Lettera Anesti dicembre
Il primo atto del Riccardo III di Shakespeare inizia con il famoso monologo Now is the winter of our discontent made glorious summer by this sun of York and all the clouds that loured upon our house in the deep bosom of the ocean buried ”Ora è l’inverno del nostro travaglio trasformato in sfolgorante estate da questo sole di York che tutte le nubi che si erano minacciosamente addensate sulla nostra casa ha sepolto nel profondo seno dell’oceano”.
William Shakespeare nel Riccardo III canta, sullo sfondo della guerra delle due rose che vide il conflitto fra la casata dei Lancaster e quella degli York, una vicenda storicamente superata nel momento in cui egli scriveva, perchè sul trono inglese si era già insediata una terza casata regnante, i Tudor, da cui discendeva quella Elisabetta I di cui Shakespeare era contemporaneo.
Ma noi, che non siamo artisti ma semplici cittadini interessati a vicende economiche ancora in corso, possiamo a cuor leggero affermare che siamo giunti alla fine del nostro travaglio e che tutte le nubi siano state spazzate via dal nostro capo ? Come descrivere il presente economico che stiamo vivendo e quale futuro ci attende ora che il 2009 sta per finire e avanza il 2010 ?
Questo inizio di “Lettera ANESTI” è esattamente lo stesso del Dicembre 2008 e suona ancora tremendamente attuale. Non ne abbiamo modificato una virgola, salvo correggere il 2008 in 2009 e aggiornare la data dell’anno che sta per iniziare, come era doveroso, al 2010. Per chi –assalito da sano scetticismo- voglia controllare, basta andare sul sito www.anesti.it > Lettera ANESTI > Dicembre 2008 per averne conferma. Ma a parte l’attualità dei dubbi sulle prospettive economiche, è proprio tutto uguale a quanto descrivevamo 12 mesi fà o piuttosto qualcosa di differente si sta profilando all’orizzonte del nuovo anno ?
Per rispondere a questo quesito dobbiamo partire dalla citazione di un po’ di cifre. Diceva Ovidio “pauperis est numerare pecus” (cfr Met,13,824)“contare il gregge è cosa da poveri” ma in effetti la prima considerazione da fare è che in questi dodici mesi siamo effettivamente diventati parecchio più poveri di quanto fossimo all’inizio del 2009 e anche degli anni precedenti. Nonostante la recessione però in un anno il prezzo del lingotto da un’oncia dell’oro, che è anche indice di aspettative di inflazione o comunque di grave instabilità politica (essendo l’oro considerato un bene rifugio), è salito parecchio superando negli ultimi giorni di Novembre i 1.166 $ Usa. E ancora: l’indice Standard and Poor’s delle materie prime –anche escludendo l’oro- fà comunque registrare un aumento medio complessivo dei prezzi, sempre su base annua, del +31,4% .
Così, mentre è scemato l’impiego dei fattori produttivi (è per esempio aumentata la disoccupazione) è continuata la corsa al rialzo dei prezzi delle materie prime che si è riflessa anche sui noli marittimi. L’indice BDI (Baltic Exchange Dry Index & Freight Rates) per trasporto di rinfuse (grano, carbone, semi di soia, minerali di ferro, concentrati di rame etc) è passato in un anno, pur attraverso una serie di fluttuazioni molto erratiche in sù e in giù e poi ancora in sù, da 663 nel Dicembre 2008 a 4.340 (indice delle quotazioni del 25 Novembre 2009, che è l’ultimo dato rilevato mentre predisponevamo questo numero di “Lettera ANESTI”).
Lo scenario pertanto è il seguente. Aumentano le preoccupazioni di un rinfocolarsi a medio termine della inflazione, mentre diminuisce il rischio di un crollo sistemico nei paesi sviluppati, salvati dalle poderose iniezioni di liquidità effettuate dalla mano pubblica protesa in soccorso dei sistemi creditizi e delle istituzioni finanziarie in generale. Secondo il Fondo Monetario Internazionale questi interventi procureranno nel 2010 un disavanzo primario dei bilanci pubblici rispetto al PIL del 3,7% negli Usa, del 6,9% in Giappone, del 7,8% nel Regno Unito. Infatti come ha detto l’Ammistratore Delegato del FMI Strass-Kahn è troppo presto per levare i puntelli pubblici alle economie (…it is still too early for a general exit from accomodative policies”
In virtù di questi interventi si è evitato il rischio di catastrofi. I pericoli di collasso delle economie -detto più semplicemente- sono diminuiti, anche se non sono del tutto scomparsi; tant’è che, complessivamente misurati dall’indice di volatilità del sistema (VIX S&P 500 Index Options Volatility), si è passati da un valore di 81,48 (massimo delle ultime 52 settimane, che esprimeva il concreto pericolo di ampie fluttuazioni dei corsi) ad un più modesto valore di tale indice che negli ultimi mesi ha toccato –sempre prendendo a riferimento le ultime 52 settimane- un minimo di 20,10 che sta ad indicare invece un basso pericolo di crolli dei corsi borsistici. In pratica è come se la misura del rischio si fosse ridotta, in un anno, ad un quarto ossia al 25%.
Recentemente però sono emerse preoccupazioni che l’indice VIX possa riprendere nuovamente a salire a testimonianza dei rinnovati timori che le quotazioni delle azioni abbiano seguito negli ultimi mesi una dinamica al rialzo troppo divergente dagli andamenti della economia reale. Questa è infatti ancora depressa e esiste il pericolo che si sia creata nelle borse mondiali una nuova bolla speculativa anche se di proporzioni più contenute rispetto a quella che esplose nel 2007 e provocò la rovinosa caduta dei corsi pressoché per tutta la durata del 2008.
L’economia reale mondiale infatti è ancora stagnante nonostante gli sforzi dei governi di rivitalizzarla veicolando, come visto, ingenti fondi pubblici su banche e compagnie di assicurazione (e per il loro tramite su tutto il sistema). Con l’eccezione della Cina, di cui abbiamo parlato diffusamente nello scorso numero di “Lettera ANESTI”, sia i paesi sviluppati sia buona parte di quelli emergenti stanno contraendo gli investimenti e tagliando la capacità produttiva sia in beni strumentali sia in quelli di consumo. Il 40% degli ordinativi per nuovo naviglio (del tipo dry bulk carrier ossia per il trasporto di rinfuse) è stato cancellato nell’ultimo anno; si tratta di circa 100 milioni di tonnellate di stazza a cui vanno ad aggiungersi 70 milioni di tonnellate di naviglio da mettere in disarmo perché vecchio e non più economico (“…40% of the total orderbook, says National Bank of Greece, will never reach the water. This [ must ] be couplet with an estimated 70 million dw tonnes of scrapping of old tonnages).
Nel settore dei beni capitali e delle infrastrutture fà –come dicevamo poc’anzi- eccezione la Cina ma è recentissima la richiesta delle cinque maggiori banche cinesi di essere ricapitalizzate dallo Stato per far fronte ai maggiori rischi in cui esse incorreranno essendo state recentemente costrette per scopi anticiclici dal governo cinese a espandere il credito al sistema, dirigendolo in particolare alle iniziative dei governi locali, per ammontari di ben il +30% nei soli primi nove mesi del 2009 e di un ulteriore +20% previsto nel 2010 (“China’s five largest banks submitted plans to regulators for raising money after unprecedented lending eroded their capital, according to four people with knowledge of the matter.” Nov. 24, Bloomberg ; vedi pure: www.anesti.it > Lettera ANESTI > Novembre 2009) )
Nell’orizzonte 2010 spicca poi in particolare la questione energetica. Qui l’economia si interseca con questioni diplomatiche e militari. Sarebbe altrimenti inspiegabile quello che continua ad accadere ai prezzi del petrolio, tornato oramai ai circa 80 $ al barile, se non fosse che questi corsi riflettono in parte consistente i costi impliciti della “tenuta del quadro strategico” funzionale alla attuale filiera energetica.
Cerchiamo di essere più espliciti. Attualmente i consumi mondiali e statunitensi in particolare: sia di gas sia di petrolio sono bassi e non giustificherebbero una tenuta, o addirittura come sta avvenendo per il petrolio, un aumento dei prezzi. In particolare nel comparto gas è la prima volta in 40 anni che gli Usa registrano una autosufficienza e quanto al petrolio c’è un eccesso di offerta sulla domanda attuale dovuto non solo ad una flessione generalizzata a livello mondiale dei consumi, ma anche al fatto che il maggior produttore mondiale di petrolio e gas –la Russia- ha raggiunto ad Ottobre picchi di estrazione di queste due risorse mai raggiunti precedentemente (“A combination of weak demand and the success of shale and other unconventional gas plays may be making the US virtually self-sufficient in gas for the first time in almost four decades. This development has surprised not only domestic producers, who have watched prices drop by about two-thirds from their mid-2008 highs, but also overseas suppliers who have based their strategies on supplying a hungry US market. (Monday, November 23, 2009) With both onshore and floating inventories still at historically high levels, the supply/demand balance in global oil markets is looking looser this quarter. The latest projections from PIW sister publication Oil Market Intelligence point to a supply surplus of some 1.5 million b/d in the fourth quarter, and a smaller but still substantial 900,000 b/d supply overhang in the first quarter of 2010” da Petroleum Intelligence Weekly; November 23, 2009) …e ancora… (Russian October oil output inched up to 10.04 million barrels per day from already record-high 10.01 million bpd in September, while the country's October daily gas output rose by 15.8 per cent to 1.76 billion cubic metres from 1.52 bcm in the previous month” da Reuters 3 Novembre 2009)
Ciò nonostante, come detto, i prezzi aumentano perché in Medio Oriente sono in corso varie guerre non dichiarate. C’è un tentativo, guerreggiato rispetto alle fazioni in gioco, di stabilizzare i regimi afgano e iracheno, ma c’è anche una guerra vera non dichiarata di cui si parla solo occasionalmente e in circoli ristretti, che è in corso da tempo fra Arabia Saudita ed Iran.
Uno dei terreni di scontro è lo Yemen dove la fazione sciita Houthi sostenuta dall’Iran cerca di rovesciare quella sunnita e filo saudita al potere. Gli iraniani hanno cominciato a far uso nel Mar Rosso di piccoli sommergibili della classe Ghadir per sbarcare rifornimenti ai ribelli, iniziativa che viene contrastata dalla marina Saudita e da quella Americana. Contemporaneamente l’Arabia Saudita ha ordinato alla Russia una fornitura di ben 7 miliardi di $ di missili (altamente sofisticati) S-400 per compensarla della mancata vendita all’Iran di S-300 usabili dagli iraniani come contraerea per la difesa delle istallazioni nucleari. A intermediare l’operazione fra Russia e Arabia Saudita sembra essere stata proprio l’America preoccupata per l’espansionismo iraniano nella zona del Golfo “A multibillion transaction for the sale of highly sophisticated Russian S-400 Triumf (NATO codenamed SA-21 Growler) missile interceptors to Saudi Arabia is hanging fire over Israel's objections to their deployment within easy range of the Negev and Eilat port, DEBKAfile's military sources report. The $7 billion deal was brokered by Washington with a view to tempting Moscow to withhold S-300 air and missile defense batteries from Iran and denying the Islamic republic this key item for defending its nuclear sites….As a major incentive for reneging on its missile contract with Iran, the Obama administration offered Moscow the prime incentive of opening the Saudi market to Russian arms, followed by outlets in the Persian Gulf.” da: Debkafile’s 6 Novembre 2009). I riflessi di questi massicci acquisti di armamenti sui prezzi del petrolio non sono trascurabili.
Come dicono le parole di una famosa canzone dal titolo “L’anno che verrà” caro amico ti scrivo così mi rilasso un pò (salvo poi parlare invece di conflitti,sacchetti di sabbia alle finestre e sparatorie): “c’è ben poco da rilassarsi”. Occorrerebbe una azione diplomatica forte a livello planetario che veda protagonista anche l’Europa e invece i principali protagonisti di quella politica mettono in campo solo newcomers (matricole ) senza esperienza di politica estera. Però parlano bene inglese. Chissà se Shakespeare sarebbe d’accordo ?
EUTIMIO TILIACOS
Linacre College
Oxford University
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