programma di “rinascita” per l’Italia è stato sostanzialmente posto in essere, per quello che gli è riuscito finora. Un uomo, la cui fortuna finanziaria si perde ormai nei decenni alle nostre spalle e puzza di marcio. Il cavalier Berlusconi, tra Craxi e amicizie di mafia, tra fidi scudieri e giornalisti conniventi, si è insignorito del controllo del Paese, nella sostanziale indifferenza, quando non complicità di larga parte degli opinion makers.

Si dirà: mica siamo alle barricate. No. Non ancora, forse. Ma siamo di sicuro all’emergenza nazionale. Che ci costringe a ergerci, nella modestia delle nostre forze, ma nella nostra ferma volontà, a difesa dei princìpi di legalità – quelli minimi, già piuttosto scarsi – nella vita pubblica. Ci obbliga a porci a tutela delle istituzioni di garanzia, davanti all’uscio del Quirinale (anche se ne abbiamo criticato talora le esitazioni), dinnanzi al Palazzo dei Marescialli (sede della Corte Costituzionale), e, idealmente, davanti a ogni procura della Repubblica a ogni Tribunale, o Corte d’Assise tra le tante, sparse e disfunzionanti, in quanto vengono loro negati i fondi minimi necessari per funzionare: per potere poi dire che i magistrati non lavorano, e che la giustizia va a rilento, e dunque occorre “abbreviare” e “velocizzare” i processi, mettendo in libertà i delinquenti, a cominciare dai delinquenti potenti, ma lasciando marcire in carcere gli immigrati, il cui “reato” di clandestinità evidentemente è considerato socialmente assai più pericoloso del falso in bilancio, o delle omesse o infedeli dichiarazioni dei redditi.

Ebbene, il silenzio della gran parte degli opinionisti o il loro afasico cerchiobottismo sconcerta. Ora, “l’attentato” li toglierà dall’imbarazzo. Potranno parlare. Ma parleranno per la “vittima”. E deprecheranno il clima di violenza. E saranno evocati gli anni di piombo e così via. Qualcuno, invece, oserà ricordare le responsabilità del cavaliere e dei suoi giannizzeri? Si pensi alle scandalose performance televisive degli Sgarbi o dei Ghedini, dei La Russa o dei Gasparri, dei Belpietro e delle Santanché (finalmente tornata fresca fresca sotto l’ala protettiva del padrone)…

E come possiamo non ricordare certe uscite che hanno fatto il giro del mondo? Un presidente del Consiglio che dichiara di essere il migliore della storia nazionale; europea; mondiale; o che lui ha fatto contro la mafia (!) quello che nessun altro ha fatto (in effetti…). E come possiamo dimenticare il disgusto di aver sentito un manutengolo del Cavaliere, piduista come il suo capo, tale Cicchitto (già socialista “lombardiano”!!), che si è spinto a paragonarlo nientedimeno che a Piero Calamandrei?

Dobbiamo attenderci, dopo “l’attentato” con il miniduomo, il confronto, ovviamente vincente per il Cavaliere, con i martiri dell’antifascismo? Del resto chi ha osato dargli del matto furioso quando questo bel tomo si è permesso di dare dei malati di mente ai magistrati italiani?

Quando, in definitiva, l’Opposizione proverà a unirsi e a chiedere l’impeachment per quest’uomo – oggi vestito con il bianco mantello dell’innocente che è stato miracolato dalla Divina Provvidenza (così egli stesso ha avviato la costruzione mitopoietica dell’episodio) – che sta compiendo ogni giorno un attentato alle basi stesse del sistema liberale?

Angelo d'Orsi

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