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Pordenone rende omaggio a Dreyer

Elsker Hverandre (Amatevi) è il titolo del romanzo di Aage Madelung edito nel 1912 da cui il regista Carl Theodor Dreyer trasse dieci anni più tardi il film Die Gezeichneten (Gli Stigmatizzati). Restaurata di recente, la pellicola è stata proiettata al 28th Pordenone Silent Film Festival di Pordenone, che rende così omaggio a un regista danese di cent'anni fa dal quale viene però un incoraggiante messaggio morale destinato ai contemporanei.

di Giuseppe Muscardini

Si è concluso a Pordenone il 28th Pordenone Silent Film Festival, rassegna di filmografia storica internazionale con un nutrito programma di proiezioni e dibattiti. Dal 3 al 10 ottobre diverse manifestazioni hanno stimolato legittime curiosità fra gli storici del Cinema e gli appassionati in genere.

Oltre agli Eventi speciali – così è stata denominata la prima parte del Festival che prevedeva, fra le altre, proiezioni come La vedova allegra di Erich von Stroheim del 1925 – è stata particolarmente seguita la Sezione intitolata Il canone rivisitato, dove un selezionato corpus di pellicole restaurate o “riscoperte” è stato proposto ad un pubblico particolarmente motivato a farsi un’idea delle tecniche adottate dai registi degli anni Venti per rendere verosimili le loro situazioni sceniche.

Fra le molte proposte rileviamo con piacere la presenza di un film diretto nel 1922 dal regista danese Carl Theodor Dreyer, con didascalie in danese nella versione restaurata di recente da Casper Tybjerg and Thomas Christensen della Digital Filmlab di Copenhagen, a cura del Danish Film Institute. Interpretato all’epoca da Adele Reuter-Eichberg, Vladimir Gajdarov, Polina Piekowskaja, Sylvia Torf, Hugo Döblin, Johannes Meyer, Thorleif Reiss, J.N. Douvan-Tarzow, Richard Boleslawski ed Emmy Wyda, il film fu reso nella versione originale tedesca con il titolo di Die Gezeichneten, poi presentato in traduzione italiana come Gli stigmatizzati.

Il genere drammatico e l’argomento, che per istintiva associazione richiamano alla mente analoghe tragedie della nostra stessa contemporaneità, imponevano un opportuno restauro della pellicola, ritrovata nel 1961 in Russia presso gli archivi della Gosfilmofond dallo storico Vladimir Matusevich, il quale seppe riconoscere il film di Carl Theodor Dreyer, pur celato sotto il titolo russo di Pogrom.

E nella Russia dei pogrom, dei crudeli massacri degli ebrei, si svolge giustappunto la vicenda: protagonista la giovane Hanne che nel 1905 raggiunge a San Pietroburgo il fratello Jacob, diventato uomo di legge. Gli eventi si fanno incalzanti dal momento in cui Hanne ritrova l’amico Alexander Sascha, che al contrario di Jacob non si è avvicinato al cristianesimo, ma ha aderito con fervore alla prospettiva di cambiare radicalmente la società attraverso una rivoluzione epocale.

Carl Theodor Dreyer aveva tratto nel 1922 il suo film dal romanzo Elsker Hverandre (“Amatevi gli uni con gli altri”) , del connazionale Aage Madelung (1872-1949), di cui ricorre quest’anno il sessantesimo della scomparsa. Contestualizzando le ragioni della ricorrenza, non va dimenticato come il celebre regista danese condividesse con Aage Madelung lo stesso spirito di denuncia per l’antisemitismo, un tema che caratterizzò la vita intellettuale di entrambi.

Sia il regista che lo scrittore posarono pertanto la loro rispettiva lente su un losco figuro, il falso monaco Rylovitch, spia della polizia zarista con il compito di seminare l’antisemitismo per distrarre il popolo dal pericolo dell’imminente rivoluzione. Rylovitch, interpretato dall’attore Johannes Meyer, incarna dunque il male, la perfidia, il tradimento, l’abiezione, l’asservimento ad un potere che senza alcuno scrupolo affama il popolo, decimandolo brutalmente con sanguinosi pogrom.

Che Rylovitch sia personaggio determinante nella storia trasposta su pellicola da Dreyer, lo si intuisce facilmente dal poster originale danese stampato per reclamizzare il film. Compiaciuto, il falso monaco è in primo piano, appoggiato ad un bastone, il copricapo di pelo calcato sulla fronte. Alle sue spalle un villaggio incendiato, con fiamme lunghe che si alzano verso il cielo. Singolare la rispondenza tra l’immagine del poster e certi fotogrammi del film, dove Rylovitch appare come rispecchiamento delle medesime sembianze, in piena aderenza con la descrizione che ne fece Aage Madelung nel romanzo.

Un sapido aneddoto, posto qui in conclusione, può aiutare a comprendere il ruolo esercitato da Aage Madelung in qualità di scrittore realista popolare, capace di influenzare con le sue pagine la cinematografia del periodo in cui visse. Se nel 1922 Dreyer mutuò da Elsker Hverandre un film in sette quadri, fu perché il suo autore riconosceva alla narrativa una conduzione filmica, secondo le regole dell’osservazione attenta della realtà.

Nel 1916, sei anni prima dell’inizio delle riprese da parte di Dreyer, lo scrittore di origini ebraiche Elias Canetti, all’epoca undicenne, ebbe occasione di “incrociare” Aage Madelung a Zurigo, che poco prima aveva abitato nello stesso appartamento della Scheuchzerstrasse dove il ragazzo era andato ad abitare.

Ecco la fedele testimonianza della padrona di casa, tale Helene Vogler, raccolta da Canetti ne La lingua salvata: “Raccontava con compiacimento che prima di noi, in quelle stesse stanze, aveva alloggiato uno scrittore danese con la moglie e il figlio. Ne pronunciava il nome, Aage Madelung, con la stessa enfasi con cui diceva il suo. Pare che egli usasse scrivere sul balcone che dava sulla Scheuchzerstrasse, osservando dall’alto il viavai nella strada; notava tutti quelli che passavano e gliene chiedeva informazioni. Nel giro di una settimana, sulla gente del quartiere sapeva più cose lui di quante ne avesse apprese lei in tanti anni che abitava lì”.

Nelle memorie di Elias Canetti, Premio Nobel per la Letteratura nel 1981, c’è la riprova delle consonanze fra Aage Madelung e Carl Theodor Dreyer, inclini ad una rappresentazione scenica del reale in cui l’osservazione puntuale gioca un ruolo non accessorio. Questo si è percepito una sera dello scorso ottobre nella cittadina friulana, fissando su uno schermo lo scorrere concitato dei fotogrammi de Gli stigmatizzati.

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