Massimo Riva: Il memoriale di Paolo Baffi

Trent'anni dal drammatico attacco all'indipendenza della Banca d'Italia

Introduce Massimo Dary, Segretario Responsabile S.I.B.C.
Ringraziamo Marco Travaglio per il suo ampio excursus, che ci ha tenuto col fiato sospeso. Massimo Riva è un editorialista di Repubblica e dell'Espresso. Riva è il giornalista al quale il governatore Paolo Baffi affidò il proprio memoriale drammatico di quei giorni del 1979. Baffi chiese che venisse pubblicato postumo. Venne dato alle stampe con una splendida, intensa introduzione di Massimo Riva su Panorama, nel 1989. Ora il dottor Riva ci darà la sua lettura dei fatti. Sarebbe bello se il suo intervento ci aiutasse a darci risposta ad una domanda. La domanda nasce da un articolo che Riva stesso scrisse nel 1979, sul Corriere della Sera, a proposito dell'arresto di Sarcinelli. Rifletteva Massimo Riva: “Michele Sindona ha regalato al Paese una bancarotta per qualche centinaio di miliardi e se ne sta indisturbato in un grande albergo di New York. Ma Mario Sarcinelli, che si è impegnato nello smascherare i trucchi dei banchieri d'assalto, è finito dentro un carcere”. E' questa dicotomia di situazioni la vera morale della storia, o trenta anni l'hanno modificata?

Il memoriale di Paolo Baffi

di MASSIMO RIVA – Editorialista de “la Repubblica” e “l’Espresso”

E’ così. Sindona se ne stava a New York – dopo per fortuna le cose sono andate diversamente – in un bell’albergo di Manhattan e invece Sarcinelli è finito in carcere. Per rispondere a questa domanda, però, vorrei fare qualche riflessione di ordine generale, in primo luogo partendo proprio dalla figura di Paolo Baffi.

Paolo Baffi è stato un uomo al contempo straordinario e del tutto normale. Non sta a me, che non ho alle spalle una conoscenza scientifica sufficiente e adeguata, ricordare la sua grande sapienza economica. Però questa è un dato di fatto che ha segnato tutta la sua vita. Era un grande esperto soprattutto di economia monetaria, allievo di Mortara, interlocutore assiduo di Luigi Einaudi e autore di testi di primaria importanza. Da questo punto di vista fu veramente un uomo straordinario. Accade, a volte, che i destini degli uomini vengano segnati proprio dalle loro scelte culturali. Nel senso che lui fu l’uomo che, formatosi su questo tipo di studi – e proprio nel bel mezzo della bufera che si stava allora scatenando attorno alla Banca d’Italia sotto la pressione del potere politico di quel momento – lui fu l’uomo che quello stesso potere politico che cercava di emarginarlo scelse per fargli rappresentare gli interessi fondamentali del Paese nella trattativa sul Sistema Monetario Europeo. Fu delegato a lui, semplice governatore della Banca Centrale, il negoziato diretto con i due principali interlocutori internazionali, il presidente francese Giscard D’Estaing e soprattutto il cancelliere tedesco di allora Helmut Schmidt. Ed è proprio con Schmidt che Paolo Baffi ottenne per il Paese quella clausola di salvaguardia, la cosiddetta “banda più larga” che ci consentì allora di entrare, potendoci stare, nel Sistema Monetario Europeo. Primo ed essenziale passo di quel cammino ulteriore che poi portò al nostro ingresso nell’euro.

Insomma, il potere politico era del tutto assente da questo passaggio fondamentale per la storia del Paese, mentre era presente – presentissimo – in quegli stessi mesi, per quanto riguardava vicende di affari privati e personali. Quelli dei fratelli Caltagirone, per esempio. Quelli di Sindona, successivamente. Travaglio poco fa ha rammentato a tutti noi l’episodio dei giudici costituzionali che si sono intrattenuti in una gaia cena con la persona su cui poi avrebbero dovuto pronunciarsi – o meglio, sulla legge che copriva quella stessa persona: mi avete capito. C’è un episodio simile – mai smentito – nella testimonianza del memoriale Baffi. Il sottosegretario Evangelisti convoca Sarcinelli a Palazzo Chigi e, dopo avergli fatto inutile e vana pressione per la sistemazione delle vicende dei fratelli Caltagirone, glieli fa trovare tutti e tre belli schierati davanti, così realizzando una commistione di affari pubblici e privati che, purtroppo, a distanza di trent’anni devo dire ritroviamo sotto i nostri occhi, seppure in forme diverse e con protagonisti differenti.

E questo secondo me è proprio ciò che rende di straordinaria attualità la testimonianza che esce dal memoriale di Paolo Baffi. Perché ci racconta uno spaccato d’Italia in uno stile, tra l’altro, estremamente asciutto, sobrio: solo fatti e poche, pochissime considerazioni, pochi, pochissimi aggettivi. Non possiamo non constatare il riproporsi nella storia del Paese di quello che Baffi chiamò allora il “coacervo politico-affaristico-giudiziario” che guidava il Paese in quel momento, anteponendo vicende di ordine privato e personale a quelle che erano le grandi questioni che pesavano sul Paese. Ho citato prima la vicenda dello SME, devo anche ricordare che le pressioni interno alla Banca d’Italia di Baffi e Sarcinelli iniziano ben prima del 1979, iniziano nel 1978 in un momento tragico per il Paese: il 1978 è l’anno del rapimento e poi dell’assassinio di Aldo Moro, quando chi governava il Paese avrebbe avuto vicende di ben più grave momento di cui occuparsi, che non quelle private che riguardavano i fratelli Caltagirone, Sindona, le prime avvisaglie di quello che sarebbe stato poi lo scandalo del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi.

Ma la nostra politica è fatta di queste cose, e da questo punto di vista devo dire ciò che più mi impressiona è proprio la ripetizione di questi comportamenti. Per questo prima in premessa vi dicevo che secondo me Paolo Baffi è stato un uomo straordinario e al tempo stesso normale. Straordinario per la sua riconosciuta autorevolezza in campo monetario, ma poi per altro normalissimo, nel senso che Paolo Baffi era un uomo che faceva semplicemente il suo mestiere. Lo faceva come va fatto, ed è questa la cosa che più fa riflettere. Baffi e Sarcinelli facevano uno il governatore, l’altro il capo della vigilanza semplicemente come simili compiti dovrebbero essere svolti in un Paese normale. Ne più né meno di come anche Ambrosoli faceva il liquidatore della Banca Privata. Eppure, ecco l’anomalia: le azioni normali, in questo Paese, tendono a diventare eroiche.

Ed è per questo che secondo me dovremmo riflettere a fondo, su come si è costruito un Paese in cui il servitore pubblico che si limita a fare quello che deve fare, deve diventare un eroe. E ciò perché troppo spesso il resto della comunità che gli sta intorno non riconosce l’esigenza di comportarsi in maniera normale. Questo mi sembra il punto più grave e più serio. Poi, per carità, siamo anche stati un Paese fortunato, non sempre declinante al peggio. Citavo prima la vicenda della trattativa Baffi-Schmidt sullo Sme, abbiamo avuto successivamente un altro Governatore di Banca d’Italia che, diventato Presidente del Consiglio e poi Ministro del Tesoro, è riuscito a trascinare il Paese, salvandolo da mimacciose derivee sudamericane, all’aggancio con il convoglio dell’euro fin dalla partenza. Al riguardo, non vorrei esagerare, ma sono convinto che fra non molti anni gli storici definiranno quel passaggio, quella scelta dello stesso peso di quella che un secolo prima venne fatta da Cavour con l’unità d’Italia. Perché la scelta dell’euro ha salvato non solo l’economia, ma anche l’unità del Paese – almeno per il momento. Ci sono, insomma, passaggi cruciali nei quali la storia si prende anche le sue vendette. Si pensi al caso di un altro precedente Governatore della Banca d’Italia che, da Ministro del Tesoro, prende per mano un Presidente del Consiglio come Andreotti e un ministro degli esteri come De Michelis, se li porta in Olanda e gli fa firmare un trattato che era la loro condanna a morte politica, la condanna a morte del loro sistema di potere. Perché avere firmato Maastricht, da parte dell’Italia, era ammettere dei vincoli internazionali incompatibili con la gestione interna del Paese com’era stata realizzata fino ad allora. E quindi anche in quel caso possiamo dire finalmente che la storia, ogni tanto, dopo mille sofferenze, qualche soddisfazione ce la dà.

Però quando ci si trova di fronte al ripetersi di comportamenti tali per cui l’interesse pubblico viene dimenticato e abbandonato, la nozione stessa di interesse pubblico non è più chiara. Anche questo, secondo me, è un altro aspetto allarmante della situazione attuale del Paese, nel senso che circolano un po’ troppe definizioni strumentali del pubblico interesse. Nel senso che tutti se ne riempiono la bocca, anche quando promuovono iniziative che con l’interesse pubblico proprio nulla hanno a che vedere. Poi sì, ogni tanto arriva una Corte Costituzionale che ricorda come, per esempio, l’iniziativa del Lodo Alfano non rientri negli interessi generali del Paese, anzi viola alcune regole fondamentali. Più spesso accade però che la nozione diventi estremamente confusa, che assistiamo ad una lotta politica che degenera e coinvolge nelle sue degenerazioni anche quelle poche isole di resistenza alla anormalità che ci sono. Vicende più recenti della Banca d’Italia hanno visto l’Istituto di emissione infiltrato da comportamenti che certamente non rientravano nella tradizione di correttezza della medesima Banca. Ma ne ha già parlato in maniera certo più brillante di me l’amico Travaglio.

Io sono grato – voglio ribadirlo – alla signora Baffi e ai suoi figli per aver a suo tempo superato qualche comprensibile problema di riservatezza e ad avermi dato l’autorizzazione a rendere pubblico il memoriale del loro congiunto. Perché è uno dei pochi testi di straordinaria limpidità da cui il lettore può ricavare proprio l’affresco delle cose che vi stavo dicendo. Io stavo dando delle definizioni astratte della commistione politica-affari-giustizia. Beh, chi legge e chi scorre queste pagine ha proprio l’affresco di questa situazione che si è creata nel Paese. Prima di venire qua, l’altro giorno, lo rileggevo come mi capita di fare qualche volta e la considerazione più triste è proprio quella che se si cambiano date, nomi e affari si potrebbe scrivere un altro memoriale di questo genere sulle vicende che purtroppo accadono tutti i giorni sotto i nostri occhi. Con qualche figura che invece sta semplicemente ripetendo la vecchia recita.

Sempre Travaglio citava, poco fa, il peso che mafia e P2 hanno avuto nelle vicende di allora e come oggi ritroviamo tuttora, nel teatrino della politica, soggetti che o portano il grembiulino, o portano una coppola mafiosa. Sono soggetti ancora in grado di manovrare complotti, congiure, attacchi in più direzioni. Ancora in grado quindi di distorcere dal suo retto cammino il lavoro dei normali – normali, insisto – servitori dello Stato.

E’ di moda, ultimamente, una frase che avrete sentito mille volte: dice che quando la storia si ripete diventa una farsa. E’ una frase di Marx. Ecco, sarà anche vero che tutto diventa una farsa, ma devo dire che di fronte a questa farsa personalmente non ci trovo proprio nulla, nulla da ridere. Anzi ne traggo motivo di estrema e maggiore preoccupazione (applausi).

Ne ricavo però anche una lezione, se volete piuttosto banale, che credo sia già nella testa di voi tutti, perché è proprio semplice: la libertà, la pulizia, la correttezza non sono mai date. Bisogna ricominciare a conquistarsele tutte le mattine. Penso si debba fare proprio così. Come ricordo, ci si diceva nei colloqui con Paolo Baffi, vale sempre la regola kantiana: fai ciò che devi, avvenga che può. Grazie. (applausi)

Lascia un commento

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy