Gli apologeti del regime: chi non lo ama è un cattivo maestro

Clima avvelenato. Campagna di odio. Si è scatenata la retorica mediatica. L’obbiettivo è chiaro: attribuire il gesto sconsiderato di una persona affetta da disturbi mentali a chi ha mantenuto fermo il principio della critica più severa all’operato del governo e del suo presidente.

Chi ha criticato le leggi ad personam, la promozione di interessi privati a danno di quello pubblico, la fuga dai processi, l’invenzione di processi brevi che, una volta morti, non daranno giustizia a decine di migliaia di parti lese; chi ha denunciato il dominio sempre più stringente del monopolista privato sulle reti pubbliche; chi non si è stancato di ricordare che per qualche anno si era tenuto in casa un capo mafioso riaccogliendolo anche dopo arresti e scarcerazioni; chi ha sostenuto che l’utilizzatore finale delle donne a pagamento nelle sue residenze non avrebbe più potuto organizzare un “Family Day”; chi si prepara a documentare quanto utile personale potrà ricavare dallo scudo fiscale; chi infine ha sempre sostenuto che in una qualsiasi democrazia normale è impossibile che il proprietario dei principali mezzi di comunicazione possa stare al vertice del potere politico: tutti costoro sono cattivi maestri, orchestratori della campagna di odio. Su di loro deve ricadere la condanna inappellabile dei buoni. Un genio dell’orchestra di regime arriva a dare la dimostrazione: c’è stato perfino il No B. Day!!

Capite? Organizzare una manifestazione, che più grandiosa e allo stesso tempo tranquilla e pacifica non avrebbe potuto essere, significa essere corresponsabili di un atto che oggi l’autore stesso confessa prontamente come vigliacco e inconsulto. Sarebbe elementare per chiunque non sia schiavo di un preconcetto originario capire e dimostrare che si tratta di fenomeni opposti. Invece no: il conformismo imperante obbliga all’atto di contrizione e segna a dito chi non si adegua. Capita così che anche una mente satirica intelligente e simpatica come Elle Kappa indulga a rimbrottare Di Pietro per aver ricordato l’innegabile contributo personale di Berlusconi alle campagne di odio.

Ma perché poi in politica si dovrebbe ragionare di odio e amore? Già accettare lo schema non è soggiacere a una logica plebiscitaria? Si può capire che a Berlusconi venga facile: perfino quando visita i suoi amici dittatori il suo tributo principale è sostenere che sono tanto amati dai loro popoli.
A questo si ridurrebbe la rappresentanza politica: affatturarsi un popolo, come dice Cordero, con lo schermo televisivo, farsi eleggere e infine farsi amare.

Lui pretende di essere amato. Vede comunisti perfino in Famiglia Cristiana, vuole imbavagliare la magistratura, progetta di sventrare la Costituzione, dei giudici della Consulta sopporta solo quelli che lo invitano a cena, su tutti gli altri getta anatemi, i Presidenti della Repubblica sono sospetti perché “di sinistra”, gli italiani che non votano per lui (la maggioranza degli italiani, al contrario di ciò che ripete abitualmente) sono coglioni. Ma pretende di essere amato. Dai suoi vuole essere adorato. Dagli altri, anche dai coglioni, pretende di essere amato.

Nella sua Milano (registrate quanta insistenza: nella sua Milano) il tiratore disturbato apre una falla nella sua logica e mostra, a meno che non finga, la sua ingenuità. Potrebbe considerarlo un caso singolo e irripetibile, invece no: vuole vedervi una ratio più vasta. Ma se il lanciatore è punta estrema di un’ostilità collettiva, allora si apre il problema angoscioso: perché non tutti lo amano? Non gli viene il dubbio che qualcuno possa non amarlo perché impoverisce la scuola pubblica e privatizza l’acqua. E qui attenzione. Per gli apologeti di regime, non può esserci spiegazione razionale. Poiché è impossibile non amarlo, chi non lo ama è preda di una devianza inesplicabile. Fanatismo, misantropia? Chissà.

Nel cammino irresistibile verso il peggio, questa melassa dolciastra dell’amore coatto per il capo fa venire la nostalgia dei vecchi politici ancora incardinati alla freddezza machiavellica. Sospettavano di chi esibiva di amarli. Con insuperata saggezza preferivano essere temuti e, con ghigni di autentica soddisfazione, accettavano il segno estremo del potere: essere odiati.

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