Site icon archivio di politicamentecorretto.com

COMINCIAVA LA PRIMA REPUBBLICA…

Ho partecipato ieri mattina – nel salone della “Casa del Popolo” di Pallanza – alla presentazione di un libro su Vincenzo Adreani, il primo sindaco di Verbania del dopoguerra. La mia presenza avrà forse sorpreso qualcuno ma credo sia stata ben accettata quando ho spiegato ai numerosi quanto ormai anziani “compagni” presenti l’opportunità dell’incontro sottolineando come la figura di un galantuomo come fu Adreani (e di molti altri che gli sono succeduti) rischia di perdersi nella memoria collettiva, mentre invece è prezioso un suo ricordo per contribuire a creare una comunità che abbia radici più salde. Quel sindaco fu davvero una figura singolare: già per due anni pro-sindaco socialista di Pallanza nel 1920, antifascista, nominato alla guida del comune dal CLN il 2 maggio del 1945, Vincenzo Adreani si dimise pochi mesi dopo perché attaccato in giunta dal partito comunista dopo che come sindaco era intervenuto per tentare di far liberare dal carcere il podestà di Verbania in carica durante la Repubblica Sociale, l’avv. Ernesto Pirola. Sosteneva Adreani che si stava commettendo una ingiustizia visto che il podestà era più volte intervenuto, nei mesi precedenti, per salvare ebrei ed altri prigionieri dei tedeschi. Solidarizzarono con Adreani democristiani e liberali che però si dimise lo stesso. Sono frammenti di storia cittadina che si riscoprono dagli archivi, ritrovando negli atti anche gli interventi di un mio prozio, mutilato di guerra, che nel 1920 era oppositore “nazionalista” proprio all’ Adreani, passando per mio nonno eletto consigliere comunale DC nel 1946.

Ma quello che più mi ha colpito è riscoprire come alcuni partiti politici – su tutti il Partito Socialista Italiano – interpretarono per oltre un secolo una funzione essenziale non solo nelle lotte sociali, ma anche nelle amministrazioni locali. Anche a Verbania – come in molte altre parti d’Italia – il PSI si è poi polverizzato negli scandali degli anni ’90, ma se abbiamo il coraggio di andare al di là delle meschinità delle singole persone e delle polemiche quotidiane dobbiamo comunque cercare di recuperare il ricordo di quello che ha fatto parte della storia politica italiana dopo la sua unità per cercare almeno di trasmettere un messaggio a chi oggi rappresenta l’Italia di domani.

Guardavo proprio l’altra sera i volti del “mio” nuovo consiglio comunale: tanti giovani eletti nel PDL e nella Lega (nessuno della sinistra democratica) e mi chiedevo quanti di loro conoscessero tante cose della storia cittadina, dei conflitti sociali di un tempo, del succedersi dei diversi periodi attraversati dal nostro paese. Questa “seconda repubblica” che sembra naufragare nel sozzume – così come la prima è finita negli scandali – che cosa è in grado di trasmettere a queste giovani generazioni? Complice il “decoder” mi capita sempre più spesso di vedere sul canale di RAI-Storia immagini in bianco e nero di quando ero bambino notando la bellezza delle spiagge e delle coste, i paesi non ancora deturpati dall’edilizia, la pulizia delle campagne, tanto che mi chiedo se la politica non sia stata capace di distruggere più che di costruire. Certo c’è oggi più ricchezza e benessere, ma quali sono stati i costi, quale Italia consegniamo a questi ragazzi che crescono?

Credo che non possa esserci solo un tempo di polemiche, di scontri quotidiani, di “trans”, ma che sia anche ora di chiederci seriamente se non occorra un forte ritorno alle regole, alla consapevolezza personale, alla correttezza generale. Non voglio fare sempre il “grillo parlante” ma se non ci rendiamo conto – tutti! – quanto sia importante tornare a dare un’ anima al nostro paese non potremo mai superare le crisi economiche, morali e politiche. Cerchiamo almeno di farlo a livello locale, se è possibile.

In questo senso il concetto stesso di “partito politico” credo che ritorni in parte di attualità e che non bastino le figure più o meno carismatiche di vertice per dare spessore, da soli, alla “Politica”. Alcune ideologie non sono più credibili, avulse dalla realtà, ma senza idee, comportamenti coerenti e valori condivisi non si va da nessuna parte.

Chi – come me – ha avuto la ventura di vivere questo periodo-ponte che è passato dalla affermazione estrema dell’ideologia (caduta anche in troppi episodi di violenza, non dimentichiamolo) alla attuale negazione di ogni principio gerarchico e di merito nella crescita politica credo abbia davvero il diritto-dovere di tentare di produrre almeno una sintesi, una proposta. E’ quello che ho cercato di fare scrivendo “Staffette”, ma sono figure limpide come quelle del lontano e dimenticato sindaco Adreani, uno che a tre mesi dalla fine della guerra civile – pur dopo essere stato perseguitato per vent’anni – ha il coraggio di dimettersi per difendere l’onore di un nemico appena vinto, ci fanno comprendere tutti i nostri limiti e rendono impietoso il confronto tra l’etica politica di quegli anni e le troppe sciocchezze di quella di oggi.

MUSEO DELL’EMIGRAZIONE

Mercoledì mattina, complice qualche ora libera in attesa di un voto di fiducia, ho visitato a Roma il museo dell’emigrazione italiana allestito all’Altare della Patria dal ministero degli esteri. Consiglio vivamente a chi vive a Roma o è di passaggio nella capitale di darci un’occhiata perché in poche sale – ma molto ben disposte – si percepisce fino in fondo cosa sia stata l’emigrazione per il nostro paese. Miseria, ignoranza, drammi famigliari che per decenni hanno accompagnato milioni di italiani a spingersi lontani dalla patria, ma tutta la retorica che ci può facilmente colpire sparisce vedendo quei documenti struggenti, quei registri, quelle foto in cui si percepisce il dramma, la fatica ma anche l’orgoglio di chi andava alla ricerca di un futuro migliore.

Una mostra piena di ricordi, utile anche per meditare sul tema dell’immigrazione che si manifesta oggi verso l’Italia, tema di così grande attualità. Soprattutto una mostra che “per legge” dovrebbe essere visitata da tutti gli studenti d’Italia, almeno perché capiscano cosa possa voler dire la parola “sacrificio”.

Exit mobile version