Voci del silenzio. Il difficile percorso delle donne vittime di violenza ed il rapporto con le istituzioni in una ricerca di Archivio Disarmo

Voci del silenzio. Il difficile percorso delle donne vittime di violenza ed il rapporto con le istituzioni in una ricerca di Archivio Disarmo

di Fabiana Galassi

In occasione del 25 novembre, Giornata Nazionale contro la violenza, alla Sala Stampa Estera di Roma è stata presentata la ricerca qualitativa, “Se un giorno qualcuna…” – “Il difficile percorso delle donne vittime di violenza ed il loro rapporto con le Istituzioni'', curato da Telefono Rosa e dall'Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo.

L'obiettivo è quello di fare una riflessione mirata sull'importanza della sensibilita' delle Istituzioni sul tema della violenza sulle donne e sul legame che c'e' tra i modelli femminili offerti dai media e dalla pubblicita' e la violenza di genere.

L’iniziativa ha coinvolto cinquanta donne che si erano rivolte ai servizi pubblici e sociali dopo aver presentato alle forze dell’ordine una denuncia per la violenza subita.

La ricerca, forse, non utilizza un campione numericamente rilevante, ma le sue conclusioni costituiscono una guida minima ragionata per gli operatori del sistema e per iniziare delle campagne di sensibilizzazione.

La fenomenologia della violenza sulle donne è ampia, dalla violenza fisica a quella psicologica o alla più sottile e poco valutata violenza economica, e per questo l’approccio degli operatori pubblici a cui le donne si rivolgono deve essere comprensivo di competenze e sensibilità che vanno apprese per assistere persone, spesso non consapevoli di ciò che stanno attraversando.

Dal rapporto e dall’esperienza degli esperti nel settore, è stata rilevata la crucialità della prima accoglienza, come sottolinea Fabrizio Battistelli, presidente di Archivio Disarmo e supervisore della ricerca stessa. Infatti, il percorso di denuncia viene spesso bloccato dalla donna per cause esterne al problema, ad esempio per timore di non essere tutelate dalla legge, per l’incertezza e la lunghezza dell’iter investigativo e giudiziario e per una distanza delle Istituzioni. L’empatia e la sensibilità degli operatori sanitari e delle Forze dell’Ordine devono saper colmare questo disagio. Per questo bisogna, in prima battuta, formare gli operatori del sistema perché siano preparati umanamente e professionalmente a raccogliere la denuncia di queste donne.

Importante, si è detto da più parti, la presenza in tutti i punti di contatto (polizia, magistratura, servizi sociali locali) di figure femminili per ascoltare e portare le donne vittime, all’apertura con il mondo esterno mentre la presenza maschile è determinante in una seconda fase, quando le vittime sono già consapevoli degli eventi e cercano un sostegno. Per questo motivo, la formazione della base, di chi ha un primo contatto con la vittima – dagli operatori di pattuglia agli infermieri – serve a scongiurare un approccio sconfortante della vittima e a farla tornare nel silenzio.

L’approccio onnicomprensivo viene completato da un lavoro di rete perché gli attori non devono essere, semplicemente, collegati e in comunicazione fra loro. Dovrebbe, infatti, svilupparsi un flusso operativo affinché le forze dell’ordine e gli operatori sociosanitari si concepiscano nello stesso sistema di sostegno. A richiedere questa circolarità del sistema è il Capitano Mancuso, della IV sezione del Nucleo investigativo di Roma, sottolineando l’urgenza dell’armonizzazione del cambiamento.

L’umana comprensione deve essere rivalutata perché non sia solo una approccio di cortesia di facciata; questo dato è centrale nella ricerca perché queste caratteristiche esogene portano tanto quanto le variabili endogene – amore incondizionato nei confronti del partner e speranza nel cambiamento per le violenze domestiche o, più in generale, la vergogna – alla mancata denuncia.

Le competenze tecniche, tuttavia, non devono essere per questo svalutate. Infatti, l’innovazione del reato di stalking, ha posto una serie di problemi per la sua persecuzione visto l’inesistente giurisprudenza in materia, come sottolineato dall’esperienza della Vice dirigente della Squadra mobile della Questura di Roma, Francesca Monaldi. Questo evidenzia la necessità di combinare buone intenzioni alla realizzabilità di leggi e interventi concreti.

Alle istituzioni affrontare tutti i nodi del sistema, dagli aspetti di tutela delle vittime alla raccolta dei dati per un monitoraggio del fenomeno – elemento analitico sempre carente in Italia – dalle misure assistenziali – il ruolo degli assistenti sociali e delle Case accoglienza deve essere rilanciato come elementi centrali affinché una donna vittima di abusi possa riscoprire nell’immediato una serenità psicologica ed economica – all’aggravamento delle pene senza sconti né benefici. Una giornata per riflettere.

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