Verso un partito di "Centro"

A Parma, con Rutelli e Tabacci

Sentiamoci partecipi di un progetto “per l'Italia”

di Livio Ghersi

Segno sulla mia agenda tascabile: Parma, 11 e 12 dicembre, Auditorium Niccolò Paganini. Sono la data e la sede di svolgimento della prima Assemblea Nazionale del Movimento Alleanza per l”Italia. Ho deciso di aderire e ci sarò. Perché? Le motivazioni soggettive di un “signor nessuno” quale io sono non rilevano. Può invece avere qualche rilevanza una adesione supportata da un ragionamento politico, potenzialmente condivisibile da settori più o meni ampi della pubblica opinione.

A differenza di quanti ritengono che la politica sia una cosa “sporca”, di cui bisogna sapere il minimo indispensabile per potere votare con qualche cognizione nelle varie consultazioni elettorali, sono sempre stato convinto che sia importante occuparsi attivamente di politica e cercare di conoscerne quanto più è possibile le reali dinamiche di funzionamento. Infatti la politica determina il concreto esercizio di due funzioni fondamentali del nostro vivere associato: la funzione di governo, che poi si traduce negli indirizzi adottati dalle pubbliche amministrazioni; e la funzione di rappresentanza del Popolo, che ha la sua più importante espressione nella potestà di approvare leggi, per tutta la comunità statuale, o per le singole Regioni.

Spesso, quando ci capita di entrare in relazione con apparati burocratici poco efficienti e poco rispettosi delle legittime aspettative dei cittadini-utenti, pensiamo che alla basa della disorganizzazione, della trascuratezza, del lassismo, della corruzione (anche questo è un aspetto, non secondario), di non pochi fra i pubblici impiegati, ci sia un difetto di volontà politica di chi ha la titolarità di governo di quella data pubblica amministrazione.

Il pubblico amministratore cui competerebbe indirizzare e controllare, sa bene come effettivamente funzionano le cose (perché non è cieco, né scemo), ma lascia correre, cioè consente che continuino ad andare nello stesso modo, anzi sempre peggio (perché il cattivo esempio è contagioso), salvo fare finta di sorprendersi e di indignarsi quando ogni tanto scoppia uno scandalo che cattura l”attenzione dell”opinione pubblica. Molto spesso la disorganizzazione è voluta da chi ha la titolarità del governo, proprio per lasciare campo libero agli interessi privati: dall”abusivismo edilizio, allo scempio dell”ambiente naturale, alla gestione truffaldina degli appalti pubblici, nulla sarebbe possibile (o almeno non nelle attuali proporzioni), se tutti gli apparati statali, regionali, e locali e tutte le pubbliche amministrazioni, adempissero le proprie funzioni in modo puntuale ed efficiente, secondo le rispettive competenze.

Si viene a sapere di un”importante opera pubblica, un ospedale, forse costruito con calcestruzzo “depotenziato”; si vede che in occasione di un terremoto crollano opere pubbliche in teoria costruite in cemento armato e, sempre in teoria, tali da rispettare le normative che specificano le caratteristiche delle costruzioni antisismiche. Si vede come un importante percorso autostradale, il cui completamento era atteso da anni e quindi è stato celebrato con grandi enfasi, richieda continuamente interventi di manutenzione straordinaria, quando non di consolidamento statico, già pochi mesi dopo l”inaugurazione. Tutto questo è normale? No, non lo è. Mancano forse puntuali disposizioni di legge che fissano compiti e responsabilità dei direttori dei lavori e dei collaudatori, nelle varie fasi e per i diversi lotti in cui è suddivisa l”opera? I capitolati di appalto omettono forse di indicare le più minute caratteristiche dei materiali da utilizzare, cosicché le ditte vincitrici dell”appalto (o titolari del subappalto) possano operare secondo la loro convenienza, o il loro capriccio? Ovviamente no.

Di disposizioni legislative e regolamentari in materia ce ne sono pure troppe. Ciò che fa difetto è la volontà politica di garantire che le opere pubbliche (ma lo stesso discorso vale per l”edilizia privata) siano costruite bene, anzi “a regola d”arte” come un tempo si diceva. Gli incarichi di collaudo sono affidati come si farebbe una regalia ad un amico: un”occasione di guadagnare denaro. Fermo restando che si tratta di un mero adempimento burocratico, un fatto cartaceo, quindi non bisogna fare troppo i difficili, cioè non si devono rompere le scatole. Il fatto è che a gran parte dei politici interessa soltanto che si appaltino opere, cosicché si movimenti denaro; poi se si realizzano opere effettivamente utili, o del tutto inutili, e se le opere durano nel tempo, o meno, sono questioni marginali, dettagli: “de minimis non curat praetor”.

Rispetto alle degenerazioni della politica, che producono il malgoverno che tocchiamo con mano, si possono assumere due diversi atteggiamenti: o l”invettiva contro il regime partitocratico, genericamente inteso, che sarebbe tutto marcio e quindi da combattere nella sua interezza; ma il ribellismo fine a sè stesso porta unicamente alla violenza e all”auto-distruzione. Oppure, la volontà di entrare nei partiti (ovviamente in quello che, in teoria, si sente più affine), e svolgere quotidiana azione di lobbying per il bene comune. Sarà pure vero che nel ceto politico “il migliore ha la rogna”, come dice un antico detto popolare, ma chi ha degli ideali e delle convinzioni profonde non può appagarsi di una condizione di purezza impotente, ma ha il dovere di contrastare faccendieri e malversatori impedendo che abbiano campo libero. Il primo obiettivo è quello di riattivare i meccanismi di selezione della classe politica; dobbiamo preoccuparci di selezionare uomini di governo che abbiano senso dello Stato, e rappresentanti del Popolo nelle istituzioni elettive che siano adeguati alla responsabilità che viene loro affidata. Per selezionare bene bisogna essere inseriti nei meccanismi che operano la selezione.

Francesco Rutelli, Bruno Tabacci e gli altri che coraggiosamente hanno deciso di fondare il Movimento Alleanza per l”Italia hanno chiaro che nel nostro Paese non è possibile ridurre il sistema politico a due soli partiti fra loro alternativi. Negli Stati Uniti ci sono due finti partiti; quello — per quanto mi riguarda — non è il modello da seguire. Certamente non è un modello dal punto di vista delle esigenze dell”etica pubblica: non basta che i finanziamenti ai candidati siano trasparenti, cioè conoscibili da tutti i cittadini interessati; resta la realtà che elezioni per la carica di Presidente degli Stati Uniti, o di Governatore di uno Stato, o di senatore, o di deputato, vengono a costare cifre che un cittadino comune fa fatica soltanto a concepire. Di conseguenza, quelle elezioni sono pesantemente condizionate dai gruppi di interesse organizzati che sono in grado di finanziare le campagne elettorali.

Oltre tutto, ci sono importanti scadenze elettorali ogni due anni; cioè i politici sono costantemente esposti alla febbre elettorale, quindi in condizione di estrema debolezza rispetto ai finanziatori che devono assicurare la loro rielezione.

Il Popolo italiano è per costume passionale, litigioso. Nel suo libro “Dante e il suo secolo”, così scrisse Indro Montanelli dell”imperatore Arrigo (cioè Enrico) VII di Lussemburgo, che in Italia trovò la morte nell”agosto del 1313: “non aveva capito che gl”italiani potevano rinunziare a tutto fuorché al piacere di dividersi in fazioni e di scannarsi tra loro”. Ad esempio, l”attuale Presidente del Consiglio è appunto un uomo passionale, che divide l”umanità in amici (tutti coloro che, con qualunque motivazione, sono disposti a sostenerlo) e nemici (quanti, in buona o cattiva fede, lo criticano). Però l”ideale di uomo di Stato che personalmente coltivo mi fa auspicare un Presidente del Consiglio che non si lasci accecare dalle passioni e dai risentimenti, ma sappia dominarli perché comprende che deve servire in primo luogo l”interesse generale. Che è l”interesse alla unità del Paese ed alla coesione sociale.

L”alternarsi di maggioranze diverse alla guida del Paese, con il conseguente ricambio dei governanti, può realizzarsi anche in un sistema politico non bipartitico. Secondo le tradizioni politiche italiane e in relazione all”articolazione delle famiglie politiche nel Parlamento Europeo, ritengo che almeno cinque o sei formazioni politiche diverse abbiano motivo di esistere e di essere presenti nelle Istituzioni rappresentative italiane, ai diversi livelli di rappresentanza. La loro contestuale e complessiva presenza serve per stabilizzare il sistema politico. Tra i partiti di cui, secondo me, c”è necessità, m”interessa soprattutto un partito “di Centro”, nell”accezione che a questo termine dava Benedetto Croce; ossia il “Centro” va inteso come luogo ideale in cui si coltivano la moderazione, l”amor di Patria, il senso dello Stato, il rispetto delle istituzioni, lo spirito civico, la capacità di ascoltare gli altri e di cooperare con loro. Spero che Alleanza per l”Italia sia partito “di Centro”, nel senso predetto. Ciò non significa immaginare un partito indifferente, che nella prassi parlamentare può, secondo convenienza, stringere alleanze ora a Sinistra, ora a Destra. Le alleanze nascono dalle condizioni storiche. Il partito dei liberali tedeschi, FDP, in tempi diversi fu alleato ora dei partiti moderati di ispirazione cristiana, CDU-CSU, ora del partito socialdemocratico, SPD. Attualmente sostiene l”attuale Cancelliere, l”ottima Angela Merkel.

Dal 1948 al 1992 in Italia si sono sperimentate soltanto quattro formule politiche: a) centrismo; b) centro-sinistra; c) solidarietà nazionale; d) pentapartito. Il Partito liberale italiano, PLI, creatura creata da Benedetto Croce e che, più o meno degnamente, tentò di incarnarne la tradizione politica, fu protagonista nei governi del centrismo, sostenendo lealmente De Gasperi; passò all”opposizione con l”avvento del centro-sinistra; fu tra i più critici avversari della solidarietà nazionale; ritornò ad assumere responsabilità di governo con il pentapartito.

Forma di governo parlamentare non significa libera contrattazione; un partito serio ha una propria linea politica ed accetta soltanto quelle alleanze che sono con essa compatibili. Affinché non ci siano equivoci, preciso che finché Silvio Berlusconi continuerà ad essere il leader incontrastato di uno schieramento politico e ad essere titolare della carica di vertice del Governo, un partito di Centro quale io lo concepisco resterà coerentemente e dignitosamente all”opposizione; non per pregiudizi di natura personale, ma per valutazioni di merito dell”operato politico e di governo. Per quanto direttamente mi riguarda, considero il berlusconismo sintomo evidente e concausa di una stagione di decadenza del Paese, dalla quale occorre uscire. Chiarito questo, è altrettanto chiaro che non auspico e non accetto la condizione di partito satellite del Partito Democratico.

Spero che Alleanza per l”Italia diventi il punto naturale di raccolta di quei liberali, repubblicani, cattolici-liberali, al momento privi di riferimenti partitici, o comunque in grave sofferenza. Non mi riferisco a tutti i liberali. Gli ultra-liberisti e, soprattutto, gli anarco-capitalisti restino pure in partiti di Destra, perché quello è il loro posto. Gli anticlericali in servizio permanente effettivo, quanti fanno della “secolarizzazione” un ideale ed un obiettivo politico, facciano il piacere di cercare altre collocazioni. A loro preferisco di gran lunga la Scuola cattolico-liberale che, secondo Francesco De Sanctis, va ricondotta ad Alessandro Manzoni. Per quanto attiene ai miei personali convincimenti, sono un laico interessato alla ricerca della verità, consapevole dell’importanza dei beni dello spirito, rispettoso del sentimento religioso. Non solo non auspico una società sempre più secolarizzata, ma al contrario sono contento di vedere Chiese aperte e di potere, di tanto in tanto, entrarvi a meditare, godendo il silenzio e ammirando i tesori d”Arte che in Italia, per fortuna, ancora si trovano ovunque. Quelle mirabili realizzazioni architettoniche ed artistiche sono state rese possibili proprio dall”esistenza di un forte sentimento religioso nei nostri avi. Il liberalismo più genuino e la migliore concezione della laicità dello Stato si trovano laddove si crede nel primato della coscienza individuale e, nel contempo, si è consapevoli di quanto sia esercizio duro e faticoso sforzarsi di coniugare sempre la libertà con la responsabilità delle proprie scelte.

Insieme ad altri amici, intendo portare in Alleanza per l”Italia lo spirito della Destra Storica, cioè del partito degli eredi di Cavour: Giovanni Lanza, Quintino Sella, Silvio Spaventa, Marco Minghetti. Spirito che si può tradurre in tre semplici regole: 1) va rispettato, anzi va considerato cosa quasi “sacra”, il denaro prelevato dalla generalità dei contribuenti mediante l”imposizione tributaria; il che comporta il dovere di farne buon uso, per scopi di reale interesse generale, di non sprecarlo, di renderne conto fino all”ultimo centesimo; 2) la prima riforma è la buona amministrazione; 3) l”unica forma di Stato liberale possibile è quella dello “Stato di Diritto”, in cui comandano le leggi (e soprattutto la Costituzione, cioè la legge delle leggi), non gli uomini che occasionalmente ricoprono funzioni pubbliche e di governo. Il predetto spirito, che discende storicamente dalla tradizione politica dei liberali moderati italiani, spiega anche perché sia opportuno che Alleanza per l”Italia si strutturi ed operi distintamente da un altro partito che pure intende collocarsi nel Centro politico: l”UDC. Questo partito incarna altre tradizioni e rappresenta altri valori; si potrà lealmente collaborare per il bene comune e magari individuare alleanze elettorali. Certamente, i due partiti potranno aggregare più consenso conservando la propria autonomia d”iniziativa politica.

L”efficienza amministrativa e l”etica pubblica possono migliorare soltanto se mutano le condizioni strutturali. Tra tante riforme costituzionali di cui si discute, non sempre a proposito, la più necessaria mi sembra la correzione di alcune disposizioni del Titolo quinto introdotte con la legge costituzionale n. 3/2001. E” semplicemente folle avere previsto tre livelli di governo territoriale necessari (Comuni, Province, Regioni), più uno eventuale (Città metropolitane) ed avere previsto contestualmente che ciascuno degli 8.100 Comuni italiani, e ciascuna delle 110 Province attualmente operanti, abbiano “autonomia finanziaria di entrata e di spesa”; nel senso che dispongano, ogni Ente nella sua singolarità, di “risorse autonome”, con possibilità di stabilire e applicare “tributi ed entrate propri”. Com”è noto in oltre 5.800 comuni, cioè nel 72 % del totale dei comuni italiani, la popolazione è inferiore a 5.000 abitanti. Ciò significa che mancano le condizioni strutturali minime per organizzare in modo efficiente i servizi da rendere ai cittadini.

Anche i Comuni con poche centinaia di abitanti continuano ad eleggere un Sindaco e dei consiglieri comunali, si avvalgono di un certo numero di assessori nominati dal Sindaco, dispongono comunque di un minimo apparato burocratico. Ciò contribuisce ad accrescere la spesa pubblica. Tuttavia, la vera questione è che l”inadeguatezza strutturale si traduce, inevitabilmente, in fragilità istituzionale. Anche nei casi in cui vengano in considerazione amministratori soggettivamente onesti, che si prodighino senza risparmio di energie per fare fronte ai bisogni delle comunità amministrate. Quando le Amministrazioni comunali sono strutturalmente incapaci di attivare le proprie competenze, l”uso del territorio resta determinato dagli interessi privati.

La correzione del Titolo quinto della Costituzione richiede, secondo me, una contestuale razionalizzazione e riduzione dei livelli di governo territoriale. Auspico che in Italia ci siano soltanto tre livelli di governo: Governo nazionale; Regioni; Distretti di governo territoriale (questi ultimi in sostituzione di Comuni, Province, Città metropolitane). I Distretti sarebbero l’unico ente locale territoriale di livello sub-regionale, o di livello sub-provinciale nel caso delle Province autonome di Trento e di Bolzano, dotato di organi elettivi. Potrebbero avere la più varia estensione territoriale e densità demografica, secondo le caratteristiche degli insediamenti urbani nel territorio. Ovviamente spetterebbe ai Consigli regionali ed ai Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano determinare, con proprie leggi, l’individuazione e denominazione dei Distretti ed i rispettivi ambiti di competenza territoriale.

Con una procedura aggravata che consentisse di verificare il consenso delle popolazioni interessate tramite referendum, quando ne facessero richiesta un certo numero di elettori o un certo numero di consiglieri regionali. Con legge costituzionale sarebbe fissato il limite massimo di Distretti che possono essere istituiti in Italia, in relazione ad una popolazione di sessanta milioni di abitanti; e, conseguentemente, il numero massimo di Distretti che potrebbero essere istituiti da ogni Regione, o Provincia autonoma, in proporzione alla popolazione legale residente. Fermo restando, che nell”esercizio della propria autonomia, valutando le concrete caratteristiche degli insediamenti urbani esistenti, la Regione, o Provincia autonoma, potrebbe decidere di istituire un numero inferiore di Distretti. Attraverso una riforma costituzionale di questo tipo si darebbe effettivamente l”avvio ad un grande processo di modernizzazione del Paese. Invece, se il Titolo quinto della Costituzione restasse invariato, dovremmo aspettarci che il federalismo fiscale di cui oggi si discute comporti, alla fine, che la spesa pubblica aumenti, invece di diminuire. Pericolo tanto più serio, quanto maggiore è il numero di soggetti istituzionali (Comuni, Province, eccetera) che rivendicano il diritto di gestire in completa autonomia una adeguata quantità di risorse finanziarie pubbliche. Potremmo aspettarci, inoltre, un sensibile aumento della pressione fiscale, causato dall”introduzione di nuovi tributi regionali e locali.

Non posso trattare tanti altri argomenti che spero divengano oggetto d”iniziativa politica da parte dell”Alleanza per l”Italia. Primo fra tutti l”individuare regole, quindi determinare condizioni strutturali, che determino una drastica riduzione del numero di cittadini che possono fare della politica la loro professione, cioè che possono vivere (benissimo) di politica, mantenuti dal denaro pubblico. Mentre si avvicina il centocinquantesimo anniversario della raggiunta unità nazionale, è bello sentirsi partecipi di un progetto “per l”Italia”. (Terza Repubblica)

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