"Come la pianta della fede langue, se con gran cura il prete non l’annaffia di lacrime e di sangue!

bocca di fuoco/kiriosomega

(Statua di Pasquino in occasione della decapitazione di Monti e Tognetti avvenuta il 24 novembre 1868).

C'è una battaglia in corso, o forse una guerra che da sempre serpeggia nella società… solo che oggi il prete non ha più il “gran coltello e i gran falò alla Giordano bruno”, perciò si può più liberamente esprimere il proprio pensiero in materia di fedi.
Dio… dio… dio… dio qui, dio là, dio vorrebbe (condizionale nel testo) ma non vi passa per la mente di scrivere la parola secondo grammatica, ovvero d'io!
Chi parla del dio cosa può conoscere più di me della sua volontà, forse che lo vede, lo annusa, lo tocca, ne avverte sensazioni fisiologiche e comunque neurochimiche, convive con lui, è un suo familiare? Escono insieme?
Dove sono le prove del dio. Sfido chiunque, non voglio essere arrogante, a dimostrare che il dio cristiano è più vero di quello dei pellerossa, o degli inuit, o degli assiri o…, dunque, o tutti veri o tutti falsi, ma la realtà dell’un dio esclude quella degli altri dei di cui limita il concetto così che nessun d'essi è più il primitivo, e allora… quale dio sarà il più potente, sicuramente quello del vincitore!
In ogni modo non c'é un dio, altrimenti le prove accumulate dalla patristica, dalla scholastica, dalla tomistica, ma anche attraverso Scoto e successivi teologi sarebbero così inoppugnabili che solo un cretino genetico non le apprezzerebbe, ma dato che non è così, ciò vuol significare che le prove addotte dai credenti, per fede che non è la ragione, non valgono niente.
1) “Regula fidei” – la fede è un atto del pensiero che è un processo organico, ma non posso qui discutere di neurofisiologia per spiegare come avviene il ,processo. Essa, dunque, è un avvenimento intimo ed insindacabile, ovvero indimostrabile. Essa, sempre la fede, non ha necessità di regole per esistere, perché spontanea ed individuale. Essa è frutto interpretativo soggettivo alla stregua di concetti come il più freddo o meno freddo, più caldo o meno caldo… insomma si sviluppa attraverso strutture organiche neurosensoriali, sistema simpatico, circuiti riverberanti midollari, fasci piramidali, stazione ipotalamica, talamo, cervello in toto e neocorteccia intesa come centro associativo che fornisce una risposta modulata dopo aver classificato gli “impulsi” ricevuti. Lo stesso cervello poi trasmette alle zone competenti, in altre parole dopo l’elaborazione, la propria soggettiva “risposta modulata” (interpretazione). Vi prego di considerare cervello e mente due cose ben separate, il primo è sempre logico, la seconda no!
2) Coscienza o sapere del sé- il discorso è lunghissimo ed assai complesso, qui non affrontabile né sul versante filosofico, né in quello neurofisiologico/biochimico/psicologico. Solo un cenno: “Tutto ciò che è astrazione per necessità ideativa diviene una categoria in senso kantiano, ma non preesistente all’uomo, questo l’immenso errore del grande filosofo, ed impropriamente usata come le assonanze (categorie) che riguardano il concreto.
3) L’intelligenza non conduce alla fede, questa è una burla… e di cattivo gusto. Se così fosse, ma grazie alla natura non lo è, tra fede ed intelligenza non esisterebbe differenza, nemmeno esisterebbero termini linguistici diversificati perché la semantica del linguaggio non ne avrebbe necessità per esprimersi. E poi che discorso è, o meglio, che diavolo significa che l’intelligenza (il senso logico) conduce alla fede che mostra il dio, se l’intelligenza (logica) già coglie il dio che necessità ha della fede per credere?
4) Considerazione- Perché la fede è irreggimentata? Semplicemente per ottenere una “religo” (religere = unire, mettere insieme; Badellino/Calonghi) di convenienza dei “forti” per creare fratrie, clan, tribù, villaggi, grossi centri, popolazioni con usi e costumi simili, nazioni, stati che sono dipendenti dal Potere centrale dei “forti”.
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“Sed mihi, haec ac talia audienti, in incerto iudicium est fatone res mortalium et necessitate immutabili, an forte, volvantur: quippe sapientissimos veterum, quique sectas eorum aemulantur, diversos reperies, ac multis insitam opinionem non inizia nostri, non finem, non denique homines, diis curae… Contra alii, fatum quidem congruere rebus putant; sed non e vagis stellis, verum apud principia et nexus naturalium causarum”. Tacito- Annales, l VI 22 (o 28)-
Sino dall’antichità storica –comparsa della scrittura codificata-, assai inverosimilmente in epoca protostorica, i tacitiani pensieri, che affascinano l’uomo, sempre lo hanno logorato, principalmente durante la revisione della sua storia. Molti valutano la storia come indirizzata da un dio o da un logos immanente, ma la tesi che essa è guidata e voluta dal logos altro non è che la modificazione secondo cui essa è governata da un dio personale. In altre parole si tratta della convinzione cui l’uomo sventuratamente s’abbarbica per atavica fobia di perdersi nel vuoto dello spazio. [Un parallelismo, chi tra Voi ha veduto psicotici in fase catatonica ricorda che essi non comunicano con l’esterno, nemmeno se stimolati violentemente, e, quei poveri soggetti, stanno strettamente accoccolati/acciambellati in se stessi, anche per anni, per paura di perdere la loro identità attraverso le aperture corporali naturali (genitali, ano). Tutto ciò sino a che esplode una violentissima agitazione psicomotoria che, esaurendosi, li riprecipita nel baratro dell’incomunicabilità primitiva]. Il dubbio che “non finem nostri diis curae” è, sempre nell’uomo, soggiogato dal suo bisogno di non sentirsi abbandonato nello spazio. Per tale motivo la razionalità della storia è una delle cose più difficili da eradicare e più diffusamente professate, infatti, si vuol considerare (consciamente ed inconsciamente) il surrogato della credenza nel dio personale. Però, alla base della razionalità della storia è insito un equivoco fondamentale, in altre parole la confusione tra razionalità e necessità causale.
Ogni evento che esiste è necessariamente causato, su questo tema sempre si giunge a denudarne o stabilirne la concatenazione causale necessaria, però con ciò si dimostra solo la spiegazione della sua esistenza, ovvero la necessità di fatto che questa ci fosse. Non si spiega in alcun modo la sua razionalità, e RAZIONALITA’ NON EQUIVALE A NECESSITA’. In altre parole, la necessità è un giudizio di fatto, mentre la razionalità è un giudizio di valore. Semplicemente in essa ci si chiede: “E’ legittimo? E’ lodevole? E’ un bene che è avvenuto?”. Questa interrogazione ne sottintende un’altra: “Non poteva quell’avvenimento non esserci”? Non si può concepire che la storia (quel periodo di storia) si svolgesse senza quel fatto ingiusto, ossia che si sviluppasse razionalmente piuttosto che irrazionalmente? Per capirci: “Nell’universo, o nella storia, c’è la possibilità del caso”? Windelband ben evidenzia: [Unter Zufall eine Art Geschehens zu verstehen, die auch anders hätte ausfallen oder ganz unterbleiben können, und zufällig dasjenige zu nennen was auch anders oder gar nicht sein könnte: quod potest non esse” [Die Lehren von Zufall, Berlino, 1870, e Tubinga, Mohr]- “Il caso è qualcosa che poteva anche non accadere”.
Rispondendo: “No, non è possibile perché il “fatto” fu il prodotto della concatenazione causale necessaria, era dunque necessario, in altri termini non poteva non esserci”.
La risposta è errata! “Secondo il determinismo, ogni cosa che accade non può essere altrimenti, dunque, i concetti –possibile- -impossibile- del comune parlare non hanno senso, perché possibile è soltanto ciò che accade, impossibile è soltanto ciò che non accade. Per la precisione: “nei due casi, si ragiona di movimenti virtuali ed il determinismo, dichiarandoli entrambi impossibili, assegna semplicemente ad essi il carattere di movimenti virtuali in opposizione a movimenti reali. Però vi sono due generi di movimenti virtuali, nel primo genere si suppone soppresso qualche vincolo che non mancava nel movimento reale considerato, ma che in altre occasioni si è visto mancare, in tali occasioni si è visto un movimento reale uguale al virtuale ora considerato, si definisce, dunque, possibile nel linguaggio comune. Il secondo genere suppone, tolto qualche vincolo, che se non si è veduto mai mancare e quindi mai si sono osservati movimenti reali come questi virtuali; ciò che nel linguaggio comune è definito impossibile. Un esempio e concludo: “Se io penso a demoni od angeli che vogliono correggere un periodo della storia umana, penso una cosa impossibile; ma se penso a Garibaldi divenuto Borbone, o Mussolini non ignominiosamente giustiziato, penso una cosa possibile”.
Potrei continuare, ma, con il massimo rispetto, il discorso è da pagine di filosofia.
bocca di fuoco/kiriosomega

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