Il coraggio di Fini

di Vittorio Lussana

La destra italiana culturalmente non mi ha mai rappresentato. Tuttavia, essa ha sempre cercato, sin dai tempi del Movimento sociale italiano, di fare politica veramente, di capirla, di comprenderla nelle sue movenze di fondo. Il vecchio Msi non ha mai amato, naturalmente, le forze della sinistra italiana. Eppure, ha sempre ammesso che la figura di Enrico Berlinguer fu in grado di far accrescere di molto i suffragi del Pci negli anni ’70 del secolo scorso, poiché questo leader sassarese era riuscito, almeno fino all’avvento di Bettino Craxi, a fornire la concreta speranza di un cambiamento del panorama politico italiano fondato sulla serietà, sull’efficienza dello Stato, sulla comprensione reciproca tra i cittadini, anche tra coloro che professavano punti di vista molto distanti. E l’assai onorevole atto di Giorgio Almirante di recarsi, nel 1984, a rendere omaggio alla salma dell’ultimo vero leader comunista italiano ha testimoniato ampiamente quanto vado scrivendo. Ma dirò di più: quei militanti e quei cittadini cosiddetti ‘di destra’ non sono più – e forse non sono mai stati – perfettamente paragonabili a quelle minoranze di esagitati che avevano fomentato un certo estremismo eversivo ‘fascista’ antisistema. Personalmente, sono cresciuto in un quartiere romano tradizionalmente ‘nero’ – la Balduina – e ho sempre vissuto proprio in mezzo a loro: ai ‘fasci’, come direbbe qualcuno. Eppure, devo dire che, nel corso della mia personale esperienza umana, le manifestazioni di affetto e di amicizia più sincere le ho ricevute, in tante occasioni, proprio da questi simpatizzanti di destra estremamente ‘idealisti’. Da giovanissimo, quando li incontravo sui campi di calcio, questi giovanotti un po’ ‘goliardici’ mi ripetevano spesso che ammiravano molto la mia famiglia, in particolare il grande impegno di mio padre, che non mancava mai una notte dal suo duro lavoro di tipografo e che era noto per la sua grandissima onestà morale e personale. Negli anni seguenti, mi capitò di dover intervenire in difesa di un amico caduto in una sorta di ‘agguato’ in piena piazza della Balduina, con il solo ‘torto’ di essere il fratello minore di un noto militante della sinistra extra – parlamentare. Naturalmente, mi ritrovai in una ‘mischia’ furibonda. Ma uno dei ragazzi a quei tempi maggiormente carismatici del ‘gruppo Campi’ – il locale a cui i giovani militanti dell’Msi della Balduina facevano riferimento – avendo assistito all’intera circostanza e riconoscendo come mi fossi lanciato coraggiosamente in difesa di un amico – correndo il rischio di ‘infilarmi’ in una rissa composta da più di 30 persone – all’improvviso intervenne in nostro favore, convincendo i propri ‘camerati’ a lasciarci stare. Grazie a questo episodio, imparai a conoscere una certa ‘selvaggia lealtà’ dei militanti di destra. Così come il grande valore morale che essi riservano verso un senso ‘idealistico’ di amicizia in grado di andare al di là della vuota rivalità ideologica. E iniziai anche a comprendere che, insieme a loro, avrei potuto cominciare ad intendermi sulla sostanza pratica di molte cose, prescindendo dai nostri diversi presupposti di ragionamento. Il gruppo di amici della mia adolescenza, tendenzialmente ‘sinistroide’, venne dunque ‘accettato’ nel quartiere. E ci venne concesso un nostro luogo di ritrovo, una sorta di quartier generale esattamente al confine tra la Balduina e i ‘rossi’ quartieri di Primavalle e Boccea, quasi a sottolineare un nostro implicito riconoscimento in quanto minoranza di ‘avanguardia’. Alcuni ‘fasci’ apprezzavano la nostra originalità e i nostri interessi, la nostra approfondita ricerca all’interno del panorama delle novità cinematografiche e musicali. E talvolta venivano persino a salutarci come una delegazione ‘diplomatica’, vagamente attratti dal nostro ‘fascino’ intellettuale. Così, alcune serate si concludevano con lunghe e divertenti chiacchierate in auto, durante le quali ci si raccontava le ultime novità del quartiere o gli avvenimenti più stravaganti. Eravamo nel pieno degli anni ’80 e fu allora che compresi come l’epoca degli scontri ferocemente ideologici tra destra e sinistra fosse, finalmente, al tramonto. Ci stavamo parlando veramente, io e i ‘fasci’. Ed eravamo perfettamente d’accordo su una cosa: avremmo voluto una società diversa, con maggiori opportunità per tutti, con una serenità sociale ed economica diffusa. Un sentimento che, in quella fase politica, sembrava venisse colto soprattutto da Bettino Craxi, anche a causa dell’autosegregazione dei comunisti, ancora pienamente immersi nelle proprie suggestioni ideologiche, nonché della ‘ghettizzazione forzata’ cui la destra nazionale era costretta sin dal dopoguerra. Questo preambolo è teso esplicitamente a sottolineare un concetto che ritengo quasi ‘speculare’ tra destra e sinistra italiane: così come possiamo considerare ormai totalmente superato il vecchio luogo comune che renderebbe le parole ‘sinistra’ e ‘progressista’ perfettamente equivalenti ai termini ‘comunista’ e ‘marxista’, allo stesso modo si sta avvicinando il momento in cui dovremo comprendere che le parole ‘destra’ e ‘conservatore’ non sono più sinonimo di ‘fascista’ e di ‘reazionario’. Questa distinzione non è affatto di poco conto. E, in base a tale ragionamento, oggi ritengo che Gianfranco Fini abbia tutto il diritto di potersi presentare, in un domani non troppo lontano, a capo di tutto lo schieramento moderato italiano. Le polemiche di questi ultimi tempi hanno pienamente dimostrato le evidenti tendenze propagandistiche, quando non demagogiche, del Pdl e del premier, Silvio Berlusconi, rispetto ai più solidi ragionamenti di natura squisitamente politica dell’attuale presidente della Camera. Ribadisco: Fini non persegue affatto la ‘mia’ politica. Ma ‘vivaddio’, la sua è politica, non populismo. Il populismo è quella fenomenologia attraverso la quale si tende a mobilitare il popolo in una maniera forzatamente strumentale, evocando speranze verso possibili realizzazioni che, poi, vengono puntualmente disattese in quanto meramente utopiche, oppure perché basate su uno scarso senso della realtà. L’ambiguità dell’attuale immobilismo politico italiano è dunque responsabilità tutta da intestare a Silvio Berlusconi il quale, attraverso una politica estremamente utilitaristica, assai discutibile sul fronte dell’effettivo rispetto delle nostre più autentiche tradizioni culturali, facendosi forte del proprio impero mediatico ed editoriale ha messo in campo un ‘minestrone’ di elettorati e di personaggi che appartengono ad ambiti o a ‘famiglie’ assai distinte tra loro. Se si vuol veramente procedere sulla strada di una effettiva semplificazione delle nostre tradizioni politiche, a mio parere bisognerebbe tornare ai nostri più nobili ‘sentieri’ culturali e dottrinari: ciò favorirebbe una nuova politica delle ‘identità’ in grado di riordinare, con un minimo di razionalità, il panorama politico complessivo del Paese. E’ inutile continuare a girare intorno alla questione: la politica italiana può tornare a funzionare soltanto se sarà in grado di recuperare un maggior grado di coerenza programmatica e di efficacia empirica dei provvedimenti da prendere. Comunismo e fascismo sono le due identità ideologiche destinate a diventare un mero ricordo della Storia, in quanto economicamente errato il primo, strutturalmente demagogico il secondo. Perciò, in base a tali premesse oggi ritengo che, all’interno del mondo moderato italiano, si stia avvicinando il momento di dover riconoscere la futura leadership di Gianfranco Fini, un esponente che ha compiuto un percorso difficile, sincero, coraggioso, che meriterebbe pienamente una simile opportunità. Anche al fine di completare un ciclo storico di divisioni artificiose e di propagandismo mediatico portato all’estremo che ha rallentato, in verità, ogni processo di ricostruzione di un quadro sociale improntato ad una più sana e armoniosa convivenza civile.(Laici.it)

(editoriale tratto dal web magazine www.periodicoitaliano.info)

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